martedì 12 luglio 2011

San Benedetto «Patrono principale d'Europa». Sorgente di vita spirituale e civile.

Sorgente di vita spirituale e civile
di Roberto Nardin

Quando Paolo VI il 24 ottobre 1964 con il Breve Pacis nuntius proclamò come «Patrono principale d'Europa» san Benedetto, volle subito descrivere il santo quale «messaggero di pace (pacis nuntius), operatore di unità, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della fede cristiana e iniziatore della vita monastica in Occidente».

Paolo VI motivò tale proclamazione: «Nel momento in cui, ormai al tramonto, l'Impero Romano crollava, mentre alcune regioni d'Europa sembravano precipitare nelle tenebre e altre erano ancora prive di civiltà e di valori spirituali, fu lui che, con impegno vigoroso e infaticabile, si adoperò perché su questo nostro continente sorgesse l'alba di un nuovo giorno».

In un momento di grande buio e di profondo smarrimento, quindi, Benedetto compare nella storia divenendovi portatore di luce. Il cammino del vecchio continente, infatti, scosso dal crollo di istituzioni secolari, dall'invasione di nuovi popoli e dalla decadenza morale, veniva illuminato dalla presenza dei monaci che si ispiravano alla Regola di san Benedetto, e l'Europa, gradualmente, costruiva la propria identità proprio attorno ai valori di «unità e di civiltà» concretamente vissuti nei monasteri, prima ancora che quegli stessi valori fossero teorizzati.

Lungo i secoli, tutta l'Europa venne coinvolta dalla presenza silenziosa ma penetrante dei figli di san Benedetto attraverso una modalità che sempre il Breve di Paolo VI descrive in forma incisiva: «Con la croce, il libro e l'aratro, egli e i suoi figli trasmisero la civiltà cristiana alle varie popolazioni sparse dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall'Irlanda alle pianure della Polonia».

La croce, il libro e l'aratro -- ossia la preghiera, lo studio e il lavoro -- esprimono in sintesi la proposta di vita benedettina che ha permesso non solo la diffusione dei monasteri, ma l'unificazione spirituale dell'Europa centrata nella comune preghiera fondata su Cristo (croce); l'unificazione culturale del continente europeo a partire dall'amore alla cultura classica e biblica che ha reso possibile la fondamentale riscoperta del patrimonio umanistico (libro); e, infine, la rinascita economica e sociale dell'Europa nella valorizzazione del lavoro, anche manuale, che ha permesso di nobilitare l'opera delle mani, non più riservata agli schiavi, creando le condizioni per trasformare luoghi inospitali in fertili campagne.

Sembra opportuno, allora, sintetizzare la vita monastica non tanto nel recente e famoso ora et labora, quanto, invece, nell'espressione che ricorda il Liber de modo bene vivendi (1174) del cistercense Tommaso di Froidmont (cfr. pl, 184, 1272-1273): ora, lege et labora.

L'eredità benedettina, comunque, non si esaurisce nel quadro storico, seppur importante e decisivo, nella nascita dell'Europa e delle sue radici cristiane, ma offre anche all'uomo contemporaneo validi e concreti punti di riferimento in ordine alla vita personale e comunitaria.

Lo ha ricordato Benedetto XVI in modo incisivo presentando la figura di san Benedetto nell'udienza generale del 9 aprile 2008, in cui -- tra l'altro -- ha affermato: «In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l'impegno primo e irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente, all'amore del quale egli non deve anteporre alcunché e proprio così, nel servizio dell'altro, diventa uomo del servizio e della pace. (...) In questo modo l'uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio».

Se volessimo sintetizzare il messaggio spirituale che san Benedetto ha consegnato alla vita della Chiesa, potremmo focalizzarlo in due elementi centrali. Il primo riguarda il criterio di verifica della vocazione alla vita monastica, ossia «cercare veramente Dio» (Regola, 58, 7). Il secondo è un invito pressante in cui si afferma che «non si deve anteporre nulla all'amore di Cristo» (4, 21; 72, 11).

Ricerca di Dio e amore di Cristo, quindi, sono i due assi portanti della spiritualità monastica, punti focali posti con costanza in rilievo anche da Papa Benedetto, si pensi solo al memorabile discorso tenuto a Parigi, il 12 settembre 2008, al Collège des Benardins, fino all'Angelus di domenica 10 luglio. Questi due assi portanti, Ricerca di Dio e amore di Cristo, san Benedetto vuole incarnati in alcune modalità specifiche. Ecco, allora, che si dovrà mostrare la ricerca di Dio nella sollecitudine alla preghiera, all'obbedienza e all'accettazione delle contrarietà (Regola, 58, 7) mentre l'amore a Cristo i monaci lo mostrano nel vedere e amare Cristo nel proprio abate (2, 2; 63, 13), negli infermi (36, 1), negli ospiti (53, 1-7), nei poveri e pellegrini (53, 15). Risulta chiaro che ricerca di Dio e amore di Cristo non sono astratti (solo la mente) o devozionali (solo il sentimento) o giuridici (solo l'osservanza della legge) ma, cercando Dio perché, in realtà, cercati da Dio e amando Cristo perché, in realtà, amati da Cristo, ricerca e amore hanno una valenza concreta, al punto che toccano profondamente la vita di ogni giorno nella quale si svolge la preghiera, l'accettazione delle contrarietà e l'amore per il prossimo come a Cristo.

Il primo messaggio che san Benedetto porta al mondo, oggi come ieri, è, in definitiva, l'invito a cercare Dio con assiduità, a permettere che Dio sia la presenza che orienta la vita dell'uomo, perché senza questa presenza l'uomo perde inesorabilmente il senso profondo della vita e dimentica il proprio autentico e unico valore di creatura amata da Dio in Cristo. Senza l'orientamento a Dio, l'uomo, inevitabilmente, trasforma se stesso in idolo, perdendo la libertà proprio quando si illude di conquistarla con le proprie forze, anziché accoglierla come dono del Creatore.

Il secondo messaggio di san Benedetto è riscoprire l'amore che diventa dono per l'altro, un amore che può essere radicale solo se nell'altro, per dono, riconosco la Presenza di Cristo. Se l'amore non è declinato «per l'altro», ripiega su se stesso e l'altro diventa strumento «per me». L'io del singolo diventa idolo di se stesso. Si tratta del rovescio della medaglia della mancanza di orientamento a Dio, l'Altro. Il comandamento dell'amore a Dio (cercato perché Presenza) e al prossimo (in cui riconosco Cristo), allora, diventa la sintesi intramontabile del messaggio benedettino, che è il nucleo stesso del Vangelo.

lunedì 11 luglio 2011

Così il monachesimo costruì l'Europa

San Benedetto gettò i semi per una trasformazione sociale e culturale
di TIMOTY VERDON

Normalmente le grandi chiese - le basiliche romane, le cattedrali diocesane e i più importanti santuari - sono espressioni universali della vita del popolo di Dio, accessibili a tutti. Ma il cristianesimo ha valorizzato anche forme di vita religiosa a cui non tutti sono chiamati, sapendo che "abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi" (Romani, 12, 6). Così dal III-IV secolo è stata accolta la volontà di alcuni di condurre una vita cristiana più austera, in ideale prolungamento dell'era eroica dei martiri, chiusasi con l'Editto di Milano del 312. Prima in Egitto, poi in Italia e nel sud della Francia, singoli eremiti, gruppi di eremiti e comunità unite intorno a un padre spirituale, definirono man mano lo stile di un'esistenza focalizzata unicamente su Dio, le cui componenti principali erano la preghiera, lo studio e il lavoro agricolo o artigianale.

Nasce il monachesimo cristiano e con esso un nuovo tipo di architettura ecclesiastica, il monastero, composto di una chiesa, di abitazioni per i monaci, e di ambienti funzionali alla vita comunitaria. E negli stessi secoli in cui le città dell'antico impero si spopolano per l'avanzata di popolazioni nomadi provenienti dall'Europa settentrionale e dalla Persia, nel deserto vengono fondate vere e proprie cittadelle monastiche: centri non solo spirituali ma anche intellettuali e artistici che conservavano ed elaboravano in senso cristiano quanto era rimasto della cultura classica.

Di fondamentale importanza in questo processo fu il contributo dell'Italia, dove vide la luce intorno al 480 l'uomo che la Chiesa considera il patrono d'Europa, san Benedetto da Norcia. Autore della Regula monachorum - che nel primo medioevo, era il più diffuso codice di comportamenti religiosi dopo il Vangelo - Benedetto non solo fondò numerosi monasteri, ma gettò le fondamenta di un sistema sociale e culturale destinato a plasmare l'identità cristiana di intere popolazioni, soprattutto nelle campagne. Mentre infatti nelle città del IV-V secolo esistevano già comunità cristiane stabili, con una storia alle spalle e un senso della propria dignità, la conversione delle zone rurali era ancora incompleta duecento anni dopo.

Per capire il ruolo del monachesimo nella penisola, è importante cogliere le condizioni dell'Italia cristiana all'epoca di Benedetto e nei secoli successivi. Le devastazioni della guerra tra due popoli invasori, i bizantini e i goti (540-568), nonché la violenza degli invasori longobardi (568-650) e le depredazioni saracene lungo le coste meridionali e occidentali (IX-X secolo), lasciarono la memoria ma non più la realtà dell'Italia romana. Cambiò perfino la secolare rete viaria: scendendo dal nord per i valichi appenninici, i longobardi crearono nuove direttrici legate ai loro centri di potere in Lombardia. Le nuove vie longobarde permettevano ai messi reali di muoversi senza sconfinare nel vasto territorio a est controllato dai bizantini. Al servizio della nuova rete viaria, i re longobardi fondarono monasteri lungo i nuovi percorsi tracciati per l'esercito e per i messaggeri reali, completando così il lavoro dei vescovi locali che, dal V al VI secolo avevano creato sistemi di chiese e collegiate rurali dotate di patrimoni terrieri. Dopo la conversione alla fede cattolica della regina Teodolinda nel VII secolo, la nuova rete viaria si orientò verso Roma, e venne a formarsi il nucleo di ciò che in seguito verrà chiamata la Via Romea o Francigena, che nei suoi molteplici percorsi costituirà la strada maestra di principi, mercanti e pellegrini tra il X e il XIV secolo. Lungo tutto il percorso, annessi ad abbazie "regie" o autonome, nacquero xenodochia e "spedali" che favorirono la ripresa di scambi culturali e commerciali. I diari di viaggio dell'arcivescovo di Canterbury Sigerico, dell'abate islandese Nikulas di Munkathvera, del re Filippo Augusto di Francia fanno intuire i motivi per cui, ad esempio, troviamo riflessi d'architettura borgognona in Lombardia e Toscana, tedesca a Molfetta, pisana a Siponto e Troia.

