mercoledì 28 novembre 2012

La Slovacchia rivuole le aureole dei suoi santi

(Sir Europa - Bratislava) - Il non voler rappresentare i santi Cirillo e Metodio con i simboli religiosi che li caratterizzano è una mancanza di rispetto nei confronti degli abitanti della Slovacchia e dei valori cristiani. Per questo motivo la Conferenza episcopale slovacca accoglie con favore il fatto che la Banca centrale slovacca abbia cambiato la sua intenzione a riguardo e che il design recentemente approvato della moneta commemorativa rispetti ora le radici cristiane della nazione. Secondo Anton Ziolkovský, segretario esecutivo della Conferenza episcopale, non si possono separare i santi Cirillo e Metodio dalla loro missione: “Ringraziamo tutti coloro che, con il loro sostegno, hanno contribuito a questo cambio e speriamo che le nostre legittime motivazioni siano ora rispettate anche dalla Commissione europea (Ce)”. Il design originario della moneta commemorativa, che sarà emessa in occasione del 1150° anniversario dell’arrivo dei fratelli di Tessalonica nella regione della Grande Moravia, era stato respinto dalla Ce e da diversi Stati membri che avevano chiesto di eliminare l’aureola e le croci dai vestiti. La Banca centrale slovacca, che aveva inizialmente assecondato la richiesta, dopo le proteste giunte dalla Chiesa cattolica, da diverse istituzioni e da eminenti figure della vita sociale e politica slovacca, ha infine deciso di insistere sul design originario mantenendo i simboli religiosi.

A volte far sentire le esigenze delle maggioranze silenziose (e cristiane) calpestate e vilipese è davvero necessario. E adesso prepariamoci alle immancabili polemiche natalizie su: presepi a scuola sì o presepi no...

domenica 25 novembre 2012

Ennesimo torto per i cristiani: Bruxelles boccia l'aureola e la croce sulle monete da 2 euro della Slovacchia

Croce e aureola sono simboli troppo cristiani: 
l’Europa boccia la moneta slovacca da due euro
Leone Grotti, su Tempi .it del 22.11.2012

Nel 2013 la Slovacchia celebrerà il giubileo per 1.150 anni dalla predicazione di Cirillo e Metodio. Una moneta celebrativa voleva i due santi con croce e aureola. Ma l’Europa ha bloccato tutto: non viene rispettata la “neutralità religiosa”.

La croce e l’aureola dei santi sono simboli troppo cristiani per essere ammessi nel consesso europeo. La Commissione europea ha bocciato la proposta della Slovacchia, che per i 1.150 anni dalla predicazione di Cirillo e Metodio ha proposto una moneta da due euro celebrativa.

Scrive il Foglio: «I particolari del bozzetto giudicati intollerabili agli occhi degli euroburocrati sono la croce [raffigurata sui paramenti dei santi] e l’aureola attorno al capo dei due predicatori. La Banca nazionale slovacca lo ha quindi dovuto far modificare, e ora i due santi senza aureola tengono, con aria giustamente affranta, una croce a doppio braccio, che è poi l’emblema nazionale che campeggia anche nella bandiera».

NEUTRALITÀ RELIGIOSA. La notizia è stata data dalla televisione della Repubblica slovacca quando l’immagine era già stata modificata. Le motivazioni europee sono queste: una moneta che potrebbe circolare in tutta l’Unione Europea deve essere “neutrale” dal punto di vista religioso. Il problema è che Cirillo e Metodio non sono affatto neutrali, essendo santi cristiani. Del resto, «se la Slovacchia è Europa il merito è anche dei poveri Cirillo e Metodio – proclamati patroni d’Europa da Giovanni Paolo II: è forse questo che non garba a Bruxelles? – i quali certo non andarono da quelle parti per fare trekking o a passare le acque».

CIRILLO E METODIO DECLASSATI. L’imposizione della modifica della moneta che doveva essere lanciata per il giubileo del 2013 ha preoccupato molto l’episcopato slovacco, che ha dichiarato tramite il suo portavoce: «La rinuncia ai simboli essenziali delle immagini dei santi Constantino-Cirillo e Metodio sulle monete commemorative sta divenendo una svolta culturale e una mancanza di rispetto per la propria storia». Qualcuno in patria ha anche declassato Cirillo e Metodio, affermando che al tempo della predicazione non erano ancora santi, dunque togliere l’aureola è storiograficamente corretto. Altri in Slovacchia hanno fatto notare che il paese è laico e non c’è una religione di Stato. Bisogna aspettarsi dunque che il principio europeo della “neutralità religiosa” porti alla modifica anche dell’emblema nazionale slovacco, una pericolosa croce a due bracci.

giovedì 15 novembre 2012

Europa: allarme intolleranza anti-cristiana

Il documento dell'Ocse conferma che anche nel vecchio continente la religione è oggetto di una sottile e costante ostilità
Lo scorso 9 novembre l’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa ha fatto pervenire all’Osce (Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa) un rapporto sulla situazione della tolleranza religiosa nel continente.

Il dossier mostra una crescente, fattiva ostilità nei confronti delle varie espressioni di fede cristiane. L’Osservatorio ha documento oltre ottocento incidenti di vario genere, intolleranza e discriminazione, contro i cristiani “a occidente di Vienna” negli ultimi sei anni: oltre 130 all’anno.  Il che, se ci pensiamo costituisce una drammatica novità rispetto a quella che poteva essere la situazione fino al 1989, quando i problemi per i credenti, non solo ma particolarmente, cristiani si focalizzavano al di là del “Muro”. 

Le parti sembrano essersi invertite. “Eventi cristiani, raduni di preghiera e celebrazioni liturgiche, così come manifestazioni di cristiani sono interrotte o attaccate”. L’Osservatorio rileva incidenti del genere per esempio in Austria, Germania e Spagna. Un episodio citato riguarda una ragazza olandese, che durante la Giornata mondiale della Gioventù a Madrid è stata aggredita verbalmente e quasi fisicamente nell’agosto del 2011 da un gruppo di anarchici. “Mi gridavano contro, me e contro gli altri del mio gruppo a una stazione del metro, e uno di loro voleva picchiarmi, ma persone del mio gruppo mi hanno protetto”.

Secondo l’Osservatorio, i gruppi più aggressivi “includono la sinistra radicale, gruppi anti religione, i cosiddetti gruppi ‘antifa’, gruppi femministi radicali e gruppi di attivisti radicali LGBT. Alcuni di loro ricevono finanziamenti da governi”. I loro metodi includono insulti ritmati in coro del genere: “Se Maria avesse abortito, avremmo fatto a meno di voi”, o cartelloni che rappresentano un maiale crocifisso. “Non sono inusuali gli incitamenti alla violenza, rumori assordanti per impedire agli oratori di parlare, così come il blocco di strade o dell’ingresso dei luoghi degli eventi, danneggiamenti materiali e persino attacchi fisici”.

Una preoccupazione particolare è stata citata dall’Osservatorio per quanto riguarda le manifestazioni pro vita. “Temiamo che i governi, o i tribunali locali, pensino di stabilire una zona di divieto alle manifestazioni intorno ai luoghi in cui si abortisce, il che costituirebbe di per sé una violazione della libertà di associazione. Senza una ragione particolarmente cogente, questo tipo di proibizione non è giustificato”. L’assemblea parlamentare dell’Osce nella sua risoluzione del luglio 2011 raccomanda agli Stati membri di emanare leggi che garantiscano la libertà di associazione “così che il diritto dei cristiani di partecipare pienamente alla vita pubblica sia assicurato”. 

Fra le raccomandazioni dell’Osservatorio all’Osce c’è dunque quella di non proibire l’attività dei gruppi pro life nelle vicinanze dei luoghi in cui si praticano aborti. E inoltre di controllare l’elargizione di fondi a gruppi radicali anti religiosi, a gruppi radicali di femministe e ai gruppi radicali LGBT, comprese le Ngo (Organizzazioni non governative) e di ritirare il finanziamento quando ci sono prove che questi gruppi agiscono contro la libertà di associazione. 

Un’ultima raccomandazione riguarda le forze dell’ordine. “Consigliamo di migliorare l’allenamento, e di sensibilizzare la consapevolezza degli agenti, così che chi viola la legge sia assicurato alla giustizia, perché ciò che sta accadendo non è semplicemente una differenza di opinioni espressa civilmente”.  E non si tratta di episodi isolati: “In un panorama frammentato di ostilità sociale, di stereotipi negativi, di vandalismo e di incidenti di odio, e di restrizioni governative più o meno sottili, è visibile un preoccupante disegno”.
Marco Tosatti
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domenica 11 novembre 2012

Europa, libertà religiosa a rischio

La libertà di espressione dei cristiani è in pericolo in tutta Europa. È quanto risulta da una denuncia presentata oggi dall’Osservatorio dell’Intolleranza e Discriminazione contro i Cristiani (OIDAC) alla conferenza internazionale dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) in corso a Vienna sul tema della libertà di riunione e di associazione. 

L’Osservatorio segnala negli ultimi sei anni più di ottocento casi in Europa nei quali la libertà dei cristiani di esprimere pubblicamente la loro fede è stata violata. «Molti di questi casi – spiega il sociologo torinese Massimo Introvigne, responsabile in Italia dell’Osservatorio della Libertà Religiosa promosso dal Ministero degli Esteri, i cui dati sono a loro volta utilizzati e citati nella denuncia presentata oggi dall’OIDAC – sono relativi a divieti e restrizioni imposti ai cristiani che intendono manifestare pubblicamente la loro contrarietà al matrimonio omosessuale o all’aborto. 

In particolare, è molto preoccupante che diversi Paesi creino o stiano pensando di creare il cosiddetto “banning mile”, un miglio quadrato intorno alle cliniche o ospedali dove si praticano aborti, o alle sale dove si celebrano matrimoni omosessuali, nel quale è vietata qualunque manifestazione, protesta o distribuzione di volantini critici». «Naturalmente – precisa Introvigne – quando le autorità vietano manifestazioni anti-abortiste o contrarie al matrimonio omosessuale violente ovvero che utilizzano insulti, minacce o toni offensivi contro le persone fanno semplicemente il loro mestiere, e queste restrizioni sono giustificate. 

Tuttavia sempre più spesso sono vietate anche manifestazioni del tutto pacifiche e pacate. E in questo secondo caso si tratta di violazioni della libertà dei cristiani di esprimersi su materie che per loro sono cruciali e non negoziabili». «E c’è anche il rischio di adottare due pesi e due misure – conclude il sociologo –. Perché mai dovrebbe esserci un “banning mile” intorno alle cliniche dove si praticano aborti e non nelle aree intorno alle chiese cristiane, teatro spesso di proteste sguaiate e offensive?».La libertà di espressione dei cristiani è in pericolo in tutta Europa. È quanto risulta da una denuncia presentata oggi dall’autorevole Osservatorio dell’Intolleranza e Discriminazione contro i Cristiani (OIDAC) alla conferenza internazionale dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) in corso a Vienna sul tema della libertà di riunione e di associazione. 

