domenica 9 gennaio 2011

Sessant'anni d'Europa

I primissimi passi nel 1951

L'Europa supera la boa dei sessant'anni. E, come si dovrebbe fare in occasione di un anniversario, si formulano gli auguri, si volta fugacemente lo sguardo al cammino percorso e si torna a guardare avanti con fiducia. Il battesimo ufficiale della prima esperienza di concertazione sovranazionale fra sei nazioni del vecchio continente (Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo) risale al 18 aprile 1951: con la firma del Trattato di Parigi nasceva la Ceca, Comunità europea del carbone e dell'acciaio, alla quale avevano tenacemente lavorato gli statisti dell'epoca, trascinati dai francesi Robert Schuman e Jean Monnet, dal tedesco Konrad Adenauer e dall'italiano Alcide De Gasperi.

La via era stata indicata un anno prima, il 9 maggio 1950, con la Dichiarazione Schuman, che aveva affermato: "La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano…. L'Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto… Il governo francese propone di mettere l'insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta autorità, nel quadro di un'organizzazione alla quale possono aderire gli altri Paesi europei". Ciò "assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della federazione europea".

La Ceca entrerà in funzione il 23 luglio 1952 e di fatto fungerà da modello per un ampliamento della collaborazione tra i Paesi fondatori, fino ai Trattati di Roma del 25 marzo 1957, costitutivi della Cee, Comunità economica europea, e dell'Euratom, la comunità per l'utilizzo a scopi pacifici dell'energia atomica. Dagli ulteriori sviluppi di queste tre comunità, e dalla successiva revisione dei trattati nascerà, nel 1992, l'attuale Unione europea, che oggi, con 27 Stati aderenti e 500 milioni di cittadini, è uno dei principali protagonisti sulla scena mondiale, assicurando pace e democrazia all'interno dei suoi confini e proponendosi di affrontare le sfide dell'era globale con i criteri guida della solidarietà e della sussidiarietà, sanciti dal Trattato di Lisbona.

Fin qui la storia. Ma il sessantesimo compleanno impone all'Ue scelte e impegni nel segno della "piena maturità". Gli auguri, allora, si accompagnano ad alcuni auspici.

Visto che la Ceca era nata con una forte connotazione di "concretezza", dall'Ue, sua legittima erede, ci si attende che produca risultati visibili a vantaggio dei cittadini. Obiettivi da perseguire in vari campi: economia, lavoro, approvvigionamento energetico, tutela dei consumatori, sviluppo territoriale, ambiente, ricerca, cultura, sicurezza, e negli altri settori di competenza, tenuto conto che gli Stati aderenti hanno trasferito alle istituzioni di Bruxelles e Strasburgo una parte della loro autorità legislativa e politica. I risultati - già sperimentabili in tanti campi - potranno convincere l'opinione pubblica che l'Europa è necessaria, soprattutto in una realtà internazionale sempre più complessa e interdipendente.

Per fare tutto questo è però doveroso che le istituzioni comuni si rafforzino e migliorino la propria capacità decisionale. A tale scopo era stato scritto il Trattato di Lisbona, entrato in vigore un anno fa, del quale è già stata decisa una limitata revisione allo scopo di costituire il Meccanismo europeo di stabilità, orientato appunto alla stabilità finanziaria e alla governance economica. Il consolidamento dell'Ue e delle sue istituzioni dipende, però, in gran parte dai governi nazionali: l'Europa comunitaria vede ancora prevalere il carattere "intergovernativo", per cui i governi dei 27, riuniti nel Consiglio, detengono un elevatissimo potere decisionale rispetto a quello dell'Europarlamento e della Commissione, le due istituzioni "più comunitarie". Se i premier europei deporranno l'arma dei nazionalismi e degli interessi di parte, che da alcuni anni frenano l'integrazione, per l'Ue si apriranno nuove prospettive di sviluppo e operatività.

C'è poi da augurarsi che l'Ue sappia coinvolgere maggiormente i cittadini per una vera democrazia partecipativa. In questa direzione si muove, ad esempio, l'"iniziativa dei cittadini" definita dal Trattato di Lisbona, grazie alla quale un milione di persone di 7 Stati possono chiedere una legge europea. Allo stesso modo il nuovo Trattato ha sancito il coinvolgimento delle chiese e delle comunità religiose nel processo di integrazione, riconoscendone la vasta rappresentatività, l'autorevolezza morale e la radicata presenza nella storia e nell'oggi dell'Europa. Un impegno - e una sfida - che le comunità cristiane hanno da tempo mostrato di raccogliere con determinazione.

