domenica 10 marzo 2013

Benedetto XVI ha indicato al vecchio continente la strada per uscire dalla crisi

Un'Europa amata e messa in guardia
di Gianni Ambrosio*

«L'Europa sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia»: questo severo monito venne pronunciato da Benedetto XVI, in un discorso rivolto ai partecipanti al convegno organizzato dalla Commissione degli episcopati dell'Unione europea (Comece) in occasione dei festeggiamenti per i cinquant'anni dei Trattati di Roma (24 marzo 2007). L'immediato riferimento del Papa riguardava la crisi demografica del vecchio continente, ma il discorso, a partire da questo fatto emblematico, coinvolgeva i diversi aspetti dell'odierna vicenda europea. Queste parole evidenziano la preoccupazione per la crisi di civiltà del nostro continente: l'Europa, con l'indebolimento della sua identità culturale e religiosa, rischia di ridurre la persona a una sola dimensione, quella orizzontale. Come se la storia europea del secolo passato non insegnasse nulla agli europei di oggi, come se le tragiche esperienze non attestassero che l'uomo perde l'orientamento e compie passi disumani quando si chiude in se stesso e cancella Dio dal suo orizzonte.

Insieme alla preoccupazione per la sorte di un'Europa in cui cresce la tendenza a relegare Dio nella sfera privata e a considerarlo come irrilevante e superfluo, è sempre emersa la fiducia di Benedetto XVI nell'Europa. Anzi, egli «ha ridato speranza a un'Europa in crisi», ha affermato su «Avvenire» del 13 febbraio scorso Julia Kristeva, psicanalista francese. «Con Papa Benedetto XVI, si è aperta una nuova fase di buon augurio per l'avvenire dell'Europa e la pace nel mondo. E in queste ore di grande polarizzazione mediatica, penso che tutti siano sensibili al fatto che questo filosofo e quest'umanista è stato pure un grande politico. Il mondo rende oggi omaggio anche a un grande pacifista capace di accogliere la diversità planetaria». Non sono parole di circostanza, sono invece parole coraggiose e impegnative, espresse da un'autorevole rappresentante del pensiero laico europeo.

Sono diversi gli intellettuali europei che apprezzano il significativo impegno di Benedetto XVI per l'Europa. Ma occorre riconoscere che parecchi studiosi non hanno gradito il suo insegnamento. Anzi, proprio dagli ambienti della leadership culturale europea, è emerso il dileggio più o meno caustico. Se bisogna mettere in conto mentalità e concezioni che relativizzano qualsiasi proposta ideale e religiosa, non si può non essere sorpresi dall'arroganza del “nichilismo sorridente” che tutto risucchia nel flusso dell'immanenza. Alcuni intellettuali hanno spesso accolto, se non anche favorito e accentuato, gli attacchi dei media, pronti a creare il caso per la polemica e per la derisione, con referenze parziali e con titolazioni arbitrarie. Gli interventi di Benedetto XVI sono stati sottoposti a una vera e propria manipolazione, con un'ostilità quasi istintiva nei confronti del suo insegnamento. In molti -- anche questo deve essere purtroppo ricordato -- è spesso prevalso il pregiudizio anti-cattolico e anti-papale, soprattutto negli ambienti del nord Europa.

Forse, con il passar del tempo, il lascito di Benedetto XVI all'Europa, agli intellettuali europei, a tutti i cristiani di questo continente sarà riconosciuto come fondamentale. Quando la polemica lascerà il posto alla riflessione, ci sarà la possibilità di comprendere più a fondo la portata del pensiero di Joseph Ratzinger, intellettuale europeo che ha amato e ama il vecchio continente. Come teologo e come pontefice, ha offerto alla sua Europa il grande orizzonte in cui essa può pensare se stessa e precisare la sua identità per svolgere la sua missione oggi e domani. L'Europa, amata e messa in guardia, è stata invitata e sospinta ad accogliere la sfida culturale di questo momento storico.