L’Osservatorio segnala negli ultimi sei anni più di ottocento casi in Europa nei quali la libertà dei cristiani di esprimere pubblicamente la loro fede è stata violata. «Molti di questi casi – spiega il sociologo torinese Massimo Introvigne, responsabile in Italia dell’Osservatorio della Libertà Religiosa promosso dal Ministero degli Esteri, i cui dati sono a loro volta utilizzati e citati nella denuncia presentata oggi dall’OIDAC – sono relativi a divieti e restrizioni imposti ai cristiani che intendono manifestare pubblicamente la loro contrarietà al matrimonio omosessuale o all’aborto. In particolare, è molto preoccupante che diversi Paesi creino o stiano pensando di creare il cosiddetto “banning mile”, un miglio quadrato intorno alle cliniche o ospedali dove si praticano aborti, o alle sale dove si celebrano matrimoni omosessuali, nel quale è vietata qualunque manifestazione, protesta o distribuzione di volantini critici». «Naturalmente – precisa Introvigne – quando le autorità vietano manifestazioni anti-abortiste o contrarie al matrimonio omosessuale violente ovvero che utilizzano insulti, minacce o toni offensivi contro le persone fanno semplicemente il loro mestiere, e queste restrizioni sono giustificate.

Tuttavia sempre più spesso sono vietate anche manifestazioni del tutto pacifiche e pacate. E in questo secondo caso si tratta di violazioni della libertà dei cristiani di esprimersi su materie che per loro sono cruciali e non negoziabili». «E c’è anche il rischio di adottare due pesi e due misure – conclude il sociologo –. Perché mai dovrebbe esserci un “banning mile” intorno alle cliniche dove si praticano aborti e non nelle aree intorno alle chiese cristiane, teatro spesso di proteste sguaiate e offensive?». 
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[Fonte: La Stampa, 9 novembre 2012]

venerdì 27 luglio 2012

Fallisce l'Europa perché ha venduto l'anima

Era il giugno 1988, mancavano solo pochi mesi al crollo definitivo dell’Impero sovietico, ma già c’erano tutti i segni del fallimento del terribile esperimento comunista.

A un convegno a Leningrado il cardinale Carlo Maria Martini disse: ogni volta che “si è rifiutato Dio, se ne è perso o sminuito il senso o lo si è presentato in modo scorretto, ci si è incamminati verso forme più o meno larvate di decadenza dell’uomo e della stessa convivenza sociale”.

Il comunismo era stato imposto proprio con questa certezza: l’eliminazione di Dio come premessa per il regno dell’umanità, del benessere e della felicità.

Sappiamo com’è andata a finire. Cancellato Dio è stato distrutto l’uomo. Perché “se Dio non c’è tutto è permesso” (Dostoevskij).

Mi chiedo: non sta accadendo la stessa cosa in Europa? Non si addicono oggi al nostro continente quelle parole che il cardinale Martini pronunciò a Leningrado alla vigilia del crollo del comunismo?

L’Unione europea – che per tanti versi, diceva Vladimir Bukovskij, somiglia all’Unione sovietica – si è costituita proprio, attorno al 2000, estromettendo i popoli europei dalla decisione sul loro futuro e rinnegando sia le “radici cristiane” (cancellate dal progetto di Costituzione europea), sia le origini spirituali del progetto europeista.

Infatti De Gasperi, Adenauer e Schumann, sessant’anni fa, pensarono e vollero la comunità europea sulle basi culturali cristiane, per combattere i totalitarismi e per mettere fine alle guerre che avevano devastato il continente.

Ma appena la tecnocrazia si è impossessata del progetto europeista è ricominciata la guerra.

Stavolta fatta non più con i cannoni, ma una guerra economica, che sta provocando distruzioni e drammi umani paragonabili a quelle delle guerre reali.

Fra l’altro si tratta pure di una tecnocrazia incapace, avendo imposto una folle unione monetaria senza banca di riferimento e senza stato. Così adesso siamo alla frutta. Anzi, alla grappa.

L’Europa è devastata dalla speculazione, l’unione è diventata disunione, dilaga la miseria e la paura del futuro. Faticosamente la famiglia resta una delle poche cellule di coesione, ma è aggredita da ogni parte.

In compenso abbiamo i matrimoni gay, i crocifissi sono banditi dai luoghi pubblici e dai cuori, la finanza che ha provocato la crisi spadroneggia, i milioni di bambini cancellati dall’aborto di stato  sono stati rimpiazzati da colossali ondate di immigrazione e la vuota ideologia politically correct domina incontrastata nel nulla di un continente dimentico della sua anima.

In questo smarrimento generale purtroppo manca la voce profetica di Giovanni Paolo II. Era lui che fin dall’inizio del suo pontificato – proprio contro i totalitarismi e le loro guerre – aveva proclamato l’unità cristiana dell’Europa dall’Atlantico agli Urali.

Quando il suo annuncio profetico si è realizzato, con il crollo del Muro di Berlino, però, è stata imposta un’altra Europa, senza cristianesimo, senza Dio, con poca libertà e con nuovi muri. Uno altissimo si sta erigendo in questi giorni fra Nord Europa e Sud mediterraneo.

Così ora non abbiamo più una casa europea, non abbiamo più una patria perché è stata espropriata della sua sovranità e non abbiamo più nemmeno una moneta.

Non abbiamo (in tutta Europa) leadership politiche all’altezza della situazione, ma piccoli apprendisti stregoni che ci portano nel baratro.

Perché almeno la Chiesa non fa sentire la sua voce? Niente più richiamo alle “radici cristiane” dell’Europa e alla sua missione? Niente più esortazione alla solidarietà tra i popoli?

Niente più monito contro gli egoismi nazionali? E’ stato dimenticato il magistero di Giovanni Paolo II?  

Durante la prima guerra mondiale solo la voce del Papa Benedetto XV si alzò a denunciare l’ “inutile strage”. Nel corso della seconda Pio XII fu il grande faro luminoso nella notte dell’orrore.

Oggi è in corso la terza guerra mondiale e per la prima volta sembra non vi sia più una luce a cui guardare. Perciò il popolo dei semplici, in questa estate d’ansia, affolla Medjugorje, Fatima e Lourdes.
26 luglio 2012
 Antonio Socci
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[Fonte: Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci]

venerdì 13 luglio 2012

San Benedetto da Norcia, Patrono d'Europa

vorrei oggi parlare di san Benedetto, Fondatore del monachesimo occidentale, e anche Patrono del mio pontificato. Comincio con una parola di san Gregorio Magno, che scrive di san Benedetto: “L’uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina” (Dial. II, 36). Queste parole il grande Papa scrisse nell’anno 592; il santo monaco era morto appena 50 anni prima ed era ancora vivo nella memoria della gente e soprattutto nel fiorente Ordine religioso da lui fondato. San Benedetto da Norcia con la sua vita e la sua opera ha esercitato un influsso fondamentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea. La fonte più importante sulla vita di lui è il secondo libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno. Non è una biografia nel senso classico. Secondo le idee del suo tempo, egli vuole illustrare mediante l’esempio di un uomo concreto – appunto di san Benedetto – l’ascesa alle vette della contemplazione, che può essere realizzata da chi si abbandona a Dio. Quindi ci dà un modello della vita umana come ascesa verso il vertice della perfezione. San Gregorio Magno racconta anche, in questo libro dei Dialoghi, di molti miracoli compiuti dal Santo, ed anche qui non vuole semplicemente raccontare qualche cosa di strano, ma dimostrare come Dio, ammonendo, aiutando e anche punendo, intervenga nelle concrete situazioni della vita dell’uomo. Vuole mostrare che Dio non è un’ipotesi lontana posta all’origine del mondo, ma è presente nella vita dell’uomo, di ogni uomo.

Questa prospettiva del “biografo” si spiega anche alla luce del contesto generale del suo tempo: a cavallo tra il V e il VI secolo il mondo era sconvolto da una tremenda crisi di valori e di istituzioni, causata dal crollo dell’Impero Romano, dall’invasione dei nuovi popoli e dalla decadenza dei costumi. Con la presentazione di san Benedetto come “astro luminoso”, Gregorio voleva indicare in questa situazione tremenda, proprio qui in questa città di Roma, la via d’uscita dalla “notte oscura della storia” (cfr Giovanni Paolo II, Insegnamenti, II/1, 1979, p. 1158). Di fatto, l’opera del Santo e, in modo particolare, la sua Regola si rivelarono apportatrici di un autentico fermento spirituale, che mutò nel corso dei secoli, ben al di là dei confini della sua Patria e del suo tempo, il volto dell’Europa, suscitando dopo la caduta dell’unità politica creata dall’impero romano una nuova unità spirituale e culturale, quella della fede cristiana condivisa dai popoli del continente. E’ nata proprio così la realtà che noi chiamiamo “Europa”.

La nascita di san Benedetto viene datata intorno all’anno 480. Proveniva, così dice san Gregorio, “ex provincia Nursiae” – dalla regione della Nursia. I suoi genitori benestanti lo mandarono per la sua formazione negli studi a Roma. Egli però non si fermò a lungo nella Città eterna. Come spiegazione pienamente credibile, Gregorio accenna al fatto che il giovane Benedetto era disgustato dallo stile di vita di molti suoi compagni di studi, che vivevano in modo dissoluto, e non voleva cadere negli stessi loro sbagli. Voleva piacere a Dio solo; “soli Deo placere desiderans” (II Dial., Prol 1). Così, ancora prima della conclusione dei suoi studi, Benedetto lasciò Roma e si ritirò nella solitudine dei monti ad est di Roma. Dopo un primo soggiorno nel villaggio di Effide (oggi: Affile), dove per un certo periodo si associò ad una “comunità religiosa” di monaci, si fece eremita nella non lontana Subiaco. Lì visse per tre anni completamente solo in una grotta che, a partire dall’Alto Medioevo, costituisce il “cuore” di un monastero benedettino chiamato “Sacro Speco”. Il periodo in Subiaco, un periodo di solitudine con Dio, fu per Benedetto un tempo di maturazione. Qui doveva sopportare e superare le tre tentazioni fondamentali di ogni essere umano: la tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la tentazione della sensualità e, infine, la tentazione dell’ira e della vendetta. Era infatti convinzione di Benedetto che, solo dopo aver vinto queste tentazioni, egli avrebbe potuto dire agli altri una parola utile per le loro situazioni di bisogno. E così, riappacificata la sua anima, era in grado di controllare pienamente le pulsioni dell’io, per essere così un creatore di pace intorno a sé. Solo allora decise di fondare i primi suoi monasteri nella valle dell’Anio, vicino a Subiaco.

Nell’anno 529 Benedetto lasciò Subiaco per stabilirsi a Montecassino. Alcuni hanno spiegato questo trasferimento come una fuga davanti agli intrighi di un invidioso ecclesiastico locale. Ma questo tentativo di spiegazione si è rivelato poco convincente, giacché la morte improvvisa di lui non indusse Benedetto a ritornare (II Dial. 8). In realtà, questa decisione gli si impose perché era entrato in una nuova fase della sua maturazione interiore e della sua esperienza monastica. Secondo Gregorio Magno, l’esodo dalla remota valle dell’Anio verso il Monte Cassio – un’altura che, dominando la vasta pianura circostante, è visibile da lontano – riveste un carattere simbolico: la vita monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza di vita. Di fatto, quando, il 21 marzo 547, Benedetto concluse la sua vita terrena, lasciò con la sua Regola e con la famiglia benedettina da lui fondata un patrimonio che ha portato nei secoli trascorsi e porta tuttora frutto in tutto il mondo.

Nell’intero secondo libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore (5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo (7). In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio.

