venerdì 23 agosto 2019

Anche questa crisi non si decide in Parlamento

Quanti paventano o auspicano il governo giallo rosso, a succedere a quello giallo verde, lambiccano alchimie politiche squisitamente nazionali. Questa crisi non si decide in Parlamento, come d’altronde le precedenti e nonostante le apparenze. Guardiamo dunque al di là del naso.
L’Italia è da sempre al centro d’una faglia geopolitica più minacciosa di quella di San Andreas, a insidiare San Francisco e dintorni.
Dopo la morte di Aldo Moro s’acuì il carattere “proconsolare” delle massime istituzioni repubblicane, Quirinale e palazzo Chigi.
Fin dal nostro ingresso nella NATO, nel 1949, presidenza della Repubblica e governi si legittimarono con la benedizione del Dipartimento di Stato statunitense e quella della Curia vaticana, osservatore fiduciario permanente degli USA, fino al 1989. Oggi Bergoglio conta meno di Jean-Claude Juncker dopo il quarto drink. Il ruolo dell’Unione sovietica crebbe a partire dagli anni ’80, in seguito alla scomparsa di Moro. Una beffa per quanti oltre Atlantico concessero in fretta e furia il visto d’ingresso a Giorgio Napolitano, reputando il Pci più affidabile di Aldo Moro.
Caduto il Muro di Berlino, il ruolo di Mosca fu scalzato dall’asse franco prussiano, col favore dei Bush, padre e figlio, seguito dai Clinton, marito e moglie, e da Hussein Barak Obama. Un club di avidi sciocchi e sanguinari, manutengoli della Repubblica Popolare Cinese, cui stavano consegnando il mondo e l’Europa, com’è oramai visibile nei mutati equilibri in Africa e nel Mediterraneo.
L’avvento di Donald Trump ha scombinato i disegni del IV Reich (Francia e Germania) e del club filocinese statunitense, senza tuttavia cancellarli del tutto.
L’Italia è ancora al centro d’una faglia di instabilità, differente e ben più pericolosa di quella bipolare che mise a confronto Est e Ovest durante la Guerra Fredda. A partire dal Trattato di Maastricht, il dissanguamento della nostra sovranità è trascolorato in vantaggi per vecchi e nuovi attori, Cina in primo luogo.
Dall’elezione di Trump lo schieramento vede Stati Uniti e Gran Bretagna da un lato, contrapposte a Cina, Germania e Francia. L’Italia è nel mezzo del confronto.
Perché l’Italia è importante?
Nel 1992 cominciò il tentativo – da parte di Bill Clinton – di coniugare la presenza statunitense in Sicilia (portaerei nel Mediterraneo) e nell’area veneto giuliana (porta di ingresso nei Balcani) con l’influenza crescente dell’asse franco prussiano. In Sicilia rinacque l’autonomismo – come confermò nel 1994 in un’intervista all’Europeo il primo procuratore generale antimafia, Bruno Siclari. A Washington si resero finalmente conto che l’autonomia siciliana, rinfocolatasi fra Capaci e via D’Amelio, non era affatto scontata a stelle e strisce, come nel 1946. D’altronde anche il lombardo veneto sbandava verso la Germania. I cervelloni del Dipartimento di Stato cercarono di correre ai ripari, tirando ora la briglia di sinistra ora quella di destra dei governi italiani, senza tuttavia ottenere altro che un trasferimento di almeno dieci punti di PIL dall’Italia all’asse franco prussiano. Quando infine capirono il vero peso della Cina in Africa, dietro Francia e Germania, tentarono la “primavera mussulmana”, una sorta di contro fuoco, come si fa quando s’incendia una porzione di bosco per fermare l’incendio che avanza da tergo, in questo caso dal centro Africa, dove la Cina dilaga con esercito e mercenari franco prussiani a darle copertura.
La “primavera mussulmana” è andata come si sa, consentendo poi a Vladimir Putin di rientrare nel grande gioco del Mediterraneo. In due parole, una catastrofe innanzi tutto per gli USA.
Trump ha cercato di limitare i danni, spalleggiato dalla Gran Bretagna, aprendo un confronto con Pechino. La Brexit in tale quadro materializza il rifiuto di Londra di genuflettersi al IV Reich, costi quello che costi.
Il principale strumento degli USA in Europa, la NATO, oggi è insignificante e nel prossimo futuro lo sarà ancor meno. Le ambiguità franco prussiane e la condotta inequivocabile della Turchia lo certificano. In quanto a Parigi e Berlino, solo gli sciocchi non s’avvedono che il loro gioco egemonico in Europa è tanto protervo verso Roma quanto servile verso Pechino.
L’Italia è in mezzo a questa sarabanda. La sua posizione è oggi di gran lunga più importante rispetto alla Guerra Fredda, grazie al canale di Suez che nel frattempo ha raddoppiato la sua capacità di transito. Un’eventuale rinascita pertanto delle capacità italiane di traffico portuale e ferroviario (quest’ultimo scongiurato tenacemente fino alla gestione di Mauro Moretti) restituirebbe alla marginalità i porti dell’Europa settentrionale a oltre 3mila miglia da Suez: Amburgo, Rotterdam e Anversa, guarda caso dove le ‘ndrine hanno i santuari, le ‘ndrine che tengono sotto scacco Gioia Tauro e la Calabria, mentre vanno spandendosi nel cuore economico italiano, Milano. Finché l’asse franco prussiano ci vincolerà a una crescita dell’1% o ancor meno – come capita ai paesi dell’area del Franco africano – il IV Reich ci potrà dominare.
Appare quindi alquanto improbabile che la crisi di governo, aperta da Matteo Salvini, possa risolversi per mano di statisti del peso di Luigi Di Maio, Matteo Renzi e di Nicola Montalbano Zingaretti.
Più d’un elemento lascia pensare che vi sia un canale privilegiato fra Salvini e Washington, probabilmente ignoto anche ai suoi collaboratori più stretti, come accade sovente in questi frangenti. Salvini è stato avventato ad aprire la crisi? Chi lo afferma forse dimentica quanto pesino a Washington la spinta di Davide Casaleggio e Beppe Grillo sulla “via della Seta”, verso la Cina, senza dimenticare il collaborazionismo di Di Maio per l’elezione di Ursula Von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue.
Salvini è con Washington? Certo, anche se non lo è la Lega nel suo intero. M5S e PD sono figli della stessa madre, ignota ma non del tutto, la Cina, ma di padri differenti. La Francia è sul PD come la Germania sul M5S
La soluzione della crisi italiana si giocherà quindi tra Washington e Pechino, dove sono i perni di manovra dei veri rapporti di forza. I marxisti e gli ex marxisti non dovrebbero dimenticare l’oggettività e l’importanza dei rapporti di forza.
Questo è l’ambito in cui si dipana l’ennesima crisi italiana.
Come finirà?
L’Italia è nelle mani di Dio; speriamo che non applauda.
20 agosto 2019, Piero Laporta - Fonte