Benedetto XVI ha manifestato fiducia negli europei, richiamandoli alla responsabilità che devono assumersi nel dibattito intorno alla definizione dell'Europa e alla sua forma politica rispetto sia alla sua storia sia alla storia dell'umanità di oggi. A più riprese il Papa ha richiamato questa responsabilità culturale e morale dell'Europa nel mondo: se essa abbandona la sua singolare concezione di persona umana, con la sua libertà, la sua ragione e la sua dignità, viene messa a rischio tutta la sua ricca tradizione culturale e spirituale. Forse Benedetto XVI non sarà l'ultimo papa europeo, come annunciato da Bernard Lecomte nel suo Benoît XVI, le dernier pape européen (2006). Certamente non è pensabile, come sottinteso, che l'Europa non abbia più nulla da dire al mondo. Anche le culle vuote potrebbero in parte riempirsi e la natalità risalire, con politiche familiari efficaci. Tuttavia la provocazione merita di essere accolta, nel senso che l'umanesimo europeo è in pericolo. Benedetto XVI lo ha evidenziato con sofferta chiarezza. In lui è sempre stata forte ed esigente la prospettiva di un senso unitario. Lo possiamo documentare in riferimento alla universitas, l'istituzione dell'università, così espressiva della grande tradizione culturale europea, forza attrattiva e autentica spinta propulsiva della nostra civiltà. Da intellettuale europeo dall'orizzonte ampio, capace di cogliere le domande e le sfide poste dalla modernità-postmodernità europea, Joseph Raztinger ha invitato gli intellettuali a non tradire -- il “tradimento dei chierici” -- la storia europea, a non chiudersi in un sapere regionale, ma a essere aperti alla pienezza, avvalendosi in modi diversi degli eventi storiografici, dei fenomeni letterari, delle invenzioni artistiche, delle riflessioni speculative, delle scoperte scientifiche: ogni aspetto del reale è sempre e comunque in gioco, così come sono sempre in gioco le idee di mondo, di uomo, di Dio. Egli ha passato molti anni nell'università, l'istituzione sorta precisamente dall'idea di una totalità conoscibile con una ragione aperta, capace di cercare la verità e di corrispondere a essa secondo coscienza. Come ha ricordato visitando le sedi universitarie del continente, l'università è nata dalla fiducia nella possibilità e nella capacità di leggere la realtà attraverso la convergenza, spesso tensionale, tra i diversi saperi, tra le discipline scientifiche e le discipline umanistiche. Ma prima dell'analisi delle parti, occorre riconoscere la pienezza e la totalità del mondo e il nesso tra le varie parti del tutto, in una visione globale in grado di accogliere le domande essenziali della vita e di trovare una risposta adeguata.

Benedetto XVI riconosce e apprezza il lungo e faticoso cammino di pacificazione e di unificazione compiuto dal dopoguerra a oggi. In poco più di mezzo secolo, l'Europa ha saputo voltare pagina: da una storia lacerata da conflitti a una storia riconciliata. Oggi le differenze nazionali non costituiscono più un problema. O meglio: le diversità non sono divisioni. Le nazioni restano, con la loro diversità culturale. Questo è un tesoro da condividere tra i popoli, fino a far nascere una grande sinfonia di culture. L'Europa, che ha inventato la forma dello Stato nazionale, con aspetti positivi ma anche con le guerre nazionalistiche, e poi l'ha esportata nel mondo, ora sta mostrando al mondo il parziale superamento di quella forma, avviandosi verso una modalità di convivenza e collaborazione che va oltre i confini statuali.

Ma su questo cammino decisamente positivo, incombe, minaccioso, il rischio dell'Europa contemporanea: la perdita di se stessa, della sua anima. Per Benedetto XVI la ragione astratta, anti-storica e anti-umana, ha preso il sopravvento, anche grazie al predominio tecnico: così la ragione astratta pretende di dominare le diverse culture fino a imporsi come l'unica cultura, emancipata da tutte le tradizioni e dai valori culturali. La visione razionalistica arriva a distruggere tutto ciò che è vivente e radicato nella situazione storica. Benedetto XVI ha evidenziato con lucido coraggio questa pesante minaccia in riferimento ai diversi contesti e ai diversi ambiti della vita. Per esempio, ha denunciato la martellante delegittimazione della famiglia da parte di una cultura totalmente auto-indulgente che ha trovato molti sponsor. La guerra intellettuale alla famiglia, presentata come fonte di oppressione, è iniziata da tempo ma si è accentuata soprattutto nell'ultima parte del XX secolo, dopo la “rivoluzione” del 1968: questa guerra conduce in modo emblematico alla demolizione progressiva dell'umanesimo europeo. Così avviene in altri ambiti, quando il desiderio si fa diritto e pretende di diventare legge, quando si arriva a perdere il senso del limite: ciò causa una condizione di disorientamento nella quale le appartenenze tradizionali s'indeboliscono, le scelte diventano continuamente precarie e revocabili, il senso della vita è consegnato al singolo e al dramma della libertà individuale. Questa egemonia della cultura positivista è all'origine della mancanza di dialogo all'interno della stessa Europa: oltre alle motivazioni socio-economiche, il crescente populismo può trovare qui una seria e preoccupante motivazione. Tanto più che il cammino della cultura astratta non incrocia le altre culture e rende impossibile il dialogo interculturale. È infatti un cammino dettato e animato da una ragione che pretende non solo di essersi liberata dalle tradizioni europee ma ritiene anche di dover fare altrettanto, in nome dell'emancipazione, con ogni altra tradizione culturale. Solo una ragione che ha -- e lo riconosce -- un'identità storica e morale, può parlare alle persone e far leva su condivisi valori umani. Merita di essere citato qui un passo del discorso al Parlamento federale di Berlino (22 settembre 2011): «Dove la ragione positivista si ritiene come la sola cultura sufficiente, relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di sottoculture, essa riduce l'uomo, anzi, minaccia la sua umanità. Lo dico proprio in vista dell'Europa, in cui vasti ambienti cercano di riconoscere solo il positivismo come cultura comune e come fondamento comune per la formazione del diritto, mentre tutte le altre convinzioni e gli altri valori della nostra cultura vengono ridotti allo stato di una sottocultura. Con ciò si pone l'Europa, di fronte alle altre culture del mondo, in una condizione di mancanza di cultura e vengono suscitate, al contempo, correnti estremiste e radicali. La ragione positivista, che si presenta in modo esclusivista e non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio».