All’obbedienza del discepolo deve corrispondere la saggezza dell’Abate, che nel monastero tiene “le veci di Cristo” (2,2; 63,13). La sua figura, delineata soprattutto nel secondo capitolo della Regola, con un profilo di spirituale bellezza e di esigente impegno, può essere considerata come un autoritratto di Benedetto, poiché – come scrive Gregorio Magno – “il Santo non poté in alcun modo insegnare diversamente da come visse” (Dial. II, 36). L’Abate deve essere insieme un tenero padre e anche un severo maestro (2,24), un vero educatore. Inflessibile contro i vizi, è però chiamato soprattutto ad imitare la tenerezza del Buon Pastore (27,8), ad “aiutare piuttosto che a dominare” (64,8), ad “accentuare più con i fatti che con le parole tutto ciò che è buono e santo” e ad “illustrare i divini comandamenti col suo esempio” (2,12). Per essere in grado di decidere responsabilmente, anche l’Abate deve essere uno che ascolta “il consiglio dei fratelli” (3,2), perché “spesso Dio rivela al più giovane la soluzione migliore” (3,3). Questa disposizione rende sorprendentemente moderna una Regola scritta quasi quindici secoli fa! Un uomo di responsabilità pubblica, e anche in piccoli ambiti, deve sempre essere anche un uomo che sa ascoltare e sa imparare da quanto ascolta.

Benedetto qualifica la Regola come “minima, tracciata solo per l’inizio” (73,8); in realtà però essa offre indicazioni utili non solo ai monaci, ma anche a tutti coloro che cercano una guida nel loro cammino verso Dio. Per la sua misura, la sua umanità e il suo sobrio discernimento tra l’essenziale e il secondario nella vita spirituale, essa ha potuto mantenere la sua forza illuminante fino ad oggi. Paolo VI, proclamando nel 24 ottobre 1964 san Benedetto Patrono d’Europa, intese riconoscere l’opera meravigliosa svolta dal Santo mediante la Regola per la formazione della civiltà e della cultura europea. Oggi l’Europa – uscita appena da un secolo profondamente ferito da due guerre mondiali e dopo il crollo delle grandi ideologie rivelatesi come tragiche utopie – è alla ricerca della propria identità. Per creare un’unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa. Senza questa linfa vitale, l’uomo resta esposto al pericolo di soccombere all’antica tentazione di volersi redimere da sé – utopia che, in modi diversi, nell’Europa del Novecento ha causato, come ha rilevato il Papa Giovanni Paolo II, “un regresso senza precedenti nella tormentata storia dell’umanità” (Insegnamenti, XIII/1, 1990, p. 58). Cercando il vero progresso, ascoltiamo anche oggi la Regola di san Benedetto come una luce per il nostro cammino. Il grande monaco rimane un vero maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte di vivere l’umanesimo vero.
Dalla Catechesi di Papa Benedetto XVI

mercoledì 13 giugno 2012

L'articolo è datato, ma l'accenno ai movimenti resta attualissimo

Quando, tra tre mesi o tre anni, sparirà Berlusconi non credo che vi sarà un sistema politico in grado di arrestare il declino del paese.
Tutto ciò che ha una rilevanza essenziale per il futuro del Paese viene completamente rimosso per far posto alle serate di Arcore e alle furibonde e indecenti liti tra schieramenti. Ma la crisi non ha origine e fine con il politico Berlusconi, è pervasa in tutta la società e bisogna essere ciechi e sordi per non accorgersene.

La crisi della Chiesa è ancora più grave ed assiste ignava, anzi ha preceduto, il crollo etico e morale dell’Europa laica e non più cristiana almeno da alcuni decenni. Quando parlano i Vescovi il loro stile antistorico, felpato e camaleontico (spacciato quando non elogiato per moderazione e prudenza) mette tutti d’accordo, non vi è una persona che non possa dire: “è proprio vero”, nessuno si sente toccato, incoraggiato o rimproverato.
Esempi di autentica fede, troppo lontani nel tempo e nello spazio, non bastano (è nei fatti) a indicare la strada all’uomo di oggi.

La crisi ha colpito anche i Movimenti sorti negli ultimi decenni, un tempo vitalissimi e autentica speranza e presenza delle Comunità ecclesiali.
Cosa è rimasto ad esempio in CL dell’intelligenza, della gratuità, dell’accoglienza, del disinteresse ai beni materiali, della creatività, dell’amicizia, della condivisione, della missione nel posto di lavoro e soprattutto del rischio di abbandonarsi stupiti ad un esperienza sconvolgente e inaspettata. Un pugno di amici e 34.000 imprese aderenti alla Compagnia delle Opere.

Cosa fare dunque?
Questa epoca ricorda in maniera impressionante la dissoluzione dell’impero romano, ma proprio in quell’epoca San Benedetto pose le basi di una unità tra barbari e latini e avviò la fondazione dell’Europa. San Benedetto inorridito dalla decadenza sociale dell’antico impero fece diventare eroico il quotidiano e il quotidiano eroico e fu il ”Padre dell’Europa”. Il declino si può fermare solo con la responsabilità di ciascuno di noi; siamo chiamati a rispondere ogni giorno delle nostre azioni piccoli o grandi che siano i loro effetti, piccoli o grandi che siano le loro conseguenze. Le nostre azioni potrebbero sembrare una piccola inutile goccia ma come ci insegna Madre Teresa di Calcutta il mare è fatto di gocce.

Lavorare con intelligenza e con grande senso etico perchè questo modo di porci ci riempie di soddisfazioni e ci appassiona, ma senza stare in silenzio, stare in silenzio oggi significa essere omertosi se non complici.
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[Fonte Vino nuovo]

sabato 19 maggio 2012

Convegno a Bruxelles sugli aspetti etici e religiosi delle nuove frontiere della scienza

Una parola ecumenica sul futuro dell’uomo

Cosa accade all’autocomprensione dell’uomo e alla pietà religiosa quando la vita umana è vista come l’oggetto di un progetto tecnologico piuttosto che come il risultato di un’evoluzione o della creazione divina? È questa una delle principali domande alle quali vuole dare una risposta il convegno ecumenico “Human Enhancement: Moral, Religious and Ethical Aspects from a European Perspective”, che si tiene a Bruxelles dal 25 al 27 aprile. 

L’incontro è promosso dalla commissione Chiesa e società della Conferenza delle Chiese europee (Kek), sotto l’auspicio del segretario generale del Consiglio d’Europa, in collaborazione e con il sostegno, tra gli altri, della Community of Protestant Churches in Europe. Il convegno, organizzato nel corso del 2011 da una commissione internazionale di teologi e uomini di scienza, è stato pensato come l’inizio di un percorso di approfondimento ecumenico su alcuni temi. La Kek, infatti, desidera offrire un contributo al dibattito contemporaneo sul rapporto tra etica, scienza e tecnologia, ponendo una particolare attenzione ai più recenti sviluppi della bioetica e della biotecnologia. 

Si tratta di temi sui quali la Kek conduce, spesso in collaborazione con la Chiesa cattolica, una riflessione che ha alle spalle anni di incontri ecumenici, con i quali si è imparato a pensare insieme a come i cristiani devono rispondere alle nuove frontiere della scienza. Infatti, già nel 2003 la commissione Chiesa e società ha organizzato un convegno ecumenico su “Human life in our hands? Churches and Bioethics”. A questo convegno, che affrontava uno dei temi più controversi del tempo, presero parte quasi cento rappresentanti di Chiese e comunità ecclesiali da ventidue Paesi per un primo confronto ecumenico internazionale. Nel corso degli anni si è venuto ampliando il dibattito ecumenico sul rapporto tra etica e scienza, suscitando molto interesse e determinando qualche difficoltà non solo tra le diverse tradizioni cristiane, ma anche all’interno delle singole confessioni, chiamate a confrontarsi anche con le sollecitazioni delle istituzioni europee e nazionali. 

Uno dei segni di questo crescente interesse ecumenico è stato il documento sull’Human Enhancement, preparato dal gruppo di lavoro sulla bioetica e la biotecnologia della Kek e presentato all’assemblea generale di Lione, nel 2009. Questo documento, che è stato particolarmente apprezzato in ambito ecumenico, anche fuori dall’Europa, cercava di arricchire il dibattito delle istituzioni politiche e del mondo della scienza con un richiamo all’importanza di una visione teologica sulla creazione. Al tempo stesso il documento voleva ampliare la discussione su questi temi tra i cristiani nella consapevolezza che ancora molto dovesse essere fatto per un maggiore coinvolgimento ecumenico nel dibattito in corso. Proprio dal dibattito intorno a questo documento è nata l’idea di organizzare un convegno ecumenico internazionale così da moltiplicare le occasioni di confronto con il mondo della scienza per aiutarlo a non perdere di vista la centralità della persona umana. 

Il convegno di Bruxelles, che sarà aperto dal metropolita di Francia, Emmanuel, presidente della Kek, si propone di favorire un dialogo internazionale, interdisciplinare e interconfessionale per definire i termini dell’human enhancement, cioè di come la scienza possa e debba migliorare la vita dell’uomo, senza però stravolgere la sua natura come se l’uomo non fosse altro che una “macchina” sulla quale intervenire per migliorare le sue prestazioni. Su queste “nuove tecnologie” le Chiese e le comunità ecclesiali in Europa sono chiamate a un confronto ecumenico a partire dai diversi approcci, che caratterizzano la propria ricerca teologica, anche in rapporto alle istituzioni europee e al mondo della scienza. In questa fase di confronto gli organizzatori del convegno di Bruxelles auspicano un coinvolgimento anche delle altre religioni, soprattutto di quelle che hanno presenza particolarmente forte in Europa, tanto che il programma del convegno di Bruxelles comprende anche dei relatori musulmani e ebrei. 

A Bruxelles sarà preso in esame anche il documento discusso nell’assemblea generale di Lione del 2009, in modo da procedere a una sua revisione che tenga conto degli ulteriori sviluppi ecumenici su questi temi. Infatti, appare quanto mai importante giungere a una riflessione pienamente condivisa dai cristiani, così da proporre una “comune voce ecumenica” alle istituzioni europee. Proprio una sempre più stretta collaborazione ecumenica appare la premessa necessaria per rafforzare il dialogo con i diversi soggetti dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa che stanno affrontando, a vario livello, il tema del rapporto tra etica e scienza. 

Le istituzioni europee, infatti, rappresentano l’interlocutore privilegiato in questa fase nella quale appare evidente quanto i cristiani possano contribuire a chiarire i termini e i limiti della biotecnologia alla luce di una testimonianza evangelica che metta al centro i valori umani. A Bruxelles si rifletterà, dunque, sulla ricerca di un necessario equilibrio tra il miglioramento delle “prestazioni” del genere umano da un punto di vista puramente fisico e lo sviluppo delle sue capacità morali, mentali e spirituali, così come è all’ordine del giorno il rapporto tra i cospicui investimenti economici nella ricerca in questo campo e quelli necessari per assicurare un’assistenza sanitaria sempre più capillare e professionale, dal momento che non mancano le voci ecumeniche che hanno denunciato il drenaggio di risorse economiche che sarebbero utili per combattere le tante situazioni di povertà e abbandono presenti anche in Europa. 