La conquista del regno longobardo da Carlomagno, sigillata con la presa di Pavia nel 773-74, rafforzerà l'orientamento monastico dello sviluppo religioso nei secoli IX-XII, nell'Italia settentrionale e centrale come in tutto l'impero affidato al re dei Franchi da Papa Leone III nell'anno 800. Prescindendo dall'attribuzione a Carlo Magno in persona di numerose abbazie, rimane vero che l'organizzazione amministrativa del Sacro Romano Impero favoriva l'espansione della rete monastica: i carolingi e, dopo di loro, gli ottoniani si servirono dei monaci nell'estendere il nascente sistema feudale su cui poggiava il loro potere.

Soprattutto con la diffusione di un'unica "regola" monastica, l'influsso dei monaci sulla vita spirituale d'Europa si fece determinante. L'equilibrio benedettino tra preghiera e lavoro venne comunicato ai feudatari imperiali con terre confinanti e ai contadini; in Italia, il silenzio e la laboriosità della vita rurale ne echeggiava lo spirito fino all'inizio del XX secolo.

L'indole comunitaria del monachesimo benedettino ha poi favorito lo sviluppo di precise caratteristiche umane e sociali nella popolazione. L'aiuto fraterno, l'ospitalità ai viaggiatori, l'attenzione ai poveri di ogni tipo, sono tra gli elementi della Regola di san Benedetto che in Italia come altrove si tradussero anche in cultura popolare.

In modo analogo, i laboratoria monastici gettarono le basi di quella "rivoluzione industriale" che, insieme all'embrionale attività bancaria, dal secolo XIII in poi farà di alcune città lombarde e toscane centri propulsori di vita economica e culturale al livello europeo.

Nei secoli intorno al Mille predominava l'influsso dei monasteri, che in alcuni casi erano, di fatto, delle vere e proprie città. L'abate islandese Niklaus, scendendo la penisola verso 1154, descrive "Montakassìn" (Montecassino) come "un grande monastero con una fortificazione tutt'intorno, e, all'interno, dieci chiese": era l'abbazia ricostruita tra il 1066-1071 dall'abate, Desiderio, figura di singolare peso ecclesiale e politico all'epoca. Dal 1059 cardinale e vicario pontificio presso i monasteri dell'Italia meridionale, Desiderio infatti lavorò per riconciliare i Papi con l'imperatore Enrico IV (umiliato da Gregorio VII a Canossa nel 1077), arruolando a questo scopo principi normanni quale Roberto Guiscardo, duca d'Apulia, con cui godeva di buoni rapporti. Ma il suo vero obiettivo rimase la riforma della Chiesa promossa sin dall'inizio del secolo da santi monaci quali Giovanni Gualberto e Pietro Damiani nonché dai Papi Vittore II (1055-1057), Stefano IX (1057-1058), Niccolò II (1058-1061), Alessandro II (1061-1073) e Gregorio VII (1073-1085).

(©L'Osservatore Romano 11-12 luglio 2011)

mercoledì 6 luglio 2011

La rifondazione dell’Europa comincia dall’Ungheria?

Una rondine non fa primavera, ma uno Stato europeo, e non dei minori, che si dà una Costituzione eurocompatibile che rispetta sia la Carta europea dei diritti fondamentali sia la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è un esempio da seguire.


Lunedì 18 aprile 2011, in conformità con gli impegni presi dal primo ministro Viktor Orban quando nell’aprile 2010 vinse in modo eclatante le elezioni politiche (2/3 dei seggi alla Camera dei deputati), la Costituzione ungherese è stata modificata nello spirito e nella lettera. Il testo del 1990, adottato subito dopo la caduta del Muro di Berlino, è stato giudicato troppo liberale e ancora caratterizzato da residui comunisti.

Il potere è stato ripartito tra i tre principali partiti: La Fidesz, partito di centro destra, i cui rappresentanti nel Parlamento europeo fanno parte del Partito Popolare Europeo; I Socialisti, completamente screditati dopo la gesione disastrosa del Primo ministro Ferenc Gyurcsany che aveva mentito sull’entità del deficit del blancio dello Stato, cosa che nel 2008 lo aveva spinto a chiedere al fondo Monetario Internazionale un aiuto di 20 miliardi di euro per salvare il Paese dalla bancarotta; Il partito Jobbik, di estrema destra, che ha come obiettivo la difesa dei valori e dell’identà dell’Ungheria.

La nuova Costituzione proposta dal Premier e dalla Fidesz è stata approvata con 262 voti contro 44 e una astensione. Il testo è stato approvato dal Presidente della Repubblica ungherese, Pal Schmitt, il 25 aprile scorso ed entrerà in vigore il 1 gennaio 2012. Durante il dibattito in aula l’opposizione non ha espresso alcun intervento. Il che non le ha impedito finora di sostenere gli oppositori a questa nuova legge fondamentale.

Quali sono i cambiamenti della Costituzione :
  1. Il primo riguarda il riferimento alle radici cristiane dell’Ungheria. Il Preambolo dice infatti che «La Costituzione si inscrive nella continuità della Santa Corona» e ricorda «il ruolo del cristianesimo» nella «sua storia millenaria ».
    Ci si stupisce delle reazioni negative a questo testo, dato che al momento della redazione del Trattato costituzionale dell’Unione Europea, tutti i paesi membri hanno approvato il riferimento alla nostra eredità cristiana, tranne la Francia.
    La petizione europea, promossa dalla Fondation de Service politique con qualche deputato europeo aveva ottenuto nel 2004 1,4 millioni di firme ed era stata sostenuta da circa 60 associazioni in rappresentanza di 50 milioni di aderenti. Un primato nella storia europea. Questa petizione era stata registrata dalla Commissione sulle petizioni, ma la Commissione europea non si è degnata di darle corso come avviene di solito quando le petizioni vengono registrate.
    Il riferimento alle radici cristiane non è una questione di opinione, ma una verità storica. Bisogna ricordare che la nazione ungherese si è organizzata a partire dal battesimo di Santo Stefano, incoronato re di Ungheria, al punto che chi detiene la sua corona detiene anche il potere. E’ questo il motivo per cui la Corona di Santo Stefano si trova oggi al Parlamento ungherese, il che gli dà la legittimità di fare le leggi.
  2. La seconda modifica riguarda l’unione tra due persone: «La Costituzione protegge l’istituzione del matrimonio, considerato come l’unione naturale tra un maschio e una femmina e come il fondamento della famiglia».
    Questo riferimento riprende, nel suo spirito, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che, nonostante le pressioni per introdurre l’unione tra due persone dello stesso sesso, rimane un testo di riferimento per tutti gli Stati. La nuova Costituzione ungherese non rimette in questione l’unione tra persone dello stesso sesso e non le considera equivalenti al matrimonio.
  3. La terza modifica riguarda la vita di tutti gli esseri umani prima della nascita: «Dal momento del concepimento, la vita merita di essere protetta come un diritto umano fondamentale» e «la vita e la dignità sono inviolabili », riprendendo in un certo modo il primo articolo della Carta europea dei diritti fondamentali: «la dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e protetta».
    Alcuni si sono indignati di questo ritorno all’ordine morale. Dobbiamo dedurne che l’ordine umano è un ordine amorale? La nuova Costituzione ungherese è eurocompatibile? si chiedono gli oppositori. Se non lo fosse, allora vorrebbe dire che tutti i testi di riferimento sono lettera morta, considerato che l’Unione europea si è costruita a partire dal rispetto dei diritti dell’uomo la cui universalità è espressa nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948, riconosciuta come patrimonio comune dell’umanità, e non sui diritti astratti e soggettivi rivendicati senza riferimento ad un patrimonio comune.
Certo, la decisione appartiene ai legislatori. Ma questi votano in nostro nome. Tacere sarebbe da parte nostra un atto di irresponsabilità. Le leggi ci riguardano tutti. E’ nostro dovere incontrare i nostri deputati e senatori per dire loro che teniamo al rispetto dei nostri principi fondamentali.
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di Élizabeth Montfort, già Deputata al Parlamento Europeo, è portavoce dellaFondation de Service Politique (Paris), su Zenit.org del 25.05.2011

lunedì 11 aprile 2011

Il Papa all’ambasciatore di Croazia: le radici cristiane sono l’ossigeno dell’Europa, senza non si può vivere

La valorizzazione del patrimonio cristiano dell’Europa è stato il tema forte del discorso di Benedetto XVI all’ambasciatore di Croazia, Filip Vučak, ricevuto in Vaticano per la presentazione delle Lettere Credenziali. Il Papa ha messo in guardia da una certa amnesia collettiva che vorrebbe negare l’evidenza storica delle radici cristiane del Vecchio Continente. Ha quindi espresso la sua gioia per l’ormai prossima visita in terra croata, in programma a giugno.

Cosa può dare la Croazia all’Europa di oggi? Nel momento in cui, a vent’anni dalla sua indipendenza, il Paese accelera il passo verso l’integrazione nell’Unione Europea, il Papa incoraggia i croati a non rinunciare alla loro cultura e alla propria vita religiosa: “Sarebbe illusorio – afferma – voler disconoscere la propria identità per abbracciarne un’altra nata in circostanze così differenti” rispetto a quelle che hanno dato origine alla Croazia. Entrando nell’Unione Europea, prosegue, il vostro Paese non aderirà solamente ad un sistema economico e giuridico con i suoi vantaggi e limiti. Al contempo, “potrà apportare un contributo proprio”. Il Papa invita la Croazia a “non avere paura di rivendicare con determinazione il rispetto della propria storia e della sua identità religiosa e culturale”. E critica quelle voci che “contestano con stupefacente regolarità la realtà delle radici religiose europee”:

“E’ di moda ormai – constata – avere amnesie e negare le evidenze storiche”. Ed aggiunge: “Affermare che l’Europa non ha delle radici cristiane equivale a pretendere che un uomo possa vivere senza ossigeno e nutrimento”. Ancora, esorta “a non avere vergogna di richiamare e sostenere la verità, rifiutando, se necessario, ciò che è contrario ad essa”. Il Papa si dice certo che la Croazia saprà difendere la propria identità con convinzione e orgoglio, evitando i nuovi ostacoli che si presenteranno e che “sotto il pretesto di una libertà religiosa mal compresa, sono contrari al diritto naturale, alla famiglia e alla morale”.

