Non solo gender. L'abolizione della famiglia passa attraverso l'abolizione (capitalista) della proprietà privata. Prendere nota.
Ieri riflettevo sul futuro della proprietà privata in un paese come l’Italia dove il debito pubblico è pari al 159 per cento del Prodotto interno lordo e il governo si è messo in testa di spendere evidentemente a deficit altri 13 miliardi di euro all’anno per la Difesa, in aggiunta ai 25 che già si spendono. Calcolati pro capite, i nostri attuali 2.700 miliardi di euro di debito pubblico equivalgono a 45 mila euro per ogni cittadino, neonato o ultranovantenne che sia. E che non risulti fuori luogo attirare l’attenzione su questo particolare lo conferma il fatto che governi stranieri, stampa economica, enti internazionali da tempo suggeriscono agli esecutivi italiani di provvedere nel modo più ovvio (secondo loro) e semplice al problema del crescente debito pubblico: espropriare attraverso aumenti di pressione fiscale la grande ricchezza privata degli italiani. I quali sono sì indebitati anche come privati, ma molto meno degli altri grandi paesi: da noi il debito privato non arriva al 44 per cento del Pil, mentre in Francia è il 67,3 per cento, negli Stati Uniti è il 78,5 per cento e in Gran Bretagna è l’87,7 per cento.
«Non possederai niente. E sarai felice»
Qualche anno fa fece sensazione un documento del World Economic Forum di Davos nel quale si prevedeva la scomparsa della proprietà privata dei beni entro nientemeno che il 2030. Non la proprietà privata dei mezzi di produzione, storico obiettivo dei programmi comunisti, ma la proprietà dei beni personali e di famiglia; cose come la casa, l’automobile, il computer, ecc. Sostituite da “servizi” a pagamento o gratuiti. Le reazioni furono furibonde, il Wef fu accusato di voler consegnare le proprietà di noi tutti alla grande finanza e alle multinazionali con la complicità degli stati, per trasformarci tutti in servi del capitale, interamente da lui dipendenti.
Il forum di Davos smentì di avere fra i suoi obiettivi l’abolizione della proprietà privata tout court, e spiegò che si trattava solo di uno scenario ipotetico formulato da una relatrice ai lavori del 2016, l’ex ministro danese per l’ambiente Ida Auken. In realtà non è così: esiste un video targato World Economic Forum intitolato “8 predictions for the world in 2030” nel quale il testo sovraimpresso della predizione numero 1 recita: “You’ll own nothing. And you’ll be happy”, cioè non “Non possederai niente. E sarai felice”.
L’Economist contro la casa di proprietà
A rincarare la dose è poi arrivato un editoriale (a introduzione di un lungo servizio sulle politiche della casa nel mondo) dell’Economist nel gennaio 2020 che individuava niente meno che nella proprietà dell’abitazione domestica la causa di tutti i problemi di equità sociale e di mancata crescita economica di molti paesi. Sotto il titolo “Home ownership is the West’s biggest economic-policy mistake” (“La proprietà della casa è il più grande errore di politica economica dell’Occidente”) e il sottotitolo “It is an obsession that undermines growth, fairness and public faith in capitalism” (“È un’ossessione che mina la crescita, l’equità e la fede pubblica nel capitalismo”) si spiegava che era colpa della “infatuazione” per la proprietà privata della casa se il mondo subiva i contraccolpi finanziari del fallimento dei mutui sub-prime, se i costruttori non potevano edificare i grattacieli di cui c’era tanto bisogno e se… acquistare una casa costava troppo! L’articolo sentenziava che la proprietà della casa è “un feticcio” e che “è meglio possedere azioni che una casa”.
Ovviamente quando a proporre l’abolizione della proprietà privata sono i forum e i giornali dei capitalisti che possiedono abbondanza sia di mezzi di produzione che di beni personali che di asset finanziari, la reazione a base di ingiurie e maledizioni da parte della gente comune è il minimo che ci si può aspettare. Il buonsenso porta a sospettare che dietro alla proposta – formulata per la felicità dei meno abbienti, naturalmente – ci siano gli spiriti animali del capitalismo che esigono la realizzazione di profitti sempre maggiori. Questi ultimi si possono ottenere rendendo le persone sempre più dipendenti dal sistema economico per tutte le loro esigenze, e la casa di proprietà è un baluardo di indipendenza che il grande capitalismo finanziario intende espugnare.
La riduzione della persona a individuo
Ma se permettete c’è qualcosa di più profondo che mi affligge quando prendo atto di queste utopie pseudoe-cologiste e pseudoprogressiste. È la consapevolezza che dietro queste possibili evoluzioni delle nostre società ci sta la programmatica riduzione della persona a individuo, cioè a ente isolato; ci sta la volontà di recidere tutti i legami che fanno dell’essere umano un essere che vive di rapporti affettivi con altri esseri umani, rapporti affettivi che iniziano nella famiglia in cui si nasce. Perché tali legami ostacolano la crescita economica e la realizzazione di profitti.
La famiglia è trasmissione: trasmissione della vita, della lingua, di valori, di beni patrimoniali. Annientare la trasmissione dei beni patrimoniali – la casa prima di tutto – attraverso l’abolizione della proprietà privata equivale ad abbattere uno dei pilastri della realtà familiare. Con essa – e forse questo i capitalisti post-umani di Davos e dell’Economist non l’hanno ancora intuito – viene meno anche la voglia di trasmettere la vita, cioè di mettere al mondo figli. Che senso ha mettere al mondo dei figli se non abbiamo nulla da trasmettere loro, né spiritualmente né materialmente?
Il crollo della natalità
C’è una pagina de Le particelle elementari di Michel Houellebecq che rende perfettamente l’idea: «(…) i figli erano la trasmissione di uno stato, di regole e di un patrimonio. E questo principalmente nell’ambito dell’aristocrazia, ma non solo: anche tra i commercianti, i contadini, gli artigiani, in pratica in tutte le classi sociali. Oggi tutto ciò non esiste più: io sono un impiegato, cosa dovrei trasmettere a mio figlio? Non ho nessun mestiere da insegnargli, neppure so cosa potrà fare da grande; e, comunque, per lui le regole che ho conosciuto io non saranno più valide, vivrà in un altro universo. Accettare l’ideologia del cambiamento continuo significa accettare che la vita di un uomo sia strettamente ridotta alla sua esistenza individuale, e che le generazioni passate e future non abbiano più alcuna importanza ai suoi occhi. È così che viviamo; e oggi per un uomo avere un figlio non ha più alcun senso» (ed. La Nave di Teseo, Milano 2021, p. 203).
Abolite pure la proprietà privata invocando truffe ideologiche come gli imperativi dell’ecologia e della giustizia sociale: otterrete il crollo definitivo della natalità. E non ci saranno più clienti disposti a pagare il canone dei vostri servizi e dei vostri affitti. Ve la siete voluta. - Fonte
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