Non da ultimo, ci si attende che l'Unione possa affermarsi quale protagonista sulla scena mondiale, per la promozione della pace, della democrazia, dei diritti umani e delle libertà fondamentali (si pensi alla libertà di religione, duramente minacciata e offesa anche in questi giorni), valori inscritti nel dna dell'Europa comunitaria.
[Fonte: SIR Europa]

Finalmente la Francia s'impegna ufficialmente nella difesa dei cristiani d'Oriente

La mobilitazione dei cattolici francesi in favore dei cristiani d'Oriente finalmente inizia a portare dei frutti. Michèle Alliot-Marie, Ministro degli Affari esteri, ha chiesto
« alla Signora Ashton, alta rappresentante dell'Unione Europea, che la prossima riunione dei ministri degli affari esteri dell'Unione Europea, il prossimo 31 gennaio, sia consacrata ad una riflessione sulla protezione delle minoranze religiose tra cui le minoranze cristiane del Medio-Oriente »
Non cessiamo di pregare per i nostri fratelli perseguitati e contiuamo a chiedere il fermo impegno dei poteri pubblici francesi ed europei in loro favore!


Immagine dei copti radunati davanti a Notre Dame

domenica 2 gennaio 2011

Strage di cristiani. L’Europa tace

Una strage di cristiani, all’uscita da una delle più importanti chiese di Alessandria d’Egitto nella notte del nuovo anno, costringe a fare una riflessione che va al di là del singolo episodio, per quanto dolorosissimo. Una riflessione che credo tutti abbiamo nel cuore: dobbiamo rassegnarci al fatto che il cristianesimo scompaia? Non possiamo, infatti, chiudere gli occhi davanti alla realtà: è vero che ad uccidere i cristiani sono dei gruppi estremisti di varia nazionalità ed estrazione sociale, ma il mondo cristiano, soprattutto i leader politici e religiosi, continuando ormai da anni a illudersi, e a spingere i fedeli a illudersi, che si tratti sempre ed esclusivamente di pochi fanatici, hanno permesso che si formasse nell’aria una generale percezione di «debolezza» del cristianesimo. Anzi, se vogliamo davvero guardarci in faccia, dobbiamo chiamare col suo vero nome tanto il comportamento dei cristiani quanto ciò che i musulmani ne pensano: è ormai più una tradizione culturale che non una vera fede religiosa.

Non sono le migliaia di turisti in piazza San Pietro a dare il polso della fede cristiana; non sono le funzioni natalizie gremite di fedeli a proclamare la religiosità dell’Europa. Quello che conta è il vissuto quotidiano, e questo vissuto è lontanissimo dal Vangelo, almeno a livello delle leggi e delle classi direttive. Chi è che difende davvero il cristianesimo? A forza di «dialogo» non si sa più che cosa sia quello che ha detto Gesù; e senza Gesù - questo i musulmani lo sanno bene - sarà sufficiente dare qualche buona spallata qua e là, e il cristianesimo sarà ridotto presto all’angolo. Un bell’angolo di buone maniere, in cui tutti si vogliono bene, ma angolo.

Questo «volersi tutti bene» è ciò che pensano e che vogliono i leader, tutti protesi alla mondializzazione e, di conseguenza, all’omogeneizzazione dei costumi, delle religioni, dei popoli. Ma non lo pensano i credenti. Non lo pensano perché non vogliono rinunciare ad essere e a sentirsi «uomini», con la propria intelligenza, la propria storia, la propria fede, la propria volontà.

Dobbiamo davvero starci zitti nel vedere uccidere a tradimento cristiani innocenti che escono da una chiesa? Il governo egiziano afferma che si tratta di estremisti stranieri. Sarà pur vero, ma non esistono controlli ai confini dell’Egitto? In ogni caso, cosa intende fare da oggi per tutelare l’incolumità dei cristiani? Il problema, poi, esiste ormai in ogni Paese dove la maggioranza musulmana non tollera la presenza di cristiani: in Africa come in Oriente... La culla del cristianesimo è l’Europa. Per quanto esistano cristiani in tutti i continenti, è qui che si deve studiare una strategia e mettere a punto i mezzi per permettere ai cristiani di vivere la propria fede senza timore fisico, ma anche con la sicurezza intellettuale e morale della bellezza della propria fede. In che modo? Certamente i politici, se vogliono, possono trovare le soluzioni più adeguate, tanto a livello diplomatico quanto a livello militare per i diversi contesti, e non siamo noi a potergliele suggerire. Ma c’è un aspetto, forse il più importante, nel quale, invece, è l’opinione pubblica quella che conta. Questa deve essere aiutata ad esprimersi senza remore di nessun genere, senza la censura del politicamente corretto, visto che ai cristiani è stato comandato: «La vostra parola sia: sì, sì, no, no». Dobbiamo discutere di Gesù di Nazaret, di ciò che ha detto e che ha fatto, non di Antico Testamento, di Padre Pio o dei Papi, per sapere se vogliamo difendere la religione cristiana nella sua essenza e nella sua attualità.

Soltanto se ci sarà una forte presa di posizione nei confronti del cristianesimo da parte dell’opinione pubblica europea e mondiale, sarà possibile mettere in atto gli strumenti politici per tutelare i cristiani in pericolo. Sappiamo già che l’Europa è contro questa strategia (abbiamo commentato pochi giorni fa il Diario europeo privo del Natale), ma questo atteggiamento ha potuto attecchire perché è stata propinata la «sottomissione» alla verità altrui fino alla nausea. Dare ragione agli altri è troppo facile.

Ida Magli, su "il Giornale" 2 gennaio 2011