Il Papa esprime poi la sua soddisfazione per il ruolo della Croazia nel promuovere la pace nella regione e con riferimento particolare alla Bosnia-Erzegovina. La Croazia, rileva, non manca di apportare “la sua specificità per facilitare il dialogo e la comprensione tra i popoli” di differenti tradizioni, ma che vivono insieme da secoli. Di qui, l’incoraggiamento a proseguire su questa strada per consolidare la pace nel rispetto di ciascuno. Quindi, rivolge il pensiero alla sua visita in Croazia del prossimo giugno, la prima che compie da Pontefice anche se, confida, da cardinale ha visitato più volte la terra croata. Benedetto XVI rammenta innanzitutto il tema del viaggio, “Insieme in Cristo”.

“E’ questo insieme che desidero celebrare con il vostro popolo”, afferma il Papa. “Insieme – soggiunge – malgrado le innumerevoli differenze umane, insieme con queste stesse differenze”. E insieme a Cristo, “che da secoli accompagna il popolo croato con bontà e misericordia”. Il Pontefice si compiace poi con il parlamento croato per aver proclamato il 2011, “Anno Bošcović” in onore dello scienziato e filosofo gesuita che ha dimostrato la possibilità di “far vivere in armonia la scienza e la fede, il servizio alla patria e l’impegno nella Chiesa”.

© Copyright Radio Vaticana

venerdì 1 aprile 2011

Chiesa in Europa. Un'unità interiore

La riflessione del card. Reinhard Marx, vicepresidente Comece

Il card. Reinhard Marx dal novembre 2007 è arcivescovo di Monaco e Freising, dove papa Ratzinger fu arcivescovo tra il 1977 e il 1982 e dove vivono oggi 1 milione e 800 mila battezzati su una popolazione di 3,4 milioni di abitanti. Il più giovane dell'attuale collegio cardinalizio, esperto di dottrina sociale della Chiesa, nel 2008 ha pubblicato "Il capitale. Una critica cristiana alle ragioni del mercato" edito in Italia nel 2009. Attualmente è anche vice-presidente della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece). Alla vigilia dell'assemblea plenaria della Comece (Bruxelles, 6-8 aprile), Sarah Numico per SIR Europa gli ha posto alcune domande.

Come immagina l'Europa e gli europei del 2030? E che ruolo potrà avere il nostro continente nell'ordine mondiale?

"Non c'è alternativa ragionevole all'Europa unita. Solo così l'Europa ha la possibilità di avere una qualche influenza nella costruzione dell'ordine mondiale e di collaborare all'architettura del mondo con i nostri valori. Per questo io sono e resto un appassionato sostenitore dell'Europa. Dobbiamo però prendere sulla nostra barca anche gli Stati Uniti, ricordando loro che abbiamo una comune civilizzazione, impregnata di valori comuni! Condizione è però che l'Europa aspiri ad essere più di una confederazione di stati, che vuole fare affari per il mondo intero. Il grande europeista Jean Monnet aveva ragione: l'Europa deve essere un contributo per un mondo migliore. Si tratta di null'altro che affrontare la questione se siamo in grado di portare avanti, passo dopo passo, la globalizzazione dei diritti umani per tutti. In definitiva, non possiamo volere che tra vent'anni solo la Cina detti le regole del gioco della globalizzazione".

Quali prospettive intravede per aiutare l'Europa a uscire dalla crisi economica e sociale? Quale deve essere il ruolo della Chiesa in questa situazione?

"È stato un errore pensare che, con la moneta unica, saremmo approdati alla meta dell'unificazione europea. Questo ci è stato messo con chiarezza davanti agli occhi dalla crisi finanziaria e del debito in alcuni Paesi. L'Europa ha bisogno anche di una unità interiore, a cui aggiungere una reale politica comune in campo economico, fiscale e sociale. Si tratta quindi di una unione politica completa, come era stata pensata in relazione all'introduzione della moneta unica. Questo è stato dimenticato in fretta e oggi ne paghiamo le conseguenze. La riduzione dell'enorme debito dei bilanci pubblici, per esempio, resta uno dei compiti più urgenti per i Paesi d'Europa. Altrimenti peserà sulla prossima generazione il dover vivere in stati politicamente paralizzati e incapaci di agire, perché schiacciati dal servizio al debito. Come Chiesa, non possiamo dare alcuna ricetta facile, ma alzeremo la nostra voce nel solco della grande tradizione della Dottrina sociale a favore di un nuovo ordine ispirato agli imperativi etici, vale a dire orientato ai principi della solidarietà, sussidiarietà, giustizia e bene comune. Se anche l'Europa non dovesse diventare uno stato unico, in ogni modo dovrà essere un'unità politica con una natura del tutto speciale".

In queste settimane l'Africa settentrionale si è infiammata. Tra le cause scatenanti della rivolta è la povertà di questi Paesi e dell'intero continente. I flussi di immigrazione sono ripresi in maniera massiccia. Quali risposte concrete ed efficaci può dare il nostro continente all'Africa? Quale accoglienza per i poveri del continente nero?

"Molte persone del mondo arabo si sono sollevate in maniera sorprendente contro i regimi dispotici e chiedono con estrema decisione democrazia e una vita nella libertà e nella auto-responsabilità. Questo situazione merita il nostro più profondo rispetto e il nostro sostegno. La discussione su chi adesso in Europa debba accogliere quanti rifugiati colpisce per la sua estrema inadeguatezza, a fronte del coraggio di queste persone. Gli stati d'Europa sono ora chiamati ad assumersi il compito di aiutare l'Africa nel lungo periodo. In diversi Paesi mancano le condizioni di base perché una democrazia possa funzionare. Non hanno alcuna comunità ordinata, nessuno stato di diritto che faccia da garante per i diritti umani, nessuna economia sociale di mercato e nessuna società civile! Certamente non sono questioni che si possano risolvere velocemente e facilmente, ma non dobbiamo rassegnarci e affermare semplicemente che in questi Paesi non sia possibile la democrazia. Non ci credo, ma il cammino sarà lungo".

Verso la fine di gennaio, al simposio organizzato dal Ccee sul tema dell'università, lei ha affermato che "raramente c'è stato in Europa un terreno così fertile per i valori cristiani alla luce delle sfide europee e globali". In realtà, si registra oggi una crisi sempre più profonda di appartenenza ecclesiale e una secolarizzazione sempre più dilagante. Ci può spiegare che cosa intendeva con le sue parole?

"Il nostro compito prioritario è annunciare il Vangelo, aiutare le persone ad incontrare Gesù Cristo. Anche la Germania è una terra di missione, esattamente come l'Italia e tanti altri Paesi occidentali. Questo ci spinge in maniera nuova a far sentire il nostro messaggio in tutti gli ambiti della vita pubblica. Per quel che riguarda l'istruzione universitaria, ad esempio, ciò significa che noi esplicitiamo il fatto che la fede e la ragione rimandano l'una all'altra. La fede è la luce della ragione e, di fatto, è il primo e più importante 'illuminismo' che l'Europa abbia sperimentato. E la fede dà alla ragione un orizzonte etico, aiuta ad ordinare la coscienza. Benedetto XVI, nella sua significativa enciclica sociale 'Caritas in veritate', ha giustamente sollecitato a una nuova sintesi umanistica. Ritengo si tratti di sviluppare una nuova idea di progresso per la nostra società sulla base dell'orizzonte valoriale cristiano. La crescita economica non può in nessun modo essere un indice sufficiente per misurare il progresso dell'umanità".

Qual è la sua opinione riguardo all'iniziativa "Chiesa 2011: una svolta necessaria"? Quale svolta lei ritiene sia veramente urgente e necessaria per la Chiesa cattolica, perché possa continuare ad annunciare con credibilità il Vangelo e rispondere alle domande dell'uomo e della donna del XXI secolo?

"Il testo che i professori hanno presentato resta in superficie ed è teologicamente debole. Certo, abbiamo bisogno di un dialogo spirituale riguardo il cammino della Chiesa che sia fondato sul terreno della fede cattolica. Come Chiesa in Germania vogliamo tentare questo cammino con un processo di discussione. Spero sinceramente che ci venga donata una svolta spirituale che comincia dalla preghiera e dalla celebrazione più importante della nostra fede: la santa messa. Poi resta centrale la domanda di Dio, la ricerca del mistero, che è la cosa più grande di tutte quelle che possiamo pensare ed esprimere. Una Chiesa che parli di Dio in maniera troppo insignificante e modesta non aprirà nessuna strada per l'uomo moderno. Parlare di Dio è possibile solo e sempre in un atteggiamento di umiltà e in uno spirito di adorazione. Ed è compito della Chiesa testimoniare questo Dio e quindi essere accanto all'essere umano. Una Chiesa che ruotasse solo attorno a se stessa non renderebbe giustizia al Vangelo".

© Copyright Sir 1 aprile 2011

lunedì 21 marzo 2011

L'Europa e le sue fondamenta

Il cardinale prefetto della Congregazione per il Clero ha presieduto, nella mattina di lunedì 21, presso l'abbazia di Montecassino, una messa in onore di san Benedetto, patrono d'Europa. Al rito, concelebrato dall'abate, dom Pietro Vittorelli, hanno preso parte il decano dell'abbazia anglicana di Westminster, John Hall, insieme a numerose autorità civili italiane, tra cui il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Gianni Letta, e il ministro Altero Matteoli. Pubblichiamo ampi stralci dell'omelia tenuta dal porporato.
di Mauro Piacenza



L'apporto che questo uomo, Benedetto, ha dato alla costruzione religiosa, culturale e civile dell'Europa è senza paragoni. Dovremmo giungere ad affermare, anche dal punto di vista della corretta critica storica, che nessuno ha fatto per l'Europa più di san Benedetto da Norcia e, per conseguenza, la sua persona, il suo stile, il suo pensiero, dovrebbero essere punti di riferimento imprescindibili per chiunque voglia parlare, occuparsi, lavorare e spendersi realmente per la buona causa dell'Europa. La verità di un servizio di guida e di governo di un popolo si misura esattamente su quanto esso sia capace di impedire le cadute del popolo stesso; cadute economiche, certo, ma soprattutto cadute culturali e morali, che sfigurano il volto del popolo e, al suo interno, corrompono gli individui.