Questo punto è strettamente connesso alla riflessione su come questo “nuovo” uomo possa accentuare ancora di più le distanze economiche nel mondo, determinando anche la creazione di una società sempre più individualista. Fin dalla formulazione della proposta di questo convegno internazionale la commissione organizzatrice ha auspicato che si potesse giungere alla redazione di un testo che costituisse una base sulla quale proseguire una riflessione ecumenica che fosse alimentata dal contributo di tutti i cristiani. Anche per questo il convegno di Bruxelles si propone di ampliare la partecipazione di gruppi e associazioni ecumeniche. 
 Riccardo Burigana 
L'Osservatore Romano 25 aprile 2012

martedì 1 maggio 2012

Il Consiglio d'Europa rivolge un appello per la difesa dei cristiani


 Si raccomanda di vigilare sulla libertà religiosa negli Stati membri 

STRASBURGO, venerdì, 28 gennaio 2011 (ZENIT.org).- L'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa ha approvato questo giovedì una Raccomandazione composta da 17 punti su “La violenza contro i cristiani in Medio Oriente”.
La Raccomandazione e l'esposizione dei motivi sono state redatte dal membro italiano del Parlamento Luca Volontè. L'approvazione è avvenuta con 125 voti favorevoli, 9 contrari e 13 astensioni.
Il documento segnala che i cristiani sono presenti in Medio Oriente da quando il cristianesimo è iniziato in quella regione, ma che durante l'ultimo secolo le comunità stanno a poco a poco scomparendo.
“La situazione sta diventando sempre più seria dagli inizi del XXI secolo, e se non verrà gestita in modo adeguato ci porterà alla scomparsa, in poco tempo, delle comunità cristiane in Medio Oriente, cosa che implicherebbe anche la perdita di una parte importante del patrimonio religioso dei Paesi interessati”, si dichiara nel documento del Consiglio.
Il Consiglio Europeo condanna espressamente i due recenti episodi di violenza contro i cristiani: l'attacco a una chiesa di Baghad (Iraq) e l'attentato del 1° gennaio ad Alessandria d'Egitto. Menziona anche l'episodio avvenuto a Natale a Cipro.
“L'Assemblea chiede alla Turchia di chiarire totalmente le circostanze in cui è avvenuta l'interruzione della celebrazione della Messa cristiana di Natale nei paesi di Rizokarpaso e Ayia Triada, nella zona nord di Cipro, il 25 dicembre 2010; ha chiesto anche di fare il possibile per portare i colpevoli davanti alla giustizia”, afferma il documento.
“L'Assemblea chiede anche all'Iraq e all'Egitto di essere trasparenti e decisi nei loro tentativi di portare i colpevoli degli attentati di Baghdad e di Alessandria di fronte alla giustizia il prima possibile”.
La Raccomandazione afferma inoltre che “le libertà di pensiero, di coscienza e di religione, inclusa l'opportunità di cambiare la propria religione, sono diritti umani universali”.

All'opera

Un comunicato diffuso dal Centro Europeo di Diritto e Giustizia (ECLJ) afferma che si accoglie con soddisfazione il risultato del voto dei membri dell'Assemblea, e osserva che la negazione del ruolo del cristianesimo nella cultura europea è “anch'esso un tipo di violenza” contro i cristiani.
Riferendosi alla persecuzione contro i cristiani esercitata dai regimi comunisti e dai fondamentalisti islamici, il comunicato dell'ECLJ sostiene che “anche l'ideologia della secolarizzazione discrimina le religioni”, a vario livello.
A questo riguardo, “l'Europa deve essere ferma”, ha aggiunto.
Il Centro ha commentato che “la lista delle azioni politiche concrete e chiare” è il “risultato più importante di questa Raccomandazione”.
Queste azioni includono l'appello a “sviluppare un organo permanente per vigilare sulle situazioni di restrizioni governative e sociali nell'ambito della libertà religiosa e dei diritti ad essa collegati negli Stati membri del Consiglio Europeo e negli Stati del Medio Oriente, e informare periodicamente l'Assemblea”.
L'organo permanente dovrebbe anche “prestare più attenzione nell'ambito della libertà di religione o di credo e alla situazione delle comunità religiose, incluse quelle cristiane, nella loro cooperazione con Paesi terzi così come nei rapporti sui diritti umani”.
La Raccomandazione richiede anche una politica globale di asilo basata su motivi religiosi e la promozione di politiche di aiuto per reinserire i cristiani rifugiati nei loro Paesi di origine e sostenere le comunità che offrono un rifugio alle minoranze cristiane del Medio Oriente.
La Raccomandazione segue i passi di una risoluzione presa dal Parlamento Europeo una settimana fa e verrà seguita da un dibattito al Consiglio Europeo, a Bruxelles, su iniziativa dei Governi di Italia, Ungheria e Polonia lunedì prossimo. 

Il testo è consultabile su http://assembly.coe.int/main.asp?Link=/documents/adoptedtext/ta11/erec1957.htm

EUROPA. « Cristiani nel mondo arabo un anno dopo la primavera araba »

La Commissione degli Episcopati (cattolici) della Communità europea (COMECE) organizza nel Parlamento europeo un dibattito, che si annuncia interessante, la situazione sempre più minacciosa e precaria dei critsiani nei paesi arabi.

Bruxelles (Agenzia Fides) – Le attese, nate dalla “primavera araba”, sulla democrazia, sul rispetto dei diritti umani e delle minoranze religiose, sono state rispettate e realizzate? E ’il quesito centrale di un convegno organizzato dalla Commissione delle Conferenze Episcopali Europee (COMECE) a Bruxelles (Belgio) il prossimo 9 maggio, dal titolo “Cristiani nel mondo arabo: un anno dopo la primavera araba”. Della situazione dei cristiani nel mondo arabo parleranno rappresentanti di vari organismi internazionali come l’opera di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che soffre” (ACS), “Open Doors International” e il “Pew Forum on Religion Public live”. Daranno, inoltre, un prezioso contributo vari testimoni che vivono e operano nel Medio Oriente come S.E. Mons. Samir Nassar, Arcivescovo maronita di Damasco (Siria) e P. Pierbattista Pizzaballa Ofm, Custode di Terrasanta. “Dopo il cambiamento avvenuto in Egitto, la situazione in cui si trova la Siria indica in maniera inequivocabile come stia trasformandosi il panorama in Medio Oriente. Fino a un anno fa sarebbe stato impensabile prevedere simili scenari”, ha detto p. Pierbattista Pizzaballa, OFM in un appello inviato all’Agenzia Fides (vedi Fides del 17/02/2012). Sul ruolo della Chiesa, il frate francescano dice: “Stare con la gente, accogliere e assistere chi si trova nel bisogno, senza distinzione di razza, religione e nazionalità. Garantire, con fiduciosa presenza, il servizio religioso ai fedeli perché comprendano l’importanza di restare nel proprio paese. Questo rimane il senso della missione francescana”. 
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Fonte: Agenzia Fides, 28 aprile 2012

sabato 7 aprile 2012

Piero Vassallo, La splendida utopia di Tommaso Romano

Gli italiani finalmente leggono le sei raggelanti parole incise dalla finanza iniziatica sull'azzurro vessillo dell'Unione europea: usura, fame, meticciato, pederastia, aborto, eutanasia.

Gli italiani intravedono l'ombra grottesca e feroce, che si distende sui miti narrati dall'ideologia liberale intorno a una felicità promessa e pianificata dal potere mediante la soppressione, per trascurata malattia, per capovolgimento della natura e per assassinio dei concepiti.

L'Usura contempla l'estinzione di quella ingente frazione dell'umanità, che il pregiudizio ideologico giudica superflua e inadatta alla beatitudine terrestre.

Le persone refrattarie all'utopia criminosa contemplano sgomente il ceffo osceno dell'anti-cristianesimo liberal chic, nichilismo in frac, americanismo di risulta, liquame che dai salotti scende sui riti europei di castrazione, inversione, imbastardimento, denatalità e regresso.

Sanno gli italiani, che, entrato il male europeo nella loro casa, la salvezza sta nell'uscita dal tritacarne di Bruxelles.

Purtroppo il terrore del peggioramento minacciato dai banchieri e dai loro servi politicanti & comunicanti appiattisce la nazione sul consenso alla mortuaria squadra messa in campo da Giorgio Napolitano e presieduta da Mario Monti.

L'imperativo categorico, gridato da Bruxelles, infatti, intima di subire in silenzio e di eseguire l'umiliante programma di una casta dissennata, insaziabile e vampiresca.

Ora la desolante latitanza di un destra tradizionale, capace di guidare il paese sulla strada dell'alternativa alla mitologia liberale intorno alla globalizzazione, costringe in un angusto margine le voci della ragione insorgente contro il devastante potere europeo.

Il fondatore del Partito Tradizional Popolare, professore Tommaso Romano, ad esempio, si ribella audacemente contro "lo sfascio del nostro tempo, il pragmatismo che nutre l'efficientismo senz'anima, in una parola la modernità impazzita, il caos politico, giuridico, amministrativo, la scomparsa di classi dirigenti selezionate, libere e disinteressate a servizio del bene comune".

Quella di Romano, è la voce dell'utopia che osa sfidare e rompere l'assordante silenzio sul mal d'Europa, per affermare i sacri diritti della nazione italiana: "Va rinegoziato l'attuale meccanicistico ed economicistico statalismo europeo, che strangola i diritti alla produzione delle comunità locali in nome di un dirigismo centralistico e finanziario che non ha rispetto verso le singole parti che lo compongono. Limitare l'invadenza e se il caso uscire da questa Europa dell'usura legalizzata, del permissivismo senza fondamenti e radici identitarie".

Oggi non è possibile stabilire la misura del consenso popolare alle tesi di Romano. La triste mole del disagio causato dalla farsa stenta a tradursi in consenso alla seria proposta alternativa. Certo è che la crisi non può essere risolta da Mario Monti, pseudo-scienziato appiattito sul soffocante potere dell'Unione europea.

Per uscire dalla crisi occorrono "uomini che non predichino formule, che non si trastullino con lambiccate soluzioni, ma che siano di esempio per risvegliare forme diverse di sensibilità, di dedizione, di disinteresse, uomini capaci di vincere la secolarizzazione e di ancorare la società a saldi princìpi".

Il 29 aprile sarà proclamato Beato un grande pensatore cattolico, Giuseppe Toniolo. In faticosa uscita dalla crisi post-conciliare, la Chiesa cattolica ha trovato la forza necessaria a indicare le vie dell'alternativa agli errori del c. d. mondo moderno.

Toniolo fu il coraggioso antagonista di quel liberalismo che il Vescovo di Magonza, von Ketteler, definì fomite delle promesse ingannevole e vane formulate "da adepti della massoneria, grandi capitalisti, professori razionalisti e letterati che mangiano alla tavola dei grandi signori e sono obbligati ad alzare ogni giorno la voce in loro favore".

Quale alternativa al liberalismo, Toniolo (lo ha rammentato Francesco Bonanni di Ocre, autore di uno splendido saggio, pubblicato in questi giorni nella rivista La Via] propose un'autentica democrazia, "ordinamento civile nel quale tutte le forze sociali, giuridiche ed economiche, nella pienezza del loro sviluppo gerarchico, cooperano proporzionalmente al bene comune, rifluendo nell'ultimo risultato a prevalente vantaggio delle classi inferiori".