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Paolo Becchi a Radio Cusano: “la partita non è chiusa, può tornare il governo gialloverde. La crisi? Colpa di Conte, lui è sempre stato un uomo del PD. Quando si è arrivati alle elezioni europee, ha fatto il suo gioco”
http://www.strettoweb.com/2019/08/governo-becchi-conte-pd-prodi-presidente-repubblica/885491/

Anonimo ha detto...

“Sono molto sorpreso dal comportamento del primo ministro italiano. Ho la sensazione che il premier Giuseppe Conte abbia un approccio molto diverso rispetto a quello dei due partiti che formano la sua coalizione di governo, il Movimento 5 Stelle e la Lega. Conte sembra essere incredibilmente il primo ministro più pro-Unione europea di tutti e non sembra nella maniera più assoluta essere euro-scettico. La mia forte impressione è che quasi sempre il primo ministro italiano non faccia nulla per difendere gli interessi nazionali del suo Paese e faccia solo quello che gli dicono a Bruxelles”. Il leader della Brexit lo dice in una intervista al quotidiano on line Affaritaliani.it.
https://www.secoloditalia.it/2019/07/farage-allattacco-di-conte-non-fa-gli-interessi-dellitalia-ma-di-bruxelles/

Anonimo ha detto...

https://www.ilsussidiario.net/news/governo-conte-sapelli-in-italia-comanda-macron-ecco-il-piano-per-ridurci-a-colonia/1920733/

Maria Guarini ha detto...

https://scenarieconomici.it/il-governo-pd-5stelle-non-e-illegittimo-e-semplicemente-contrario-al-principio-democratico-e-la-prima-volta-che-accade-una-cosa-del-genere-ecco-tutti-gli-esempi-in-73-anni-di-esperienza-repubbl/