L'idea che l'indebolimento culturale del popolo e della sua coscienza, strumentalmente ottenuto attraverso la corruzione dei costumi, sia uno strumento di potere e di controllo, è tanto falsa quanto pericolosa. Essa espone il popolo ai rischi più grandi e mente ai governanti sul reale significato del potere e del servizio, al quale essi sono chiamati.

La dignità della persona umana e i suoi irriducibili diritti, che lo Stato non costituisce ma è tenuto a riconoscere, derivano dall'altissima concezione che, dell'uomo, ha il cristianesimo, e di tale concezione san Benedetto è stato fedele discepolo e, perciò, impareggiabile maestro.

Nella vita di san Benedetto, il passaggio da Subiaco a Montecassino, nel 529, rappresenta una fase nuova della sua maturazione interiore e della sua esperienza monastica: egli passa da una profonda intimità con Dio, che lo ha radicalmente trasformato, alla coscienza che tale intimità, tradotta nell'esperienza monastica, domanda visibilità e riconoscibilità, perché a essa tutti possano guardare e da essa imparare. È l'inizio del ruolo pubblico del cristianesimo, così come andrebbe sempre correttamente inteso: mai confuso con il potere civile, come avveniva nell'epoca pagana, e mai segregato o confinato fuori dal vivere sociale, come talvolta si vorrebbe oggi.

Un solo esempio può descriverne il valore: il santo di Norcia sostiene che colui che detiene il potere, per essere in grado di decidere responsabilmente, deve saper ascoltare il consiglio dei fratelli, perché «spesso Dio rivela al più giovane la soluzione migliore» (Regola, III, 3). Un uomo di responsabilità pubblica deve sempre saper ascoltare e imparare da quanto ascolta. Deve saper ascoltare la storia, ascoltare gli uomini, ascoltare profondamente se stesso e, se credente, ascoltare costantemente la voce di Dio, che parla nella coscienza, nella rivelazione e nel magistero della Chiesa.

L'Europa è al centro di questa drammatica sfida: o riscopre la propria identità, necessariamente cristiana, o rischia semplicemente di non esistere più come Europa. La recente sentenza appena emessa -- (18 marzo 2011) dalla Corte di Strasburgo sulla esposizione obbligatoria del crocifisso nelle scuole pubbliche ha riconosciuto che tale esposizione, lungi dal costituire un «indottrinamento», manifesta l'identità culturale e nazionale dei Paesi di tradizione cristiana. Il crocifisso, che è il principio vivificante della immensa opera benedettina, è stato riconosciuto non solo come un principio unificatore dell'Italia, proprio nella coincidenza del 150° anniversario della sua unità politica, ma anche come un principio identitario al quale possono guardare i Paesi europei!

Ci ricorda il Santo Padre Benedetto XVI: «Per creare un'unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale, che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l'Europa» (Udienza generale, 9 aprile 2008). Se anche non si volessero riconoscere il ruolo fondamentale del cristianesimo e le conseguenti radici cristiane dell'Europa, per reale convincimento etico-religioso, lo si dovrebbe fare esercitando quella moralità nella conoscenza, che spinge ad amare la verità più di se stessi, riconoscendo la realtà del dato storico e la valenza culturale di un'identità etico-religiosa, senza la quale il vecchio continente rischierebbe realmente di perdersi.

Il contributo della cultura, della politica e della diplomazia italiane può e deve essere determinante per questa riscoperta e per la sua conseguente assunzione di responsabilità. Ne va del nostro futuro, del futuro dell'Europa, della possibilità, per le nuove generazioni, di vivere ancora nella libertà e in un contesto culturale, nel quale l'uomo non divenga mai mezzo, ma sia e resti sempre fine. In tale senso dobbiamo rallegrarci per la sentenza di Strasburgo.

Questa appartenenza a Cristo, questa radice ultima di tutti i valori positivi di unità e di pace, di sviluppo e di progresso, che le nazioni d'Europa avvertono come proprio patrimonio, domanda di essere riconosciuta, riscoperta e ricollocata alla radice dell'Europa. La sfida del multiculturalismo, che non di rado diviene anche multireligiosità, domanda di approfondire e dilatare le capacità di autentico dialogo. Dia-logo, appunto, «parola tra due»!

Ma con chi dialogheranno le altre culture, se l'Europa non avrà una propria identità? La mancanza di identità ha come drammatica conseguenza l'impossibilità del dialogo! Al contrario, la serena e continuamente purificata riscoperta della propria identità costituisce il presupposto più sicuro per approfondire continuamente quell'indispensabile dialogo, che permette alle differenti culture di convivere pacificamente nel rispetto più profondo della dignità di tutti gli uomini e, con essa, dell'autentica libertà religiosa.

La stessa democrazia, per poter vivere e funzionare, ha bisogno di una solida piattaforma di valori condivisi, senza la quale è semplicemente impossibile che i sistemi sociali funzionino. In Europa tale piattaforma di valori condivisi è indiscutibilmente fornita dal cristianesimo, sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista sociale. Non riscoprire le radici cristiane dell'Europa e addirittura ostacolarne in ogni modo la potente rifioritura, coincide, in realtà, con il mettere in pericolo la stessa democrazia, la quale, privata di una piattaforma di valori condivisi, può essere esposta ad ogni forma di aberrante degenerazione.

La Chiesa non cesserà mai, nell'ordine che le è proprio, di ricordare agli uomini, alle nazioni, agli Stati e ai loro governanti, l'urgenza e perfino la necessità della riscoperta di un reale umanesimo plenario. L'uomo non può e non deve, in alcun caso, essere strumentalizzato, per fini economici, politici o di potere. Egli è un fine, non un mezzo, e, dunque, l'economia, il diritto e la politica devono essere concepiti come indispensabili strumenti al servizio dell'uomo, del suo vero bene, del suo reale progresso, che coincide sempre con il bene comune. Di questo vero bene e reale progresso, è elemento indispensabile e condizione non negoziabile l'assoluto, integrale e moralmente vincolante rispetto della vita. Mai si era vista, in Europa, una così profonda degenerazione giuridica in tale fondamentale ambito.
(©L'Osservatore Romano 21-22 marzo 2011)

sabato 19 marzo 2011

Sentenza sul Crocifisso. Il più bel regalo per il 150 anni della Nazione

Questo un passaggio della sentenza con cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha difeso la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche italiane, accogliendo il ricorso del governo italiano contro una precedente sentenza della stessa corte.

“La Corte conclude dunque che, decidendo di mantenere il crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai figli della ricorrente, le autorità hanno agito entro i limiti dei poteri di cui dispone l’Italia nel quadro del suo obbligo di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e d’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire tale istruzione secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche; di conseguenza, non c’è stata violazione...”.
Il verdetto è stato approvato da quindici giudici contro due. I contrari sono stati lo svizzero Giorgio Malinverni e la bulgara Zdravka Kalaydjieva.

Il testo integrale della sentenza:

La sua sintesi in italiano:

E il commento del direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi:

“La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo sull’esposizione obbligatoria del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane è accolta con soddisfazione da parte della Santa Sede.

“Si tratta infatti di una sentenza assai impegnativa e che fa storia, come dimostra il risultato a cui è pervenuta la Grande Chambre al termine di un esame approfondito della questione. La Grande Chambre ha infatti capovolto sotto tutti i profili una sentenza di primo grado, adottata all’unanimità da una Camera della Corte, che aveva suscitato non solo il ricorso dello Stato italiano convenuto, ma anche l’appoggio ad esso di numerosi altri Stati europei, in misura finora mai avvenuta, e l’adesione di non poche organizzazioni non governative, espressione di un vasto sentire delle popolazioni.

“Si riconosce dunque, ad un livello giuridico autorevolissimo ed internazionale, che la cultura dei diritti dell’uomo non deve essere posta in contraddizione con i fondamenti religiosi della civiltà europea, a cui il cristianesimo ha dato un contributo essenziale. Si riconosce inoltre che, secondo il principio di sussidiarietà, è doveroso garantire ad ogni Paese un margine di apprezzamento quanto al valore dei simboli religiosi nella propria storia culturale e identità nazionale e quanto al luogo della loro esposizione (come è stato del resto ribadito in questi giorni anche da sentenze di Corti supreme di alcuni Paesi europei). In caso contrario, in nome della libertà religiosa si tenderebbe paradossalmente invece a limitare o persino a negare questa libertà, finendo per escluderne dallo spazio pubblico ogni espressione. E così facendo si violerebbe la libertà stessa, oscurando le specifiche e legittime identità. La Corte dice quindi che l’esposizione del crocifisso non è indottrinamento, ma espressione dell’identità culturale e religiosa dei Paesi di tradizione cristiana.

“La nuova sentenza della Grande Chambre è benvenuta anche perché contribuisce efficacemente a ristabilire la fiducia nella Corte Europea dei diritti dell’uomo da parte di una gran parte degli europei, convinti e consapevoli del ruolo determinante dei valori cristiani nella loro propria storia, ma anche nella costruzione unitaria europea e nella sua cultura di diritto e di libertà”.