Detestata e vituperata dalla corte dei letterati di obbedienza liberale, la terza via, disegnata dalla cultura tradizionale, appare nell'audace proposta di Tommaso Romano, quale unica, avanguardistica alternativa all'oppressione esercitata dalle banche nel segno delle senescenti illusioni liberali.
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[Fonte: Riscossa cristiana]

venerdì 2 marzo 2012

Dawson, il conservatore che sognava la riscossa dell’Europa cristiana

Un’Europa forte e solidale, ben ancorata alle sue radici culturali e religiose, e quindi capace di affrontare le sfide dei tempi nuovi. È ’auspicio del pensatore conservatore britannico Christopher H. Dawson che nel 1932 mandò alle stampe Il dilemma moderno: Senza il cristianesimo l’Europa ha un futuro? (ora pubblicato, per la prima volta in Italia, da Lindau, pp. 96, euro 13).

Una serie di conferenze, trasmesse originariamente dalla Bbc, in cui si delinea la speranza che il Vecchio Continente possa rigenerarsi e rinascere dalle ceneri della grande depressione, riscoprendo la sua anima cristiana. L’esatto opposto di quello che hanno voluto fare gli euroburocrati di Bruxelles che, bocciando il preambolo sulle radici religiose dell’Europa, hanno decretato che l’UE debba essere un organismo freddo, senz’anima, che obbedisce solo ai diktat di cinici banchieri e tecnocrati.

Dawson è un autore poco conosciuto in Italia. Ma fu un pensatore importante, soprattutto fra le due guerre mondiali, perché in grado di sviluppare un conservatorismo moderato, non ideologico, che influenzò profondamente, a esempio, T. S. Eliot. Nei suoi saggi politici, il poeta della Terra desolata riprenderà infatti molte tematiche proprie di Dawson, come l’impossibilità, vagheggiata dai tradizionalisti, di ritornare a un improbabile Medioevo. La grande scommessa era infatti quella di ripensare un cristianesimo che si possa coniugare con gli elementi positivi della modernità, non in pregiudiziale contrasto con la fede.

Ciò che pervade il saggio di Dawson, e che lo rende anche oggi attuale, è tuttavia il senso della crisi. Le due grandi illusioni della modernità, quella finanziaria della ricchezza facile e quella comunista del paradiso in terra per il proletariato, si erano già rivelate dei clamorosi e tragici fallimenti. Del comunismo Dawson coglie la natura religiosa, per quanto deviata in una forma politica totalitaria: «L’atteggiamento comunista verso la vita è religioso piuttosto che economico ed è con lo spirito di fanatici religiosi e non di organizzatori d’impresa che i comunisti hanno rotto con il passato e istituito un nuovo ordine sociale».

In contrasto con un Oriente agguerrito, Dawson descrive un Occidente debole e incolore, ormai «alla deriva». La «fede ottimista nell’ineluttabilità del progresso» ha lasciato il posto a un «fatalismo pessimista». Sulle orme di Spengler, Dawson descrive il declino dell’occidente. Ma al contrario dei pensatori tedeschi della rivoluzione conservatrice, lo storico inglese (che era cattolico) vede un’uscita dal tunnel delle ideologie nella riscoperta del cristianesimo, della fede che ha reso grande l’Europa e ne ha fondato la cultura.

Era il 1932, eppure già comprende che solo un’Europa unita, dalla Scandinavia al Mediterraneo, può fronteggiare le potenze asiatiche emergenti (oltre alla Russia comunista, la Cina e l’india, citate non a caso dall’autore). Una visione profetica che nonostante i proclami di facciata appare ancora oggi, nel 2012, una chimera. Ma tale unità non si può dare, secondo Dawson, secondo criteri puramente utilitaristici. «Il vero fondamento dell’unità europea», scrive, «si deve rinvenire non in accordi politici o economici, ma nella restaurazione della tradizione spirituale su cui quell’unità si basava originariamente».

Dawson conclude il suo saggio con una nota d’ottimismo: a suo avviso l’Europa ritroverà la sua anima cristiana e così si salverà. Inutile far notare che oggi il suo auspicio, la sua speranza, rimane ancora lettera morta.

Descrizione del libro: Negli anni ’30 del secolo scorso, lo storico inglese Christopher Dawson (1889-1970) alternò alla stesura delle sue opere più ponderose un’intensa attività giornalistica ed editoriale. Fra le iniziative da lui curate spicca una collana di piccoli saggi in edizione economica. Alla serie, che comprendeva opere di autori come Jacques Maritain, Nikolaj Berdjaev, Carl Schmitt, Rudolf Allers, contribuì personalmente con Il dilemma moderno, uscito nel 1932, quando già era riconosciuto come uno dei maggiori studiosi della civiltà occidentale.

In questo volume, Dawson analizza e discute la crisi culturale, prima che politica, che ha portato l’Europa a una condizione di guerra civile – acuita dagli esiti della prima guerra mondiale –, all’instabilità sociale e alla perdita della leadership mondiale. Tale crisi è dovuta, secondo l’autore, al rifiuto del cristianesimo proprio negli ambiti in cui maggiore è stato il contributo europeo: il pensiero e le istituzioni politiche da una parte, e la ricerca scientifica con le sue ricadute tecnologiche dall’altra.

A suo giudizio, solo la riscoperta delle radici cristiane di una democrazia correttamente intesa e di una scienza e di una tecnica non più autoreferenziali potrà salvare la nostra civiltà dall’alternativa fra dittature rivoluzionarie e tecnocrazie irresponsabili, differenti nella forma ma ugualmente totalitarie. Il recupero della sua anima e della sua vocazione consentirà all’Europa di svolgere un ruolo di progresso e di pacificazione su una scena mondiale resa precaria dall’assunzione strumentale delle conquiste materiali dell’Occidente da parte di realtà geograficamente e demograficamente imponenti e minacciose.

Quanto questa analisi sia profetica e oggi straordinariamente attuale potrà giudicarlo qualsiasi lettore.

Nota sull'Autore: Christopher Henry Dawson (1889-1970) è stato uno dei maggiori storici inglesi del XX secolo. Dopo essersi laureato al Trinity College di Oxford, si convertì al cattolicesimo. Ha insegnato nelle università di Exeter, Liverpool, Edimburgo, Dublino e, dal 1958 al 1962, ad Harvard. Tra le sue opere tradotte in italiano, ricordiamo La formazione della cristianità occidentale (2011), La divisione della cristianità occidentale (2009), La religione e lo Stato moderno (2007).

dal libro
«L’Europa conseguì la leadership della cultura mondiale non mediante la ricchezza materiale, ma grazie alla preminenza nelle cose dello spirito: nella scienza, nella letteratura e nelle idee. Essa creò gli ideali che il resto del mondo seguì. Se la democrazia moderna dovesse comportare la cessazione di questa missione e l’abbandono della leadership spirituale per l’appagamento materiale, allora ciò significherebbe proprio il declino della cultura occidentale.» C. H. Dawson
[Fonte: "Libero" del 25 febbraio 2012 p. 25]

martedì 28 febbraio 2012

L'Unione Europea: una banda di briganti?

Quante volte abbiamo sentito dire che la democrazia è il valore supremo e che non esistono princìpi assoluti al di sopra della costituzione e delle leggi dello Stato? Lo si è ripetuto in occasione della morte dell’ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, canonizzato come l’uomo politico che sempre affermò il primato del “vangelo” costituzionale.

Intervistato da Vittorio Messori, Scalfaro difese la firma apposta nel 1978 alla legge abortista dall’allora Capo dello Stato Giovanni Leone, dal Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e dai ministri competenti, tutti democristiani, sostenendo che essi «non potevano far altro che firmare» perché, in democrazia, il rispetto della legge era «un atto dovuto» (Inchiesta sul cristianesimo, SEI, Torino 1987, p. 218).

Questa concezione del diritto, che nel XX secolo ha avuto il suo massimo teorico nel giurista austriaco Hans Kelsen (1881-1973), fonda la validità dell’ordinamento giuridico sulla pura “efficacia giuridica” della norma, ossia sul suo potere di fatto, negando l’esistenza di un ordine metafisico di valori che trascenda la legge positiva voluta dagli uomini.

Ma Benedetto XVI, nel suo discorso al Parlamento tedesco del 22 settembre 2011, ha criticato esplicitamente il positivismo giuridico di Kelsen, mostrando come proprio da questa impostazione siano discese le aberrazioni del nazionalsocialismo. Prima del potere della legge umana, esiste il vero diritto, che è la legge naturale scritta secondo le parole di san Paolo (Rm. 2, 14) nel cuore e nella coscienza di ogni uomo. «Dove vige il dominio esclusivo della ragione positivista – e ciò è in gran parte il caso nella nostra coscienza pubblica – ha affermato il Papa – le fonti classiche di conoscenza dell’ethos e del diritto sono messe fuori gioco. Questa è una situazione drammatica che interessa tutti e su cui è necessaria una discussione pubblica».

Benedetto XVI ha quindi ricordato una frase di sant’Agostino: «Togli il diritto e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?». Ciò avviene, ed è tragicamente avvenuto nel XX secolo, quando si separa, e poi si contrappone, il potere della norma alla legge naturale e divina. In questo caso lo Stato diviene lo strumento per la distruzione del diritto.
Per l’Unione Europea, come per le principali istituzioni internazionali, la fonte suprema del diritto è la norma prodotta dal legislatore. Nel corso degli ultimi decenni, in base a questo principio, i legislatori vanno sostituendo “nuovi diritti” soggettivi, dall’aborto al “matrimonio” omosessuale, ai tradizionali diritti dell’uomo, radicati su di una legge naturale oggettiva e immutabile.
Ma cosa accade quando un popolo sovrano, attraverso i suoi legislatori, produce una norma difforme non dalla legge naturale, ma dalla volontà di altri produttori di norma? Il caso si è posto quando, il 1° gennaio 2012, è entrata in vigore la nuova costituzione ungherese, approvata con la maggioranza dei due terzi dall’Assemblea Nazionale il 18 aprile 2011 e firmata il 25 dello stesso mese dal Presidente della Repubblica Pal Schmitt.

Coerenza vorrebbe che l’Unione Europea si inchinasse con reverenza di fronte alla produzione normativa voluta dalla stragrande maggioranza del popolo ungherese. È accaduto invece che l’UE ha annunciato l’apertura di una procedura d’infrazione nei confronti di Budapest per la svolta autoritaria che il governo di Viktor Orban avrebbe imposto con l’entrata in vigore della nuova Costituzione. «Non vogliamo – ha affermato il presidente della Commissione Europea José Manuel Durao Barroso – che l’ombra del dubbio infici il rispetto dei valori e principi democratici in nessun Paese Ue».

Ufficialmente i punti incriminati del nuovo testo ungherese sono tre: i limiti posti all’autonomia della Banca centrale, la riduzione dell’età pensionabile dei giudici e le restrizioni all’indipendenza dell’Autorità per la privacy. In realtà altre sono le vere accuse. Intervistato il 14 gennaio da Radio Vaticana, mons. János Székely, vescovo ausiliare di Esztergom-Budapest, ha dichiarato che gli attacchi di Bruxelles e di gran parte dell’opinione pubblica europea sono dovuti alla difesa della vita, del matrimonio e della famiglia affermati dalla nuova legge fondamentale del Paese.

