giovedì 28 maggio 2020

Come immaginare una “resistenza cattolica” allo strisciante totalitarismo post-moderno

Bisogna ipotizzare tre scenari.

Il primo è quello di un vero e proprio cataclisma a livello economico, politico e sociale. È il più apocalittico dei tre e richiamerebbe quello che è accaduto alla fine dell’Impero romano, quando una civiltà oramai in pieno declino e al culmine della parabola discendente è implosa sotto il peso di una gravissima e irreversibile crisi economica, politica e sociale. In questo caso i cristiani, esattamente come nel VI secolo dopo Cristo, dovrebbero ricostituirsi come piccole comunità di famiglie attorno a centri di spiritualità. Allora furono i monasteri, grazie alla grande intuizione di San Benedetto da Norcia, nel nostro secolo potrebbero essere singoli sacerdoti, santuari, comunità religiose, movimenti laicali e ogni altro luogo dove poter vivere la fede come vera esperienza di vita. Più o meno ciò che Rod Dreher delinea nella sua opera Opzione Benedetto.

Il secondo scenario, invece, è quello dell’instaurazione di una vera e propria dittatura violentemente anticristiana. In questo caso la reazione dovrebbe essere quella del ricorso all’uso legittimo dell’insurrezione. Più o meno come è accaduto in Messico con la cosiddetta “Guerra Cristera” o in Spagna con l’intervento provvidenziale di Francisco Franco che ha liberato la penisola iberica dalla persecuzione anarco-comunista contro i cristiani, salvando la presenza della Chiesa cattolica in quella nazione. In questo periodo di confinamento forzato mi è capitato di rileggere l’interessante documento Firmissimam constantiam, con cui Pio XI, il 28 marzo 1937, interveniva sulla situazione della Chiesa cattolica in Messico perseguitata dallo spietato governo massonico di Plutarco Elías Calles. In quel testo il pontefice intervenne, infatti, a favore della liceità della lotta dei cittadini cattolici messicani contro il «potere pubblico», che «ponendosi contro la giustizia e la verità, era giunto al punto di distruggere le fondamenta stesse dell’autorità».  È interessante come, peraltro, una successiva indicazione in tal senso sia poi giunta a distanza di quarant’anni, il 26 marzo 1967, con l’enciclica di Paolo VI Populorum progressio, in cui quel pontefice legittimò l’insurrezione armata dei cattolici contro «una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del Paese» (n.31). Una dittatura che arrivasse a chiudere le chiese e perseguitare i cristiani, come accadde in Messico e in Spagna negli anni Trenta, autorizzerebbe, quindi, l’uso legittimo della forza per abbattere la tirannia.

Il terzo scenario, forse il più probabile, è quello di una dittatura tecnologica, quella che Aldous Huxley definì “senza lacrime”, basata su un controllo ed una manipolazione orwelliana degli individui. Una dittatura solo apparentemente più morbida delle dittature classiche ma in realtà molto più pericolosa, perché non si accontenterebbe di sottrarci la vita ma pretenderebbe di cambiare le nostre coscienze per sottrarci un bene ancora più prezioso: l’anima. In questo caso mi pare che la reazione dei cristiani dovrebbe essere quella mirabilmente descritta dal celebre dissidente ceco Vacláv Havel nella sua opera Il potere dei senza potere. Havel in Cecoslovacchia sconfisse l’Impero del Male della sua epoca, l’Unione sovietica comunista, senza lo spargimento di una goccia di sangue. Fu lui, infatti, il padre di quella che venne poi definitiva la “Rivoluzione di velluto”. Ci riuscì semplicemente continuando ad opporre la verità alla menzogna. Noi sappiamo che la menzogna può vincere qualche battaglia. A volte può anche sembrare che le stia vincendo tutte, e per molti anni. Ma non potrà mai vincere la guerra contro la verità.

In questo scenario, l’atteggiamento dei cristiani dovrebbe essere quello delineato da un altro dissidente cattolico amico di Havel e che portava il suo stesso nome: Václav Benda. Fu lui a coniare il concetto che ritengo molto interessante di “polis parallela”. Prima di spiegare di cosa si tratta, faccio una piccola premessa sui tre livelli in cui dovrebbe articolarsi la “resistenza cattolica”. Il primo livello è quello esistenziale dell’individuo, quella sfera segreta della persona fatta di ideali, valori e principi a partire dalla fede cristiana. Per cambiare il mondo occorre prima cambiare sé stessi. C’è poi un secondo livello che definirei “prepolitico”, in cui la persona si manifesta attraverso i suoi comportamenti, la sua professionalità, la sua testimonianza, il suo coraggio di opporre la verità alla menzogna. Vi è, infine un terzo livello che possiamo, invece, definire “politico” in cui si instaura una vita indipendente da un sistema di potere che non rappresenta più il popolo. Questa vita indipendente si realizza attraverso vere e proprie strutture alternative, ossia la “polis parallela” di Benda. Sono strutture di livello organizzativo-istituzionale come ad esempio l’informazione parallela, l’economia parallela, l’istruzione parallela. Una sorta di società nella società, che richiama in qualche modo l’idea della Civitas Dei di Agostino: una città che vive dentro la città degli uomini e non si identifica con la città degli uomini.

A me pare che quello della “polis parallela” di Václav Benda sia il modello cui guardare e studiare per un’efficace “resistenza cattolica” contro il totalitarismo post-moderno che si profila all’orizzonte."
(da una intervista a Gianfranco Amato)

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