La Santa Sede: una sentenza che fa storia

La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha assolto l’Italia dall'accusa di violazione dei diritti umani per l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. La decisione della Corte è stata approvata con 15 voti favorevoli e due contrari. I giudici hanno accettato la tesi in base alla quale non sussistono elementi che provino l'eventuale influenza sugli alunni dell'esposizione del crocifisso nella aule scolastiche e non può essere dunque ritenuto un indottrinamento da parte dello Stato. Il servizio di Fausta Speranza:

Alla Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo non ci sono altri gradi di giudizio e dunque si mette fine al dossier del caso 'Lautsi contro Italia'. Procedimento approdato a Strasburgo il 27 luglio del 2006: Sonia Lautsi, cittadina italiana nata finlandese, lamentò la presenza del crocifisso nelle aule della scuola pubblica frequentata allora dai figli, parlando di ingerenza incompatibile con il diritto ad un'educazione conforme alle convinzioni dei genitori non credenti. La prima sentenza della Corte (9 novembre 2009) diede, all’unanimità, sostanzialmente ragione alla signora Lautsi, riconoscendo una violazione da parte dell'Italia di norme sulla libertà di pensiero, convinzione e religione. Il Governo italiano ha chiesto il ricorso alla Grande Chambre della Corte, ritenendo la sentenza 2009 lesiva della libertà religiosa individuale e collettiva come riconosciuta dallo Stato italiano. La Grande Camera, accettata la domanda di rinvio, ha emesso oggi la sua decisione definitiva. Nel merito dei contenuti giuridici, il ministro degli Esteri italiano, Frattini, ha organizzato nei mesi scorsi una serie di riunioni dedicate alla riflessione sulle argomentazioni da utilizzare nel ricorso sulla sentenza Lautsi. Ha poi scritto ai suoi omologhi dei 47 Stati membri del Consiglio d'Europa una lettera esplicativa della posizione italiana e ha trovato l’appoggio formale, davanti alla Corte, di San Marino, Malta, Lituania, Romania, Bulgaria, Principato di Monaco, Federazione Russa, Cipro, Grecia e Armenia. Dunque la vittoria oggi non è solo dell’Italia ma anche di questi Paesi e di tutti coloro che ritenevano assurdo imporre la rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche. Resta da ricordare che parliamo della Corte che fa capo al Consiglio d’Europa, cioè l’organismo a 47 Paesi distinto dall’Unione Europea.

Sulla sentenza della Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell’uomo ecco la dichiarazione del Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, P. Federico Lombardi.

La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo sull’esposizione obbligatoria del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane è accolta con soddisfazione da parte della Santa Sede.
Si tratta infatti di una sentenza assai impegnativa e che fa storia, come dimostra il risultato a cui è pervenuta la Grande Chambre al termine di un esame approfondito della questione. La Grande Chambre ha infatti capovolto sotto tutti i profili una sentenza di primo grado, adottata all’unanimità da una Camera della Corte, che aveva suscitato non solo il ricorso dello Stato italiano convenuto, ma anche l’appoggio ad esso di numerosi altri Stati europei, in misura finora mai avvenuta, e l’adesione di non poche organizzazioni non governative, espressione di un vasto sentire delle popolazioni. Si riconosce dunque, ad un livello giuridico autorevolissimo ed internazionale, che la cultura dei diritti dell’uomo non deve essere posta in contraddizione con i fondamenti religiosi della civiltà europea, a cui il cristianesimo ha dato un contributo essenziale. Si riconosce inoltre che, secondo il principio di sussidiarietà, è doveroso garantire ad ogni Paese un margine di apprezzamento quanto al valore dei simboli religiosi nella propria storia culturale e identità nazionale e quanto al luogo della loro esposizione (come è stato del resto ribadito in questi giorni anche da sentenze di Corti supreme di alcuni Paesi europei). In caso contrario, in nome della libertà religiosa si tenderebbe paradossalmente invece a limitare o persino a negare questa libertà, finendo per escluderne dallo spazio pubblico ogni espressione. E così facendo si violerebbe la libertà stessa, oscurando le specifiche e legittime identità. La Corte dice quindi che l’esposizione del crocifisso non è indottrinamento, ma espressione dell’identità culturale e religiosa dei Paesi di tradizione cristiana. La nuova sentenza della Grande Chambre è benvenuta anche perché contribuisce efficacemente a ristabilire la fiducia nella Corte Europea dei diritti dell’uomo da parte di una gran parte degli europei, convinti e consapevoli del ruolo determinante dei valori cristiani nella loro propria storia, ma anche nella costruzione unitaria europea e nella sua cultura di diritto e di libertà.

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I vescovi europei: “un segno di buon senso, di saggezza e di libertà”

Grande soddisfazione dei vescovi europei per la sentenza della Corte europea sull’esposizione del crocifisso. Per il cardinale Péter Erdő, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) si tratta di un segno “un segno di buon senso, di saggezza e di libertà”. Questa la sua dichiarazione:

“Esprimo soddisfazione per la sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo emessa a seguito del riesame della sentenza del 3 novembre 2009 nel affare Lautsi c. Italie (requête n° 30814/06) circa l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche in Italia per la quale il Governo italiano aveva presentato ricorso il 29 gennaio 2010. L’odierna sentenza della Grande Camera, che ha ribaltato il verdetto della sentenza adottata in precedenza, è un segno di buon senso, di saggezza e di libertà. Il carattere definitivo di questa sentenza acquista un valore simbolico che va ben oltre il caso italiano come avevano testimoniate le numerose reazioni alla prima sentenza suscitate a livello europeo e mondiale. Oggi è stata scritta una pagina di storia. Si è aperta una speranza non solo per i cristiani, ma per tutti i cittadini europei, credenti e laici, che si erano sentiti profondamente lesi dalla sentenza del 3 novembre 2009 e che sono preoccupati di fronte a procedimenti che tendono a sgretolare una grande cultura come quella cristiana e a minare in definitiva la propria identità. Considerare la presenza del crocifisso nello spazio pubblico come contraria ai diritti dell’uomo sarebbe stato negare l’idea stessa di Europa. Senza il crocifisso l’Europa che oggi conosciamo non esisterebbe. Per questo motivo la sentenza è prima di tutto una vittoria per l’Europa. Sono in accordo con la Grande Camera quando lascia intendere che le questioni religiose debbano essere affrontate a livello nazionale da ogni Stato membro. Sono convinto che l’odierna sentenza contribuirà a dare fiducia nella Corte e nelle Istituzioni europee da parte di molti cittadini europei. Con essa, i giudici hanno riconosciuto che la cultura dei diritti dell’uomo non deve per forza escludere la civiltà cristiana.

Questa la nota della Comece (Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea):

“La Comece accoglie con favore il giudizio della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo sul caso Lautsi vs Italia. La Grande Camera della Corte Europea ha dichiarato il 18 marzo 2011 che la presenza dei crocifissi nelle aule delle scuole statali italiane non è contrario al diritto alla educazione. Questa decisione smentisce chiaramente la precedente sentenza del 2009 della Camera della Corte Europea. La Comece vede in questa decisione un riconoscimento del legittimo posto del cristianesimo nella pubblica piazza, nonché il riconoscimento della diversità delle tradizioni culturali in Europa. E' un fatto che in tutta Europa, vi è una varietà di modelli che regolano la questione su come trattare la religione e i simboli religiosi nelle scuole pubbliche e nella vita pubblica. Questa diversità è il risultato delle diverse tradizioni, identità e storie degli Stati membri, e risente del contesto dei diversi rapporti Chiesa-Stato. La Corte riconosce giustamente che l'assenza di un consenso europeo sulla presenza di simboli religiosi nelle scuole statali deve essere preso in considerazione per valutare questo caso. La presenza di un crocifisso nelle scuole non impedisce la trasmissione del sapere in modo obiettivo, critico e pluralistico. La presenza di questo particolare simbolo religioso mira piuttosto a trasmettere valori morali fondamentali nelle scuole pubbliche. In considerazione del principio cattolico della sussidiarietà, la Comece condivide l'opinione della Corte secondo cui il livello più appropriato per poter ragionevolmente valutare tali questioni, che sono profondamente radicati nella tradizione di un determinato paese, è quello nazionale. Il crocifisso simboleggia la crocifissione e la resurrezione di Gesù Cristo. I cristiani di tutte le denominazioni vedono quindi nella croce il simbolo dell'amore globale di Dio per tutta l'umanità. Per i credenti di altre religioni e anche per i non credenti, la croce può essere considerata come un simbolo di non violenza e resistenza alle ritorsioni, la sua esposizione al pubblico ricorda a tutti gli esseri umani il rispetto della dignità umana, un principio da cui sono stati derivati tutti i diritti fondamentali.

Soddisfazione anche del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei.

"Una sentenza importante, di grande buon senso e di grande rispetto per le argomentazioni che sono state presentate dal Governo italiano insieme ad un numero significativo di Paesi europei che hanno condiviso questa posizione del Governo Italiano" afferma il porporato, come rileva il Sir. Intervenuto al termine della Messa per il Mondo del Lavoro che si è svolta ieri pomeriggio nella Cattedrale di Genova, il cardinale ha spiegato che sono state prese "in considerazione serie argomentazioni" che "sono state riconosciute nella loro validità e questo è un segno molto positivo e apprezzabile". "Dall'altra parte - ha proseguito il porporato - c'è la libertà della religione, sia nel suo esercizio interiore, che nel suo esercizio pubblico, nei suoi simboli, soprattutto il crocifisso, che, come è noto, rappresenta ed esprime una concezione, un insieme di valori ampiamente condivisi dalla cultura e dall'antropologia occidentale che hanno nella dignità della persona, nella cultura dell'amore del dono del sacrificio della dedizione quindi della solidarietà un punto fondamentale". "Questa sentenza - ha concluso il card. Bagnasco - è un passo importante anche dal punto di vista giuridico perché afferma e rispetta anche il principio giuridico dei singoli dei Paesi e delle singole tradizioni dei Paesi europei".

Anche il presidente della Conferenza episcopale tedesca (Dbk), mons. Robert Zollitsch, ha espresso soddisfazione per la decisione della Grande Camera della Corte europea per i diritti dell'uomo, che ha assolto l’Italia dall’accusa di violazione dei diritti umani sulla questione del crocifisso nelle scuole. La Corte – riferisce il Sir - ha dimostrato “sensibilità per il significato della Croce come simbolo religioso e culturale”. “Per l’identità dell’Europa nel suo complesso e dei singoli Paesi europei - ha affermato mons. Zollitsch - è fondamentale poter conservare e trasmettere i propri valori e tradizioni”. Infatti, “la Croce è simbolo in modo particolare della cultura europea e dei suoi valori, forgiata in modo sostanziale dall’influsso cristiano. Essa simboleggia ad esempio la pace, l’umanità, la solidarietà e i diritti umani, ineludibili anche per la democrazia secolare”. “Se non vuole perdere la propria identità, lo Stato deve poter riconoscere i propri valori, radici e tradizioni, ovviamente senza imporre una religione ad alcuno. La Croce nelle aule scolastiche è un’espressione discreta del riconoscimento dello Stato della propria identità, dei propri valori e delle proprie radici”, ha concluso mons. Zollitsch, sottolineando che la sua presenza nelle scuole “non prescrive né costringe alcunché” a chi non è di fede cristiana.