La nuova Costituzione considera infatti la famiglia come «la base della sopravvivenza della nazione», affermando che «l’Ungheria proteggerà l’istituzione del matrimonio inteso come l’unione coniugale di un uomo e di una donna», e proclama che «la vita del feto sarà protetta dal momento del concepimento» . Una disposizione quest’ultima che, pur non andando a incidere direttamente sulla normativa sull’aborto, apre la possibilità di restringere la disciplina in materia, ricorrendo a un giudizio di costituzionalità.
Inoltre la costituzione si apre nel nome di Dio e lo stemma nazionale è centrato sulla Santa Corona e su Santo Stefano, simboli storici dell’eredità dell’Ungheria cristiana.

I mezzi utilizzati per colpire l’Ungheria sono di vario genere. In primo luogo lo strangolamento economico, esercitato attraverso i diktat della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale e la pressione delle agenzie di rating. In Ungheria il debito pubblico è rimasto al livello del 75% del PIL e il tasso di disoccupazione non supera l’11%. Ma la BCE e il FMI rifiutano i prestiti e le agenzie Fitch, Standard & Poor’s e Moody’s Investors Service hanno declassato i titoli di Stato ungheresi dallo status “investment grade” a quello “junk”, ovvero di spazzatura.
In conseguenza, nel mese di gennaio, lo spread rispetto al Bund tedesco è arrivato a 850 punti, il fiorino ungherese è crollato, i tentativi del governo di immettere sul mercato europeo nuovi titoli di Stato sono falliti.

Al ricatto economico si aggiungono le minacce giuridiche. Il Parlamento europeo, attualmente presieduto dal socialista Martin Schulz, famoso per le sue intemperanze, è deciso a chiedere alla Commissione di impugnare davanti alla Corte europea la Costituzione e le leggi del governo Orbán, considerate in contrasto con i Trattati europei, fino ad attivare la procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato di Lisbona che toglie il diritto di voto ai governi che non rispettano i principi fondamentali dell’UE.

Il tutto accompagnato da una violenta campagna di stampa denigratoria sul piano internazionale e da manifestazioni di protesta, promosse dai partiti di sinistra e appoggiate dalle ONG transnazionali e dall’ Istituto Eötvös, dello speculatore finanziario di origine ungherese George Soros.

Per parafrasare sant’Agostino e Benedetto XVI: una volta rimossa la legge naturale, che cosa distingue l’Unione Europea da una grossa banda di briganti?

Roberto di Mattei
su Radici cristiane, n.72

giovedì 23 febbraio 2012

UE: Grecia e Italia, unite come un tempo (ma nella rovina comune)?

La trasmissione Matrix di giovedì 16 febbraio 2012 si è svolta in uno scenario differente dal solito. Il conduttore, Alessio Vinci, era con i suoi ospiti in una bella terrazza a Piazza Sintagma ad Atene. Sullo sfondo, illuminati, il Parlamento greco e lo spettacolo del Partenone. Ogni tanto, si trasmettevano i disordini e le violenze di popolo che erano avvenute o stavano ancora avvenendo dall’altra parte della immensa piazza.

Gli ospiti erano in parte italiani (fra cui anche Tremonti), in parte politici, giornalisti e imprenditori greci che si alternavano, il tutto arricchito da tante interviste a persone comuni.

Fin qui tutto potrebbe sembrare abbastanza normale, anche la decisione di trasferirsi in Grecia, visto quello che sta accadendo lì. Ma è proprio questo il punto: quello che sta accadendo in Grecia, e di cui non abbiamo (come sempre) corretta notizia.

Dalla trasmissione è emerso infatti chiaramente che la situazione è incredibilmente più tragica di quello che sappiamo: da decine di migliaia di famiglie (tutte dell’ex ceto medio) senza più lavoro, a chi guadagnava mediamente 1200-1500 euro al mese e ormai (e sono la maggioranza) ne guadagna fra i 300 e 500 (un intervistato, alla domanda “come fate a sopravvivere?”, ha testualmente risposto: “semplice: non pago più nulla, eccetto il cibo di ogni giorno”); dai prossimi licenziamenti di statali (decine di migliaia) al fatto – da noi del tutto oscurato – che le banche hanno bloccato i bancomat e imposto un tetto per i prelievi (in pratica, i greci hanno perso l’utilizzo dei loro risparmi).

Quando si domandava agli intervistati di chi fosse la colpa di tutto questo, la risposta era univoca: della UE e in particolare della Germania, il cui scopo è la conquista economica del continente, preambolo al controllo politico.

Poi molti apportavano un’aggiunta, il cui concetto di fondo era il seguente: “non vi illudete voi italiani, quello che oggi sta accadendo a noi, accadrà a voi, perché chi provoca tutto questo ha le stesse identiche intenzioni nei confronti vostri, della Spagna, del Portogallo, dell’Irlanda, ecc.”.

Questa, che potrebbe sembrare una polemica “qualunquista” di gente arrabbiata, nel dibattito animato da Vinci è diventata in realtà la nota di fondo della serata. Vinci ha avuto il merito di non lasciarla cadere in omaggio al politicamente corretto, ma in realtà, con molto stile, l’ha tenuta al centro dell’attenzione.

E, ciò che è maggiormente interessante (e, ahinoi, sconcertante), fra gli ospiti nessuno ha negato tale eventualità, a partire da Tremonti (il quale, libero ora dagli incarichi politici, sembra aver riacquistato un poco la schiettezza del passato), che anzi ha rilanciato attaccando pubblicamente Mario Monti, ricordando che questi ebbe a dichiarare a settembre che l’Euro è una benedizione per l’Europa in quanto sta costringendo la Grecia a ritornare alla ricchezza reale!

Solo il giornalista Fubini del Corriere della Sera ha costantemente difeso Monti, la UE e in pratica i poteri forti (incolpando i greci della loro rovina), e ha cercato di smussare il fatto che vi sia questo pericolo per l’Italia. Ma la realtà è che alla fine questo senso di frustrazione generale, di consapevole paura di un “rischio Italia”, di sensazione della palese incapacità di gestione degli eventi (in quanto eterodiretti da forze che nessuno realmente controlla) ha dominato l’intera serata.

Pertanto, il messaggio che ne è passato è tanto “sotterraneo” quanto chiaro nella sua drammaticità: non solo non si può escludere, ma è realisticamente possibile, che anche in Italia, nei prossimi tempi, potrebbero avvenire licenziamenti di massa, riduzione a percentuali stratosferiche degli stipendi, e, chissà, magari… il blocco dei bancomat, come in Grecia.

Cosa succederà nei prossimi mesi? Ci aspetta la Grecia? E, se c’è questo pericolo, come rimanere inerti ad attendere la catastrofe, anestetizzati dai nostri parlamentari nullafacenti, burattini o burattinai che siano?
Massimo Viglione
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[Fonte: Corrispondenza romana, 22 febbraio 2012]

lunedì 6 febbraio 2012

Santa Sede, una donna rappresenterà l'Unione Europea

L'incontro in Vaticano con Benedetto XVI in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali

Il Papa ha ricevuto in udienza Laurence Argimont-Pistre, capo della delegazione dell’Unione Europea presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali. La diplomatica francese sarà l'ambasciatrice della Unione Europea presso la Santa Sede.

Nata a Clusaz (Alta Savoia) 59 anni fa, la nuova ambasciatrice dell'Ue presso il Palazzo apostolico è sposata ed ha tre figli.

Oltre il francese, parla inglese e spagnolo; conosce anche il tedesco, l'italiano ed il portoghese. Laureata in Diritto presso l'Università di Grenoble, ha svolto l'attività di Assistente giuridica per lo studio dei casi di diritto comunitario presso lo studio legale Linklater's & Paines a Bruxelles (1976-1978).

E' stata Docente di Politica commerciale presso l'Università autonoma di Barcellona nonché responsabile di corsi e di seminari presso l'Istituto Jean Monnet e presso l'Università centrale di Barcellona (1991-1995).

Funzionario della Commissione europea, si è occupata di politica commerciale dell'Ue ed è stata, poi, capo dell'Unità per l'India, il Nepal ed il Bhutan (2000-2005), capo dell'Unità per il Mercosur ed il Cile (2005-2007), e, da ultimo, ambasciatore, capo delegazione dell'UE presso l'Ocde e l'Unesco a Parigi (2007-2012).
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[Fonte: Vatican Insider]

sabato 7 gennaio 2012

Le radici della crisi dell'Unione Europea 1991-2011

La crisi economica, sociale e politica che l’Unione Europea oggi vive è sotto gli occhi di tutti. Tra pochi giorni ricorrerà il ventesimo anniversario della firma del Trattato di Maastricht (firmato l’ 11 dicembre 1991) da cui l’Unione Europea ebbe origine. Il prof. Roberto de Mattei, allora presidente del Centro Culturale Lepanto, e oggi della Fondazione Lepanto, esprimeva, tra i primi in Europa, le sue critiche al Trattato di Maastricht in una lettera consegnata a Strasburgo, a tutti i parlamentari europei, l’11 maggio del 1992, alla vigilia del discorso della regina Elisabetta di Inghilterra al Parlamento Europeo.

Lo stesso testo veniva fatto pervenire, ai parlamentari italiani riuniti in seduta congiunta in elezione del Presidente della Repubblica (il documento fu pubblicato integralmente in « Lepanto », nn. 122-123 (maggio-giugno 1992), pp. 3-11).

La lettura di questa analisi, che precedette di quasi 10 anni l’entrata in vigore dell’Euro, invita a riflettere sul nostro futuro.(maggio-giugno 1992), pp. 3-11).

Lettera ai Parlamentari europei del prof. Roberto de Mattei
Roma, 11 maggio 1992

Egregio onorevole,

a nome del Centro Culturale Lepanto, che ho l’onore di presiedere, vorrei sottoporre alla Sua attenzione alcune riflessioni a proposito di un importante dibattito che Ella e i suoi colleghi avete affrontato e dovrete ancora affrontare (l).

Mi riferisco al Trattato di Maastricht, stipulato l’11 dicembre 1991 nella cittadina olandese dai Capi di Stato e di Governo dei dodici Paesi della Comunità europea per avviare la nuova organizzazione internazionale denominata “Unione europea”.

Questo Trattato, che è stato formalmente sottoscritto il 7 febbraio 1992 e che, per entrare in vigore, dovrebbe essere ratificato dai rispettivi Parlamenti nazionali entro il 31 dicembre di quest’anno, sta suscitando un po’ ovunque crescenti dubbi e perplessità: unirà e rafforzerà veramente l’Europa, o la disgregherà, precipitandola nel caos? Lo scopo di questa lettera, è di contribuire ad una discussione su questo punto capitale.

Il sogno nichilista di distruzione dell’Europa

In questo 1992 che segna il 500° anniversario della scoperta e della civilizzazione dell’America da parte degli europei, la Civiltà europea e cristiana è sottoposta a un processo senza precedenti. L’Europa è accusata di aver imposto al mondo il suo modello di civiltà, in luogo di “aprirsi all’Altro”, “a ciò che non è, non è mai stato e non sarà mai l’Europa”(2); essa dovrebbe dunque rinnegare sé stessa per recuperare la “Alterità” che ha negato: i barbari, gli indios, i musulmani, sarebbero portatori di un “messaggio culturale” incompreso. L’Europa dovrebbe perciò rinunciare alla “ambizione secolare di centralità storica di cui Colombo è il simbolo”(3) per “decivilizzarsi” e sprofondare nel tribalismo.