La quaestio fidei è al cuore dell'insegnamento del teologo e del Papa Benedetto XVI. Tra le minacce che incombono sull'Europa, insieme alle culle vuote, all'invecchiamento, alla mancanza di una visione ampia e sapiente, alla scarsa solidarietà, spicca fra tutte quella dell'identità che si va perdendo e che il cristianesimo aveva «contribuito a forgiare», acquisendo un ruolo «non soltanto storico ma fondativo nei confronti dell'Europa». Ecco allora la domanda cruciale: «Questa singolare forma di apostasia da se stessa, prima ancora che da Dio -- si domanda Benedetto XVI -- non induce forse l'Europa a dubitare della sua stessa identità?». Se la visione religiosa è centrale per ogni cultura, se la relazione con Dio è essenziale per il cammino dell'umanità, l'Europa non può ignorare la questione della fede che coinvolge l'uomo e Dio. Se l'Europa dichiara irrilevante per la sua storia presente e futura l'apertura al trascendente, viene a perdere la possibilità di comprendere l'esperienza dell'uomo, di fornire una visione della vita su un fondamento antropologico, di apprezzare la verità e la dignità della persona umana. Si tratta di riguadagnare, anche a livello culturale, la fondamentale dimensione della fede: essa non è andata perduta, ma la sua evidenza è stata occultata. Allora diventa importante arrivare a comprendere che la fede non è una coloritura religiosa rispetto a una condizione umana autosufficiente, ma è il modo di essere umani. Più precisamente, nella fede in Gesù di Nazaret, nella luce di Cristo crocifisso e risorto, si svela una pienezza di senso senza confronti.
Ecco la sfida dell'Europa e per l'Europa, la sfida di pensare e di trasmettere una visione che mostri come la fede è capace di autentica umanizzazione e di apertura oltre il finito. Si tratta di aiutare a riscoprire la bellezza e il dinamismo della fede, di far valere la sua incessante attualità per la vita della persona e della società. Nell'omelia del 31 dicembre 2011, il Papa ha parlato di un nuovo umanesimo generato da una fede che apre la mente e il cuore dell'uomo: «La fede non come atto a sé, isolato, che interessa qualche momento della vita, ma come orientamento costante, anche delle scelte più semplici, che conduce all'unità profonda della persona rendendola giusta, operosa, benefica, buona. Si tratta di ravvivare una fede che fondi un nuovo umanesimo capace di generare cultura e impegno sociale».

Nonostante le molte difficoltà, la speranza di un cammino diverso dell'Europa -- anche da parte della leadership intellettuale -- è sempre presente in Benedetto XVI. La ragione di questa speranza risiede nel desiderio di Dio che è presente nel cuore dell'uomo. La ricerca di Dio è iscritta nell'anima umana e non scompare. Nella vita personale può capitare di dimenticare Dio, di metterlo da parte, così come capita nella vita collettiva. Ma Dio non scompare. Sant'Agostino, il grande maestro a cui spesso Benedetto XVI si è richiamato, ha affermato che il cuore umano è inquieto fino a quando non trova Dio. Per Benedetto XVI questa inquietudine è viva, ben presente anche oggi, anche negli uomini del vecchio continente. Essa può essere l'inizio di un cammino verso Dio, perché l'uomo non si accontenta di ciò che è finito, di ciò che è piccolo: l'uomo, anche l'uomo europeo, non vuole sprofondare nel vuoto, ma vuole dare senso al proprio impegno, alla fatica e al dolore. L'anima cristiana dell'Europa permane nelle sue radici e anche nei suoi frutti, perché l'Europa si è costruita sui grandi valori e sulle grandi intuizioni del cristianesimo. La Chiesa che è in Europa è chiamata a testimoniare che la verità del Vangelo di Gesù Cristo non invecchia e non si logora ma risponde, nella sua sempre sorprendente novità, alle attese dell'uomo, della sua ragione, della sua umanità. L'Europa può passare da una secolarizzazione che svilisce l'umano a una laicità aperta, capace di dialogo con tutte le espressioni culturali, pronta a riconoscere che la fede in Dio non limita la vita, ma la rende pienamente umana. In questo orizzonte aperto e con la speranza che Benedetto XVI ha dato a un'Europa in grave crisi, il cammino europeo può trovare la luce di cui ha bisogno per il suo destino e per la sua vocazione nel mondo.

*Vescovo di Piacenza-Bobbio vicepresidente della Comece
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(©L'Osservatore Romano 9 marzo 2013)

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