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venerdì 25 febbraio 2011

L’Europa timida balbetta una denuncia contro la persecuzione dei cristiani

Dopo quasi tre settimane, finalmente un testo europeo condanna le violazioni alla libertà religiosa contro i cristiani. La denuncia soffre di “eccesso” di equilibrismo e di equidistanza. L’incapacità dell’Ue a comprendere quanto avviene in Africa del Nord e Medio oriente dipende dal suo ignorare le radici cristiane. Senza identità non c’è capacità di lettura e proposte. L’insegnamento di Benedetto XVI.

Dopo oltre tre settimane di dibattito, l’Unione europea è riuscita a produrre un testo in cui si citano in modo esplicito i cristiani come vittime di persecuzione e oggetto di attacchi violenti. Un testo precedente era stato preparato in gennaio, dopo l’attacco terrorista in una chiesa a Bagdad e le uccisioni in una chiesa di Alessandria d’Egitto, ma era stato bocciato proprio per la mancanza di riferimenti ai cristiani, avendo la Ue preferito usare il termine generico di “minoranze religiose”.

Il nuovo testo approvato ieri cita in modo esplicito “i cristiani e i loro luoghi di culto” vittime di “atti di intolleranza religiosa e discriminazione”, ma si affretta subito ad aggiungere fra le vittime di tali atti pure “pellegrini musulmani e altre comunità religiose”.

Il ministro italiano degli Esteri, Franco Frattini, fra i promotori del testo, aveva condannato la prima stesura come un segno di “eccessivo laicismo” presente nella Ue, ma ha espresso soddisfazione per il testo approvato ieri. D’altronde, ricordando che la Costituzione europea non cita le radici cristiane fra le basi storiche dell’Europa, la dichiarazione di ieri rappresenta davvero un parto gigantesco.

Eppure anche questo testo non soddisfa in pieno. Esso cerca di bilanciare le violenze contro i cristiani con quelle contro altre comunità religiose, in un “eccesso” di equilibrio ed equidistanza, non tenendo conto che almeno il 70% delle persecuzioni nel mondo avvengono contro i cristiani. Eppure questi dati impressionanti sono frutto di statistiche (dalla World Christian Encyclopedia al Pew Research Centre) e non tendenziose denunce di parte, tanto da spingere Benedetto XVI a usare per la prima volta in un discorso pontificio la parola “cristianofobia” (v. discorso alla Curia romana del 20 dicembre 2010. Cfr: 20/12/2010 Papa: nella riscoperta “del vero e del buono” si gioca il futuro del mondo e 22/12/2010 Benedetto XVI e il Sinodo: di fronte alla violenza, dialogo e perdono).

Soprattutto, il testo approvato dalla Ue non va oltre qualche generica esortazione sulla difesa della libertà religiosa come “diritto umano universale che va difeso dovunque e per tutti”.

Fa specie confrontare il timido testo della Ue con il solido discorso di Benedetto XVI al corpo diplomatico (10/01/2011 Papa: la libertà religiosa aggredita da terrorismo ed emarginazione). Difendendo la libertà religiosa per tutte le tradizioni religiose, il pontefice si rivolge ai governi per domandare sicurezza; abrogazione di leggi ingiuste (come la blasfemia); spazio per l’educazione libera; garanzie per l’accoglienza del contributo sociale da parte delle comunità religiose, ecc…

La timidezza e i balbettii europei sulla libertà religiosa fanno da pendant all’approssimazione e all’inanità dell’Europa di fronte alle rivolte in atto in Africa del Nord e in Medio oriente. Di fronte alle trasformazioni epocali che avvengono sotto i nostri occhi – con richieste non violente di giustizia, uguaglianza e democrazia – la Ue si mostra impacciata esortando a una “transizione” e piangendo di nascosto tutti i favolosi contratti economici stilati con i dittatori caduti o in bilico.

Si dice che il mondo e l’Europa siano stati presi di sorpresa dalle rivolte in Tunisia, Egitto, ecc.. Noi pensiamo che tale cecità sia dovuta al fatto che in tutti questi anni, quale unico motivo per il rapporto con questi Paesi, la nostra Europa ha avuto solo i suoi interessi strettamente economici e perciò la “stabilità”, non una comunicazione di valori, attenzioni alla società, dialogo fra culture e religioni. In pratica, l’identità europea era solo il suo portafoglio: un po’ poco.

Risuona ancora più urgente un appello di papa Ratzinger nei suoi viaggi in Francia, Repubblica ceca, Malta, Regno Unito: se l’Europa non riscopre le sue radici cristiane, rimarrà muta nel concerto delle nazioni, incapace di identità e di amicizie vere con il resto del mondo.
Bernardo Cervellera, AsiaNews 22 febbraio 2011

mercoledì 23 febbraio 2011

Cristianofobia: l’Europa rompe il suo silenzio

L’Ue nomina finalmente i cristiani come vittime delle violenze che minoranze religiose subiscono in Medio Oriente e altrove. Dopo settimane di esitazioni, denunciate dal ministro Franco Frattini come manifestazioni di «laicismo esasperato che nuoce alla credibilità dell’Europa», i ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno approvato ieri un documento ufficiale in cui «condannano fermamente gli attacchi contro i cristiani ed i loro luoghi di culto, i pellegrini musulmani e le altre comunità religiose» ed esprimono «profonda preoccupazione per il numero crescente di manifestazioni di intolleranza e discriminazione fondate sulla religione, di cui sono testimonianza le violenze e gli atti di terrorismo condotti recentemente in diversi Paesi».

Presiedendo la riunione dei ministri, la rappresentante della politica estera della Ue, Catherine Ashton, ha rivolto un appello ai dirigenti tunisini perché consegnino alla giustizia gli assassini di Marek Rybinsky, il prete cattolico polacco ucciso la settimana scorsa, e perché garantiscano la libertà di praticare la propria religione, al riparo da aggressioni e manifestazioni di intolleranza.

La dichiarazione del Consiglio dei ministri degli Esteri sottolinea poi che «la libertà religiosa è un diritto umano universale che deve essere dovunque garantito e che riguarda tutti: tutte le persone appartenenti a comunità e a minoranze religiose dovrebbero poter praticare la loro religione ed il loro culto liberamente, individualmente o in comunità, senza timore di essere obiettivo di manifestazioni di intolleranza o di aggressioni».
Un primo testo era stato bloccato da Frattini il 31 gennaio perché mancavano riferimenti chiari alle minoranze religiose, in particolare alle comunità cristiane vittime di recenti stragi ad Alessandria d’Egitto (21 morti e 79 feriti ) e a Baghdad (58 morti e 75 feriti il 31 ottobre). La bozza tra l’altro ignorava le sollecitazioni venute nei giorni precedenti dal Parlamento europeo e dall’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa con risoluzioni votate alla quasi unanimità per chiedere ai governi non solo di esprimere condanna ma di ricordare le vittime delle comunità cristiane, di indicare i Paesi in cui le violenze si verificano, di prendere misure concrete ad esempio inserendo il tema della libertà religiosa nelle trattative e nella gestione degli accordi di cooperazione politica ed economica tra l’Ue e altri Paesi.

Su questo piano i ministri degli Esteri si sono limitati ieri a un impegno generico a collaborare con gli altri Paesi per promuovere la tolleranza religiosa come parte essenziale dei diritti dell’uomo. La Conferenza dei vescovi cattolici europei (Comece) ha commentato la dichiarazione dei Ventisette definendola «un passo nella buona direzione». «Tuttavia – ammonisce la Comece – la sicurezza e la sopravvivenza delle comunità cristiane, soprattutto nel Medio Oriente, richiedono un’azione concreta».
Franco Serra
© Copyright Avvenire, 22 febbraio 2011

venerdì 4 febbraio 2011

"Tracciare vie nuove che sboccano nell'Europa dello spirito (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Europa)

La riflessione risale al giugno dello scorso anno; ma non ha perso la sua ineludibile pregnanza ed è tuttora da prendere in seria considerazione.

La crisi demografica e l’avanzata islamica rendono più che mai attuale l’esortazione lanciata nel 2003 da papa Giovanni Paolo II di Antonio Gaspari

Era il 28 giugno del 2003 quando il servo di Dio Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa gridava: “non avere paura, svegliati Europa, ritrova te stessa! Rinnova le tue radici cristiane!”. A distanza di circa sette anni, quell’appello è diventato quanto mai urgente e profetico. La crisi di civiltà che sfida il mondo in questo inizio di terzo millennio trova nell’Europa la sua origine e la sua soluzione. L’aspetto più grave della congiuntura non riguarda la crisi economica-finanziaria, che paradossalmente, con l’Euro più debole, potrebbe riavviare l’economia reale, favorendo le esportazioni e incrementando le opportunità di lavoro.

La vera natura della crisi profonda dell’Europa è causata dal drammatico crollo delle nascite. Dalla metà degli anni Settanta, da quando cioè sono emerse le leggi che hanno legalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza, le culle vuote si sono moltiplicate, i giovani sono diminuiti e gli anziani aumentati. Secondo il rapporto sulla Famiglia in Europa stilato dall’Instituto de Política Familiar (IPF) e calcolato sui dati forniti dall’Eurostat, nei 27 Paesi membri dell’Unione Europea nel 2008 si è praticata un’interruzione volontaria di gravidanza ogni 26 secondi, 138 all’ora, 3.309 ogni giorno, per un totale di 1.207.646 aborti in un anno. La dimensione del fenomeno è drammatica. Negli ultimi 15 anni (1994-2008) sono stati effettuati negli ospedali dei Paesi della Ue oltre 18 milioni di aborti, facendo dell’interruzione volontaria di gravidanza la prima causa di morte nella Ue. Il fenomeno delle culle vuote ha stravolto il rapporto tra numero di giovani e persone anziane. Negli ultimi 15 anni, nell’Unione Europea, la popolazione con età inferiore ai 14 anni è passata da 89 milioni del 1993 a 74,8 milioni del 2008, con una riduzione di oltre dieci milioni di giovani. In Italia attualmente c’è un teenager ogni sette persone e un over 65 anni ogni cinque persone. Se il trend demografico di un continente che invecchia e non fa bambini non viene ribaltato, è chiaro che L’Europa non avrà le forze né l’energia per affrontare e superare le crisi di questo terzo millennio, ed è destinata ad un triste decadimento.