Nella visione della storia, elaborata da questi “teorici del caos”, il fondamento dell’Europa sarebbe “la perdita dei fondamenti” (4), la sua caratteristica quella “di non essere identica a sé stessa” (5). Nessuna identità storica e culturale meriterebbe di sopravvivere perché nel mondo nulla esiste di stabile e di permanente e tutto è privo di ordine e di significato: il Nulla è l’unica realtà che si deve affermare nella storia e nella società: “Dobbiamo riconoscere il ruolo storicamente positivo del Nulla /…/ Siamo incitati a fondare la nostra cittadinanza europea in rapporto al nulla” (6).

La vera natura del Trattato di Maastricht

Queste tesi nichilistiche sull’Europa, esposte in riviste, libri e convegni, amplificate dai mass media e abbondantemente riecheggiate dagli uomini politici, non vanno ignorate né dimenticate nell’affrontare la discussione su un accordo politico così ambizioso come il Trattato di Maastricht.

Non si tratta di schierarsi genericamente pro o contro l’Europa, ma di affrontare il vero problema di fondo: a quale Europa ci richiamiamo? Qual è l’Europa prevista dal Trattato di Maastricht? I trattati politici e diplomatici non si riducono infatti a formule tecniche ma riflettono modelli politici, visioni del mondo e aspirazioni ideali.

Quali, in questo caso?

Non è solo un mercato unico…

Per l’uomo della strada, l’Unione europea si riduce al grande mercato senza frontiere, ossia all’unico “mercato interno” europeo realizzato attraverso la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali.

Quest’uomo comune europeo, che rifugge da discussioni e impegni profondi per vivere immerso nei problemi di ogni giorno, diffida dei politici, ma nutre ancora una certa fiducia verso il pragmatismo degli economisti; il fatto che l’Europa unita sia oggi patrocinata dai “tecnici” dell’economia, lo tranquillizza ed egli è tentato a vedere in essa la possibile soluzione dei gravi mali economici e sociali che affliggono ormai cronicamente tutte le nazioni occidentali.

In realtà, il primo equivoco di fondo da dissipare, è proprio quello di ritenere che l'organizzazione internazionale prevista a Maastricht si limiti ad una unione economica, destinata ad assicurare maggiori vantaggi e benefici ai suoi membri.

Ciò è evidente fin nelle prime pagine del Trattato, dove, a sottolineare la novità, al tit. II, art. G A I si precisa che “l’espressione ‘Comunità economica europea’ è sostituita dall’espressione ‘Comunità europea’”.

Qual è il senso di questa precisazione? Quello di sottolineare il progressivo passaggio da un’unione meramente economica ad un’unione innanzitutto politica; l’unificazione economica è un mezzo, quella politica il fine.

… ma è un processo politico e culturale

La prima caratteristica del Trattato di Maastricht che balza agli occhi è la sua processualità. L’accordo prevede infatti, a partire dallo gennaio 1993, una serie di tappe diverse, rigorosamente concatenate e stabilisce il “carattere irreversibile” (7) della transizione all’ultima fase, entro il l° gennaio 1999.

Occorre spingere lo sguardo verso la mèta finale, perché è da essa che traggono significato le fasi precedenti. E se la fase iniziale è economica, l’ultima conclude un processo di profonda trasformazione politica dell’Europa. Qual è la natura di questa trasformazione? Ebbene, affermiamo senza timore di essere smentiti, pronti ad un aperto dibattito intellettuale su questo punto: il progetto di Maastricht non innesca un processo di unificazione europea, ma un processo di disgregazione degli Stati nazionali: e poiché l’Europa non può prescindere dagli Stati nazionali, che ne costituiscono l’ossatura, la liquidazione di questi Stati equivale alla distruzione dell’Europa condotta in nome dell’Europa stessa!

Verso il caos economico?

La prima fase del processo di unificazione di Maastricht prevede, a partire dallo gennaio 1993, la caduta delle frontiere politiche ed economiche all’interno della Comunità e la creazione di un grande mercato unico europeo. Ma quali saranno le conseguenze di questa vera e propria svolta economica del nostro continente?

Quasi tutte le nazioni europee producono merci di eccellente qualità, dai vini ai tessuti. Generalmente ogni nazione è la principale consumatrice dei propri prodotti; per evidenti ragioni economiche, ciò è favorito dalle misure di protezione doganale prese dai rispettivi governi. Se tali misure vengono soppresse, è inevitabile che la curiosità propria dell’uomo spinga i consumatori nazionali a sperimentare i prodotti provenienti da altre nazioni. Con la soppressione delle barriere doganali in tutta Europa, circoleranno e si consumeranno i prodotti economici di tutta Europa. In tal modo, nessuna industria manterrà la certezza di una base economica nel Paese in cui è impiantata e comincerà una disputa tra le industrie di ogni Paese, per mezzo della propaganda pubblicitaria, per conquistare nuovi mercati o per difendere quelli tradizionali. I formaggi francesi, la birra tedesca e la pasta italiana non sono solo prodotti commerciali, ma simboli di culture e di tradizioni diverse: la guerra economica, combattuta con gli strumenti della moderna tecnica pubblicitaria, tenderà a divenire psicologica e politica. Il mercato comune assomiglierà ad un campo di battaglia, piuttosto che a un centro di aggregazione.

I mercati più deboli saranno invasi da capitali, merci e servizi stranieri ben più competitivi. Sopravviveranno solo le imprese maggiori, capaci di darsi una dimensione multinazionale; alle piccole resterà l’alternativa di accorparsi alle grandi, in posizione subordinata, oppure di fallire.

Come abbiamo già previsto, commentando il “progetto Delors”, “ciò che rende ancora più preoccupante lo scenario è il fatto che questo cataclisma verrà imposto dall’alto, artificialmente e a brevissimo termine, sorprendendo i più deboli nell’impreparazione generale. E’ comunque facile prevedere che esploderà una concorrenza selvaggia che seminerà il caos nell’economia europea; nel Mercato Comune si combatterà una battaglia senza esclusione di colpi. L’Europa, priva dei punti di riferimento fin qui rappresentati dalle frontiere nazionali e dalle barriere doganali, potrebbe cadere vittima di un caos economico generalizzato e devastatore” (8).

L’esproprio della sovranità monetaria

Le tappe successive previste dal Trattato di Maastricht sono:

- IIa fase (a partire dal 1° luglio 1994): Creazione di un Istituto Monetario Europeo (IME) costituito dalle Banche centrali dei Paesi membri, come passaggio intermedio per la successiva

- IIIa fase (a partire dal 1997 e comunque entro il 1° gennaio 1999) che a sua volta prevede:

a) Costituzione di un Sistema europeo di banche centrali (SEBC), comprendente le singole Banche centrali nazionali e una Banca Centrale Europea (BCE), che diverrebbe il detentore e gestore esclusivo delle riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri (Tit. II, art. 105.2).

b) Creazione di una moneta unica puramente fiduciale, l’ECU (Tit. II, art. 3 A), destinata a sostituire le monete nazionali. La BCE costituirebbe l’unica istituzione abilitata ad esercitare una prerogativa tipica dello Stato, quale l’emissione di moneta.

In particolare, secondo il Trattato, non sono i governi e i parlamenti, ma è la Commissione, attraverso la Banca Centrale Europea, a stabilire gli indirizzi di massima per la politica economica dei singoli Stati nazionali (Tit. II, art. 103.2); la BCE è l’unica istituzione che può autorizzare l’emissione di banconote e stabilire la loro quantità (Tit. II, art. 105 A). Il Consiglio può addirittura infliggere sanzioni attraverso l’imposizione di ammende, l’imposizione di un deposito infruttifero invitando la Banca Europea degli Investimenti a riconsiderare la sua politica di prestiti verso quel paese (Tit. II, art. 104 C).

La perdita parte degli Stati europei della sovranità economica e monetaria significa in realtà la cessione di un elemento essenziale della sovranità politica. Si tratta di un punto che aveva ben compreso l’ex premier britannica Margaret Thatcher, la quale più di una volta ha esposto il concetto secondo cui “se si perde la sovranità monetaria e di bilancio, non è molta la sovranità che rimane” (9).

L’esproprio della sovranità politica

L’autorevole voce della Bundesbank ha recentemente ricordato come creare con un atto di autorità una moneta unica europea può essere facile; ben più difficile è assicurare la stabilità monetaria in Europa: a ciò occorrono condizioni economiche, politiche e psicologiche complesse (10). Come immaginare una efficace unificazione economica e monetaria dell’Europa, se manca quella cornice giuridica e politica comune che sola può regolare problemi come quelli dell’immigrazione, della droga e della criminalità organizzata, e assicurare in tal mondo le condizioni necessarie alla stabilità economica e monetaria?

Per realizzare queste condizioni giuridiche e politiche, il Trattato prevede “il ravvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune” (Tit. II, art. G 3 H). Questa armonia politica e legislativa costituisce certamente in sé un bene a cui tendere, quando non violi il diritto naturale, ma non può essere imposta da un vertice burocratico, con il pretesto della necessità di far funzionare il mercato comune. Ciò significherebbe sottrarre agli Stati nazionali il loro diritto a governare la società civile. La sovranità è il contrassegno essenziale di uno Stato. Essa può essere definita come la suprema autorità che lo Stato deve avere, nell’ambito che gli è proprio, per raggiungere il suo fine, che è il bene pubblico dei cittadini (11), ossia la loro vita virtuosa in comune (12). Lo Stato può delegare alcune competenze, in base al principio di sussidiarietà, ma non può eliminare in radice la propria sovranità, come accadrebbe al termine del processo di unificazione di Maastricht. Ciò significherebbe la scomparsa degli Stati nazionali.


La mèta: megastato europeo e microstati regionali

Questo trasferimento di poteri e di competenze fin qui attribuite ai governi e ai parlamenti nazionali, avverrebbe secondo due linee direttive: da una parte verso le istituzioni sovranazionali, cioè verso il “megastato” europeo, dall’altra verso le realtà comunali e regionali, che tenderebbero a divenire veri e propri microstati. Su questa linea si pone l’istituzione di un “Comitato delle Regioni” (Tit. II, art. 198 A), destinato ad assistere il Consiglio e la Commissione, che costituirebbero il “supergoverno” del “megastato”.

Ciò, come ha spiegato il presidente della Commissione europea Jacques Delors parlando il 5 ottobre 1989 al Wissenschaftszentrum di Bonn, “nella sua essenza significa che i poteri del governo centrale sono divisi con quelli delle collettività territoriali pre-esistenti”.

Questo progetto realizza il piano esposto qualche anno fa dal socialista Peter Glotz, nel Manifesto della Sinistra europea nel quale auspicava “il superamento dello Stato nazionale in Europa” che “non dovrebbe avvenire soltanto attraverso una unificazione transnazionale, ma anche attraverso la regionalizzazione e il decentramento” (13) e si indicava “la creazione di una Unione europea” (14), come “prospettiva di lunga scadenza dell’unificazione europea”.