È inoltre evidente che l’indebolimento delle virtù e dell’identità degli europei è connessa all’abbandono della pratica religiosa. Risulta infatti dall’Atlante del cristianesimo globale, presentato di recente ad Edimburgo, che la religione di Cristo sta crescendo in tutto il mondo ad eccezione dell’Europa e dei Paesi di prima evangelizzazione. Ma mentre nei Paesi del Medio Oriente, è stato l’Islam a cancellare i cristiani, in Europa è la divisione delle varie confessioni, la secolarizzazione, la debolezza dei cristiani che sono confusi e che quasi si vergognano di essere seguaci di Cristo, timorosi di testimoniare la loro fedeltà al Papa di Roma ed alla Chiesa cattolica, che favorisce la riduzione della fede. I cattolici nel mondo sono oggi 1,15 miliardi, pari al 16,7 della popolazione del pianeta. Tra le confessioni cristiane i cattolici sono il 50,4%, i protestanti sono il 18,3%, gli ortodossi il 12%, e gli anglicani il 3,8%. Cattolici e cristiani insieme sono al primo posto delle religioni con il 33,2 per cento della popolazione mondiale. Però si tratta della stessa percentuale rilevata nel 1910. È ingente la crescita dei cristiani nei Paesi del Sud del Mondo, bilanciata dal declino dei paesi di prima evangelizzazione, con particolare indebolimento dell’Europa. Impetuosa la crescita dei musulmani che nel 1910 erano il 12,6% dell’umanità e che oggi sono il 22,4%. Considerando che nel 2050 la popolazione mondiale potrebbe essere di 9,2 miliardi, per i cristiani è prevista una crescita fino al 35% del totale, con i musulmani che arriverebbero al 27%.

Il crollo demografico insieme all’indebolimento della fede cristiana in Europa sta favorendo la crescita dell’Islam in uno scenario che la compianta Oriana Fallaci ha chiamato Eurabia. E non è tanto lontano dalla realtà, visto che, se vi capita di andare a Londra, troverete ragazzi musulmani che indossano magliette in cui è scritto “nel 2030 comanderemo noi!”. E come si esce dal rischio di diventare Eurabia? Tra le tante risposte quella più convincente rimane quella formulata dalla Chiesa Cattolica e cioè “riscoprendo le radici cristiane dall’Europa”. In seguito al viaggio a Malta del Pontefice Benedetto XVI, Massimo Introvigne ha scritto: “I viaggi del Papa, non sono mai occasionali. A Malta Benedetto XVI è venuto per rilanciare uno dei temi che alle lobby ha dato fastidio e su cui si vorrebbe farlo tacere: quello dell’Europa che o è cristiana e riconosce la sua storia o non è. In Germania e in Austria il Papa aveva ripreso l’appello di Giovanni Paolo II a riconoscere anche nei testi costituzionali dell’Europa le radici cristiane. In Francia aveva precisato che queste radici sono monastiche, che la cultura europea si è formata con l’azione civilizzatrice dei grandi monasteri del Medioevo. A Malta aggiunge un altro tassello: le radici dell’Europa sono paoline.

La grandezza del nostro continente nasce dal comando di Dio a San Paolo di “passare in Europa”. Anche a Oriente c’erano ricche civiltà. Ma la Provvidenza diresse la nave di Paolo verso l’Europa, non verso l’Asia, e così nacque quello che chiamiamo Occidente”.

E Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa aveva detto: “Europa che sei all'inizio del terzo millennio Non temere! Il Vangelo non è contro di te, ma è a tuo favore. (…) Abbi fiducia! Nel Vangelo, che è Gesù, troverai la speranza solida e duratura a cui aspiri. È una speranza fondata sulla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Questa vittoria Egli ha voluto che sia tua per la tua salvezza e la tua gioia. Sii certa! Il Vangelo della speranza non delude! Nelle vicissitudini della tua storia di ieri e di oggi, è luce che illumina e orienta il tuo cammino; è forza che ti sostiene nelle prove; è profezia di un mondo nuovo; è indicazione di un nuovo inizio; è invito a tutti, credenti e non, a tracciare vie sempre nuove che sboccano nell'Europa dello spirito, per farne una vera ‘casa comune’ dove c'è gioia di vivere”.
[Fonte: L'Ottimista Giovedì 17 Giugno 2010 00:17]

giovedì 3 febbraio 2011

Il Papa al neo ambasciatore austriaco: una casa comune in Europa possibile solo se fondata sulle radici cristiane

Le radici cristiane della Casa comune europea, le relazioni Stato e religione e la difesa della famiglia e del matrimonio tradizionale tra uomo e donna. Sono i temi affrontati da Benedetto XVI nel discorso tenuto questa mattina al nuovo ambasciatore d’Austria presso la Santa Sede, Alfons M. Kloss, ricevuto in udienza per la presentazione delle Lettere credenziali. Il Santo Padre ha inoltre espresso soddisfazione per l’impegno del governo austriaco in sede europea in merito alla difesa del Crocifisso e alla promozione della risoluzione sulla libertà religiosa. Il servizio di Marco Guerra:

La costruzione di una comune casa europea può avere successo solo se si fonda sul cristianesimo e sui valori del Vangelo. Il discorso di Benedetto XVI al nuovo ambasciatore d’Austria presso la Santa Sede, Alfons M. Kloss, offre un’analisi del complesso scenario europeo in cui i Paesi sono chiamati a riscoprire le radici cristiane per perseguire il bene comune. Più di una cultura cristiana – ha spiegato il Pontefice – vale la fede vissuta in cristo e l’amore per il prossimo che si basa sulla parola e la vita di Cristo così come l’esempio dei Santi. E proprio in tal senso il Papa esorta a volgere lo sguardo all’esempio di quattro grandi testimoni della fede austriaci, beatificati di recente: Francesco Jagerstatter, suor Restituta Kafka, Laszlo Batthyany-Strattmann e Carlo I d’Asburgo. Un’Austria – ha ricordato il Papa – da sempre vicina al successore di Pietro. Un Paese che nella sua cultura, nella sua storia e non ultimo nella sua vita quotidiana ha sempre mostrato una profonda fede cattolica, come testimoniano le migliaia di fedeli che hanno partecipato alla visita pastorale e al pellegrinaggio a Mariazell di quattro anni fa.

Il Papa ha poi posto l’accento sulla lunga tradizione austriaca in materia di coesistenza tra culture e religioni per introdurre la questione delle molte frizioni di cui risente il rapporto tra Stato e religione in diversi Paesi del vecchio continente. Da un lato – osserva il Papa – le autorità politiche cercano di escludere la religione dalla sfera pubblica e dall’altro vogliono secolarizzare il messaggio del vangelo adattandolo alla cultura attuale. Per questo motivo Benedetto XVI ha espresso particolare apprezzamento per l’impegno del governo austriaco in sede europea in merito alla difesa del crocefisso e alla promozione della risoluzione sulla libertà religiosa. Il riconoscimento della libertà religiosa – sottolinea il Santo Padre - consente alla Chiesa di svolgere le sue attività a vantaggio della comunità: dall’educazione ai servizi caritativi. Un altro aspetto importante – ha detto in conclusione il Papa - è una ponderata dalla politica della famiglia che rappresenta uno dei principi fondamentali della vita umana e dell’ordine sociale. La famiglia viene definita scuola di umanità che si fonda sull’amore reciproco, la lealtà e la cooperazione. Il Pontefice ha quindi chiesto un particolare sforzo per la tutela del matrimonio tra uomo e donna e la vita nascente.
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mercoledì 2 febbraio 2011

Radici cristiane e storia rimossa un fantasma si aggira per l'Europa

Le radici cristiane e i peccati dell'Europa
Un fantasma s'aggira per l'Europa, verrebbe da dire, parafrasando qualcuno... il fantasma è quello della radici cristiane del Continente. Il rifiuto di riconoscerle da parte della nomenklatura di Bruxelles è stato avvertito da molti cattolici - protestanti e ortodossi sono più defilati, per non dire tiepidi - come una ferita non rimarginata, pronta a riaprirsi. Adesso, un'occasione è data dal documento dell'Unione sulle violenze contro i cristiani.
Alla fine - in linea con l'ideologia egemone nell'europarlamento, la political ccorrectness - nobili appelli alla tolleranza e toccanti esortazioni alla libertà di culto. Insomma, molte parole, tratte una: "cristiani", mai usata nel testo. Le immediate voci cattoliche di protesta hanno affermato che nulla di diverso ci si poteva aspettare da un'Europa che non vuole riconoscere le sue radici, preferendo essere figlia di nessuno che della Chiesa. Qualcuno ha detto che negare quelle radici non è un peccato contro la religione, bensì contro la storia. Ma è davvero così? Ebbene, in quella storia vale la pena di tentare un rapido carotaggio, mai dimenticando le parole con cui Leone XIII annunciava l'apertura agli studiosi dell'Archivio segreto Vaticano: "Il cristianesimo ha bisogno solo di Verità".

Per cominciare dagli inizi, quella verità ci rivela che gli storici sono ormai d'accordo su una realtà: come tutti i rivoluzionari che hanno avuto successo, anche i cristiani sono stati spinti a mitizzare gli inizi eroici. [una mitizzazione che non riguarda la concretezza teandrica della Fede cristiana - ndR]. Sbaglia chi pensa a un Impero Romano impegnato nella persecuzione implacabile e sistematica degli annunciatori di Gesù morto e risorto. Come testimoniano gli Atti degli Apostoli, fu proprio l'Impero - con i suoi magistrati e i suoi soldati - a impedire che il giudaismo ufficiale soffocasse nella culla quella che non pareva altro che una eresia ebraica. Le persecuzioni romane furono discontinue, quasi sempre locali, proclamate da un imperatore, ma messe da parte dal successore. Anche il numero dei martiri sembra sia molto ridotto rispetto alle cifre iperboliche date dagli antichi apologeti.

Meno di quanto si creda i martiri, ma meno di quanto si immagini i battezzati anche quando, quasi tre secoli dopo, Costantino estese la libertà al culto dei cristiani. Nell'Africa del Nord e in Medio Oriente le comunità erano numerose anche se dilaniate da feroci conflitti teologici. In Europa, invece, il cristianesimo aveva creato roccaforti quasi soltanto in alcune grandi città, circondate dalla massa enorme dei "pagani", cioè gli abitanti dei pagi, i villaggi contadini. Una prima cristianizzazione di massa iniziò qualche decennio dopo ma per volontà imperiale quando Teodosio andò ben oltre il decreto costantiniano che dava libertà ai cristiani e tolse la libertà ai non cristiani, imponendo la chiusura dei templi e la distruzione dei segni pagani.