Si tratta della versione aggiornata della grande mèta della Sinistra che è sempre stata e resta l’anarchia, ossia il “mondo nuovo”, destinato a sorgere, per usare le parole di Bakunin, “sopra le rovine di tutte le Chiese e di tutti gli stati” (15). Per questo, afferma lo stesso Bakunin, “i socialisti rivoluzionari si organizzano in previsione della distruzione o, se si vuole una parola più gentile, in vista della liquidazione degli stati” (16) “affinché sulle loro rovine, possano sorgere libere unioni organizzate dal basso grazie alle libere federazioni dei comuni in provincie, delle provincie in nazioni, delle nazioni negli Stati uniti d’Europa” (17).

Una bomba ad orologeria: la cittadinanza europea

In questa prospettiva disgregatrice si situa un capitolo del Trattato di Maastricht che costituisce una vera e propria bomba ad orologeria nel cuore del nostro continente: la attribuzione di una “cittadinanza europea” a ogni cittadino dei diversi Stati nazionali in via di liquidazione.

Il problema della cittadinanza, nazionale od europea, non può essere affrontato senza tener conto dello scenario contemporaneo. Il fallimento del socialcomunismo ad Est e l’altrettanto colossale fallimento della decolonizzazione a Sud hanno aperto un flusso di massicce migrazioni verso l’Europa. Mancano statistiche pienamente attendibili sulla reale consistenza di questa immigrazione; quel che è certo è che si tratta di un fenomeno in aumento, che si accompagna a un preoccupante declino demografico del nostro continente. Non si tratta comunque di un problema secondario se, nel novembre 1991, i ministri di ventisette paesi europei hanno ritenuto necessario incontrarsi a Berlino per discuterlo.

Il Trattato istituisce una “cittadinanza dell’Unione europea” attribuita a “chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro” (Tit. II, art. 81). Tra gli Stati membri dell’Unione però, per quanto riguarda la concessione della cittadinanza agli immigrati di provenienza extra-comunitaria, non esiste attualmente omogeneità legislativa: esistono legislazioni più aperte ed altre più restrittive. Non è difficile immaginare che i flussi migratori si dirigerebbero verso gli Stati dove l’accesso alla cittadinanza fosse più facile, per poi spostarsi per via “intra-comunitaria”, verso quelli che hanno le frontiere “extra-comunitarie” meno elastiche.

Si dirà che questo è uno dei punti su cui è prioritario il riavvicinamento delle legislazioni nazionali previsto dal Trattato; ma se si è così certi che questo riavvicinamento non tarderà, perché non prevedere l’istituzione della cittadinanza dell’Unione solo dopo l’avvenuta uniformità legislativa tra gli Stati?

Gli immigrati alla conquista delle strutture politiche

Ogni cittadino dell’Unione, secondo l’art. 8 A 1 del Trattato, ha “il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri”. La reale portata di questo articolo emerge alla luce di quello seguente, che attribuisce, ad “ogni cittadino dell’Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino”, “il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato” (Tit. II, art. 8 B 1) ed “il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede” (Tit. II, art. 8 B 2) con modalità che verranno stabilite dal Consiglio Europeo rispettivamente entro il 31 dicembre 1994 ed il 31 dicembre 1993.

Queste le prevedibili conseguenze:

a) Il primo obiettivo del migrante extracomunitario sarà quello di ottenere la cittadinanza dell’Unione. Perciò, in assenza di una legislazione rigorosamente uniforme, egli sceglierà il Paese che consente un più facile accesso alla cittadinanza nazionale: questa, automaticamente, comporta la cittadinanza europea.

b) Una volta ottenuta la cittadinanza europea, il secondo passo, sarà quello di spostarsi, in base all’ assoluto diritto di circolazione, verso il luogo di residenza prescelto nel territorio dell’Unione, dove eserciterà i diritti politici.

c) Il diritto di elettorato attivo e passivo di cui fruirà nel luogo di residenza, permetterà al migrante di inserirsi nelle strutture politiche europee a livello locale e a livello sovranazionale, gli unici due livelli politici di rilievo, una volta dissolti gli Stati nazionali.

L’Islam egemone in Europa?

Non si può ignorare che una larga parte degli immigrati extracomunitari è di religione islamica, e che l’Islam non conosce la distinzione cristiana tra ordine naturale e ordine soprannaturale, tra sfera civile e sfera religiosa, ma fonde il sacro e il profano in un’unica prospettiva totalizzante (18).

Gli esponenti islamici in Europa già chiedono che la loro religione goda della stessa tutela che le legislazioni nazionali riconoscono ad altre comunità religiose; ciò significa: riconoscimento civile della poligamia, insegnamento islamico nelle scuole, esonero dal lavoro nelle festività maomettane, e così via.

Il giorno in cui milioni di islamici otterranno la cittadinanza dell’Unione europea è logico immaginare che essi si organizzeranno in un movimento politico, che presenterà i suoi candidati nelle elezioni comunali e nel Parlamento europeo.

Secondo il Trattato sono i partiti politici europei “ad esprimere la volontà politica dei cittadini dell’Unione” (Tit. II, art. 138 A); un “Partito Islamico Europeo”, per la sua capillare diffusione in tutti i territori della Unione, per la sua forza di coesione, allo stesso tempo politica e religiosa, per i suoi mezzi finanziari e per i suoi collegamenti internazionali potrebbe diventare il partito leader del Parlamento europeo; ciò significherebbe l’egemonia politica dell’Islam in Europa, pacificamente conquistata, anzi pacificamente ceduta dagli stessi europei.

Sul piano comunale, inoltre, come escludere la possibilità della concentrazione di un massiccio gruppo di immigrati in qualche città o regione europea?

Chi potrebbe impedire a questi cittadini europei, che godono del diritto di circolazione, di soggiorno e di elettorato, di scegliere una delle città europee più ricche di storia o di significato, per farne una “isola islamica” ed elevarvi i loro minareti?

Per uscire dal caos: salvare gli Stati nazionali

Queste ipotesi si inquadrano in uno scenario inquietante.

L’economia occidentale, che come ha recentemente scritto il premio Nobel francese Maurice Allais, “poggia su una gigantesca piramide di debiti” (19), rivela ogni giorno di più la sua estrema vulnerabilità; problemi sociali come quelli della criminalità e della droga rivelano il profondo vuoto culturale e morale della nostra società; da Est una gigantesca spinta disgregatrice conseguente alla autodecomposizione del comunismo si allarga verso l’Occidente disseminando fermenti di dissoluzione; l’Islam proietta un’ombra preoccupante sull’Europa; il caos minaccia oggi il nostro continente come mai nella sua storia, dal tempo delle invasioni barbariche…E’ ragionevole, in questa situazione, proporsi la liquidazione degli Stati nazionali per avanzare verso un’Unione europea dai contorni così nebulosi e confusi? Gli Stati nazionali costituiscono attualmente l’unico fattore di ordine e di stabilità, nel processo di disgregazione che investe l’Europa, e pensare a dissolverli, proprio in questo momento, costituisce un suicidio politico che ricorda quello compiuto dalla monarchia e dalla nobiltà francese nel 1789.

L’Europa al bivio: suicidio o rinascita cristiana

Egregio onorevole, l’Europa si trova oggi di fronte a un bivio storico.

La ratifica del Trattato di Maastricht innescherebbe un processo di rapida liquidazione degli Stati nazionali; ma ciò significherebbe la disgregazione dell’Europa, che precipiterebbe nell’anarchia e nel tribalismo. Si tratta di un vero e proprio itinerario suicida, coerentemente rivendicato dai teorici della Nuova Sinistra.

D’altra parte, il rifiuto del processo disgregativo di Maastricht costituisce un passo necessario per la rinascita dell’Europa.

Se la parola Europa evoca oggi memorie e speranze è perché essa è già una realtà: una realtà che non viene “inventata” a Maastricht nel 1991, ma che è nata a Roma nella notte di Natale dell’anno 800, con il Sacro Impero di Carlo Magno, e, prima ancora, a Subiaco e a Montecassino, da dove si irradiò la riforma religiosa di san Benedetto da Norcia (20).

Parafrasando le parole di san Pio X nella celebre lettera apostolica Notre Charge Apostolique (21) e quelle di Leone XIII nell’altrettanto celebre enciclica Immortale Dei (22), potremmo dire che l’Europa “non è da inventare”, ma “è esistita ed esiste tuttora”, è la Civiltà cristiana, un tempo unita, pur nella diversità delle sue nazioni, e nella peculiarità dei suoi costumi e delle sue tradizioni, da un’unica filosofia di vita: quella del Vangelo. “L’Europa – conferma Giovanni Paolo II – è cristiana nelle sue stesse radici /…/ Nelle diverse culture delle Nazioni europee, sia in Oriente sia in Occidente /…/ scorre una sola comune linfa attinta ad un’unica fonte” (23). La difesa della nostra Civiltà, occidentale e cristiana, passa attraverso la difesa di queste nazioni e di queste tradizioni. N ella varietà degli Stati nazionali europei si esprime infatti la ricchezza culturale dell’Europa e la sua identità storica e morale.

Il processo rivoluzionario che da oltre cinque secoli ha investito la Civiltà cristiana (24) rappresenta una negazione radicale di questa Europa, della sua identità e della sua storia: l’esito ultimo e coerente di questo processo è il nichilismo anarchico e tribale della Nuova Sinistra.

Un trattato intoccabile?

Il Trattato di Maastricht non è “intoccabile”, così come il processo di unificazione europea in corso non può e non deve essere considerato come un processo “irreversibile”. Già oggi del resto non lo è per la Gran Bretagna e per la Danimarca, che si sono riservate il diritto di non passare alla “terza fase”.

Ci sembra importante sottolinearlo: se c’è un mito oggi in frantumi, è quello della “irreversibilità storica”, cioè di una presunta linearità degli avvenimenti di cui solo a qualche “avanguardia” è dato cogliere il senso. Quando un socialista parla di “irreversibilità storica”, il pensiero corre immediatamente alla interminabile serie di profezie fallite che hanno caratterizzato la storia della sinistra europea negli ultimi due secoli; ma i socialisti, eredi degli Illuministi e di Hegel, continuano a presentarsi come i pervicaci interpreti del “senso della storia”. Quando si parlava di unificazione tedesca, Willy Brandt profetizzava che non sarebbe avvenuta prima della fine del secolo (25); oggi che si parla di unificazione europea, Mitterrand profetizza che entro la fine del secolo inevitabilmente avverrà. Il fondamento di queste profezie è sempre il medesimo: il nulla. L’unica seria previsione che si può fare in questo scorcio di secolo è quella della fine delle false profezie socialiste e del trionfo, questo sì irreversibile, della verità; è in nome di questa verità che ci rivolgiamo a Lei, per chiederLe di intervenire, in una sede così autorevole e significativa quale è il Parlamento europeo, per combattere lo spirito e la lettera del Trattato di Maastricht.

E’ davanti all’opinione pubblica europea che chiediamo la Sua collaborazione, e Le offriamo la nostra, nella ferma convinzione che oggi tutte le forze debbano unirsi nella difesa degli Stati nazionali, dell’Europa e della Civiltà cristiana, così gravemente minacciate dal nichilismo e dal caos, e nella altrettanto ferma certezza che non vi è altra forza su cui fondare questa battaglia, al di fuori di Colui, senza il quale nulla possiamo (Gv. 15, 5), ma con il cui aiuto tutto è possibile (Fil. 4, 13), anche la resurrezione di una gloriosa Civiltà, quale fu e sarà, nel secolo XXI, l’Europa.

Roberto de Mattei
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[Fonte: “Fondazione Lepanto”]