Ma molti ignorano che soltanto poco prima che Francesco d'Assisi mostrasse a quali vette fosse giunta da noi la spiritualità cristiana, gli ultimi pagani europei - quelli degli attuali stati baltici - si arrendevano al lungo assedio cristiano ed accettavano rassegnati il battesimo. Gli altri popoli erano stati convinti a rinnegare (almeno ufficialmente, ma spesso non nella pratica occulta) i culti ai loro dèi non sempre con le buone, anzi talvolta con le cattive. Ci furono anche episodi terribili come l'offensiva di Carlo Magno contro i Sassoni, terminata col massacro di coloro che riflutavano il battesimo. Poco edificante pure le imprese dei Cavalieri Teutonici, questo monaci-soldati che "cristianizzarono" l'est europeo con in pugno una croce e una spada che spesso grondavano di sangue. La loro fama era tale che non a caso Himmler riesumerà le loro insegne e bandiere per quell' "Ordine bruno" in cui voleva trasformare le sue SS.

Intendiamoci: quella verità storica cui deve ispirarsi soprattutto il credente, impone di ricordare l'altro volto della realtà. E cioè l'apostolato coraggioso, tenace, spesso eroico, di schiere di inermi religiosi che si fecero missionari tra i barbari, tra gli idolatri, tra i pagani di ogni sorta e razza, avendo come sola arma il vangelo e l'esempio personale. Né va dimenticato che, se da qualche parte il battesimo fu imposto dalla legge del più forte, in molti altri luoghi il Vangelo fu accolto liberamente e praticato sinceramente. Ne è testomonianza irrefutabile l'Europa che in un paio di secoli si coprì di meravigliose cattedrali costruite con il lavoro, l'impegno, la fede di tutto il popolo. Dagli aristocratici alle prostitute.

Molto altro andrebbe detto a cominciare da quel clamoroso esempio di "eterogenesi dei fini" che fu il monachesimo benedettino: questi uomini fecero l'Europa senza volerlo né saperlo.
Cercavano di chiudersi in cittadelle isolate dove darsi in pace all'orazione e all'ascesi, ma il loro distacco dal mondo creò un mondo nuovo. [vedi discorso di Benedetto XVI a Parigi]

Andrebbe ricordato, soprattutto, che ogni dottrina o ideologia nata in Europa contro il cristianesimo in realtà ha proposto, e propone, ideali incomprensibili senza il retaggio evangelico. A cominciare dalla "Trinità" degli scristianizzatori giacobini - liberté egalité fraternité - che è una sorte di quintessenza cristiana (sia pure mondanizzata ndR). Non dimenticando quel giudeo-cristianesimo secolarizzato che è il marxismo. Insomma, la storia è sempre troppo complicata per chi - da una parte e dell'altra- voglia partire in crociata. Per stare alle radici europee: verità impone di riconoscere che a questo nostro continenete il cristianesimo fu talvolta imposto piuttosto che proposto. Ma venti secoli stanno alle nostre spalle: che metteremmo in questa nostra storia, se rimuovessimo ciò che li ha riempiti a tal punto che anche chi ha cercato di liberarsene ha dovuto rifarsi ai sui valori?
[Fonte: Vittorio Messori, su Il Giornale 31 gennaio 2011]

martedì 1 febbraio 2011

Libertà religiosa, Bruxelles non trova l'accordo

I ministri degli Esteri della Ue non sono riusciti a trovare un accordo sul testo di conclusioni sulle libertà religiose, pertanto hanno deciso di rinviare la questione. La bozza originaria non faceva riferimento nè a cristiani nè a Paesi in particolare. Il rinvio sarebbe stato chiesto da Italia e Francia.

"Non c'è accordo: un nuovo testo verrà discusso alla prossima riunione del consiglio esteri", hanno riferito le fonti, al termine del consiglio dei ministri della Ue. Nella bozza arrivata sul tavolo dei ministri, si condannava "fermamente l'intolleranza, la discriminazione e la violenza fondata sulla religione o le fedi", senza però menzionare alcun paese specifico e nessuna religione in particolare. Un intervento della Ue contro le persecuzioni di cui i cristiani sono vittime nel mondo era stato sollecitato dal ministro degli Esteri Franco Frattini che il 7 gennaio scorso ha inviato all'Alto rappresentante Ue per la politica estera Catherine Ashton una lettera co-firmata dai ministri degli esteri francese, Alliot-Marie, polacco Sikorski, e ungherese Martonyi per chiedere che la questione venisse iscritta all'ordine del giorno della riunione di lunedì e fossero dibattute misure concrete da mettere in atto per promuovere il rispetto della libertà di religione e di espressione. All'iniziativa ha poi aderito anche la Germania.

Secondo il testo, che non è stato giudicato soddisfacente, in particolare da Italia e Francia, la Ue condannava "la violenza recente e gli atti di terrorismo contro luoghi di culto e di pellegrinaggio", sottolineando che "nessun luogo al mondo è esente dal flagello dell'intolleranza religiosa".

"Oggi è stata scritta una pagina non bella". Così il ministro degli Esteri Frattini ha commentato la mancata approvazione di una risoluzione da parte del Consiglio Ue sul tema delle libertà religiose a causa dell'assenza di un esplicito riferimento ai cristiani. "Ho ritenuto che l'Europa non sarebbe stata credibile senza questa menzione", ha aggiunto, affermando che "il laicismo esasperato è dannoso per la credibilità" dell'Europa.

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domenica 9 gennaio 2011

Sessant'anni d'Europa

I primissimi passi nel 1951

L'Europa supera la boa dei sessant'anni. E, come si dovrebbe fare in occasione di un anniversario, si formulano gli auguri, si volta fugacemente lo sguardo al cammino percorso e si torna a guardare avanti con fiducia. Il battesimo ufficiale della prima esperienza di concertazione sovranazionale fra sei nazioni del vecchio continente (Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo) risale al 18 aprile 1951: con la firma del Trattato di Parigi nasceva la Ceca, Comunità europea del carbone e dell'acciaio, alla quale avevano tenacemente lavorato gli statisti dell'epoca, trascinati dai francesi Robert Schuman e Jean Monnet, dal tedesco Konrad Adenauer e dall'italiano Alcide De Gasperi.

La via era stata indicata un anno prima, il 9 maggio 1950, con la Dichiarazione Schuman, che aveva affermato: "La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano…. L'Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto… Il governo francese propone di mettere l'insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta autorità, nel quadro di un'organizzazione alla quale possono aderire gli altri Paesi europei". Ciò "assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della federazione europea".

La Ceca entrerà in funzione il 23 luglio 1952 e di fatto fungerà da modello per un ampliamento della collaborazione tra i Paesi fondatori, fino ai Trattati di Roma del 25 marzo 1957, costitutivi della Cee, Comunità economica europea, e dell'Euratom, la comunità per l'utilizzo a scopi pacifici dell'energia atomica. Dagli ulteriori sviluppi di queste tre comunità, e dalla successiva revisione dei trattati nascerà, nel 1992, l'attuale Unione europea, che oggi, con 27 Stati aderenti e 500 milioni di cittadini, è uno dei principali protagonisti sulla scena mondiale, assicurando pace e democrazia all'interno dei suoi confini e proponendosi di affrontare le sfide dell'era globale con i criteri guida della solidarietà e della sussidiarietà, sanciti dal Trattato di Lisbona.

Fin qui la storia. Ma il sessantesimo compleanno impone all'Ue scelte e impegni nel segno della "piena maturità". Gli auguri, allora, si accompagnano ad alcuni auspici.

Visto che la Ceca era nata con una forte connotazione di "concretezza", dall'Ue, sua legittima erede, ci si attende che produca risultati visibili a vantaggio dei cittadini. Obiettivi da perseguire in vari campi: economia, lavoro, approvvigionamento energetico, tutela dei consumatori, sviluppo territoriale, ambiente, ricerca, cultura, sicurezza, e negli altri settori di competenza, tenuto conto che gli Stati aderenti hanno trasferito alle istituzioni di Bruxelles e Strasburgo una parte della loro autorità legislativa e politica. I risultati - già sperimentabili in tanti campi - potranno convincere l'opinione pubblica che l'Europa è necessaria, soprattutto in una realtà internazionale sempre più complessa e interdipendente.

Per fare tutto questo è però doveroso che le istituzioni comuni si rafforzino e migliorino la propria capacità decisionale. A tale scopo era stato scritto il Trattato di Lisbona, entrato in vigore un anno fa, del quale è già stata decisa una limitata revisione allo scopo di costituire il Meccanismo europeo di stabilità, orientato appunto alla stabilità finanziaria e alla governance economica. Il consolidamento dell'Ue e delle sue istituzioni dipende, però, in gran parte dai governi nazionali: l'Europa comunitaria vede ancora prevalere il carattere "intergovernativo", per cui i governi dei 27, riuniti nel Consiglio, detengono un elevatissimo potere decisionale rispetto a quello dell'Europarlamento e della Commissione, le due istituzioni "più comunitarie". Se i premier europei deporranno l'arma dei nazionalismi e degli interessi di parte, che da alcuni anni frenano l'integrazione, per l'Ue si apriranno nuove prospettive di sviluppo e operatività.

C'è poi da augurarsi che l'Ue sappia coinvolgere maggiormente i cittadini per una vera democrazia partecipativa. In questa direzione si muove, ad esempio, l'"iniziativa dei cittadini" definita dal Trattato di Lisbona, grazie alla quale un milione di persone di 7 Stati possono chiedere una legge europea. Allo stesso modo il nuovo Trattato ha sancito il coinvolgimento delle chiese e delle comunità religiose nel processo di integrazione, riconoscendone la vasta rappresentatività, l'autorevolezza morale e la radicata presenza nella storia e nell'oggi dell'Europa. Un impegno - e una sfida - che le comunità cristiane hanno da tempo mostrato di raccogliere con determinazione.

Non da ultimo, ci si attende che l'Unione possa affermarsi quale protagonista sulla scena mondiale, per la promozione della pace, della democrazia, dei diritti umani e delle libertà fondamentali (si pensi alla libertà di religione, duramente minacciata e offesa anche in questi giorni), valori inscritti nel dna dell'Europa comunitaria.
[Fonte: SIR Europa]