Finita l’ora d’aria elettorale per il popolo italiano, si torna alla realtà dei poteri dominanti e dei percorsi prestabiliti. Il voto nelle democrazie è una gita fuori porta, una scampagnata con relativo pic nic politico; ma finita la gita, consumato lo spuntino, si torna all’ovile. La ricreazione è finita. È stato bello avere l’impressione che tutto sarebbe cambiato col voto, secondo quel che raccontavano i protagonisti dello show elettorale o secondo le aspettative diffuse della gente. Era bello figurarsi che tutto era nelle mani dell’elettore sovrano e che la politica avrebbe assunto la forma indicata dalla libera volontà dei cittadini. Era bello ballare con le stelle, illudersi che il mondo è come ci appare, come ci viene raccontato dai leader e dai loro spin doctor, frutto della nostra volontà e della loro, incrociate in un rapporto nuziale che si chiama patto elettorale.
In realtà sappiamo ormai da anni che qualunque sia l’esito del voto, lo spazio assegnato alla politica si restringe ogni giorno di più, insieme con lo spazio del giudizio popolare. Si cominciò a invocare il primato della politica quando già mancava il terreno sotto i piedi; ora sarebbe una barzelletta o una fiaba elettorale. La possibilità di influenzare i processi decisionali e di modificare gli assetti di potere, l’inespugnabile Establishment e la sua emanazione diffusa, il Mainstream, e le sue fabbriche di controllo, sorveglianza e consenso, è minima, se non trascurabile. L’esito del voto il giorno in cui viene registrato va a consegnarsi dentro una geometria di poteri, che non è semplicemente quella, auspicabile, della divisione dei poteri tra esecutivo, legislativo e giudiziario. Ma quella di poteri sovrastanti, non eletti, non controllabili, non revocabili. E da quell’impalcatura non si può sgarrare. Il politico va a costituirsi alla corte sovrana che decide in ultima istanza e che è impermeabile ai verdetti elettorali, a volte riesce pure a determinarli. Se non vi riesce prima, lo fa dopo, a urne chiuse.
Quasi tutte le decisioni importanti sono prese all’interno di un quadro, tenendo conto delle direttive, dei protocolli, delle indicazioni, più la discrezione delle oligarchie se far pesare o meno, e quanto far pesare, il debito sovrano degli stati, la loro esposizione ai prestiti che si fanno debiti, e ai piani di sostegno che solo in apparenza sono a fondo perduto. Ancora più ferrea è la dinamica dei rapporti internazionali, di chi considerare nazioni amiche, nazioni nemiche o nazioni alleate ma dannate. La sovranità delle linee di politica estera è interdetta ai governi che devono sottostare a una più ineffabile ma più decisiva “governance” che non risponde ai popoli e ai cittadini.
La competizione elettorale mette in gioco solo lo spazio più piccolo benché più vistoso del potere. Tutto il resto è sotto tutela, in un sistema di scatole cinesi in cui di fatto la sovranità è svuotata e il potere decisionale è praticamente interdetto, almeno sulle questioni che si definiscono appunto “decisive”. Il meglio e il minimo che si possa dire è che saranno frutto di negoziazione e compromesso; ma i margini di manovra per chi governa sono esigui, soprattutto per i parvenu.
Allora cosa siamo andati a votare domenica scorsa, cosa abbiamo davvero deciso con la nostra scheda elettorale? Abbiamo votato per eleggere la bambolina più piccola della matrioska del potere.
La bambolina politica, se va bene si fa bambolina di governo, ma starà dentro la bambola degli apparati e delle istituzioni, che ha la faccia di Mattarella e i tentacoli dei poteri giudiziari, contabili, burocratici; a sua volta la bambola con la faccia dei poteri istituzionali starà dentro la bambola europea con la faccia di Ursula von der Leyen, che in realtà è un’icona per indicare tutti i poteri europei, non solo la Commissione ma la Banca centrale europea, la Corte europea, gli eurocrati e il ferreo reticolo di direttive, protocolli e sentenze. E la bambola europea è dentro la bambola atlantica, con la faccia di Stoltenberg, che comprende tutti i vincoli atlantici, l’apparato militare della Nato, l’allineamento allo schieramento; e le relative reti di influenza, di pressione, di monitoraggio, di controllo, di propaganda. E tutto questo carosello di bambole sarà ancora dentro la Bambolona Globale, senza volto o multifacciale, la cupola dei poteri transnazionali, costituita da un intreccio di interessi economico-finanziari alla massima potenza, supremi consorzi di potere, costellazione di potentati mondiali. Il complesso della matrioska viene definito Nuovo Ordine Globale, anche se poi è ristretto all’Occidente e alle sue periferie.
La bambola del governo è la più piccola, la più vulnerabile dentro quella matrioska: credete che chi forma un governo abbia grandi possibilità di manovra? La matrioska dei poteri ha un interesse primario: che le urne non diano mai responsi netti, maggioranze schiaccianti, soprattutto se non sono omogenee alle bambole più grandi. Se nessuno vince, nascono le coalizioni intorno ai commissari della matrioska. Se il verdetto invece è chiaro, nonostante la volontà della matrioska, allora parte il pressing, tramite ricatti, allarmi procurati e minacce che faranno rientrare la bambolina neonata dentro la famiglia della Matrioska; sarà piegata e plagiata, se non è accaduto già prima.
Poi con l’autunno i nodi verranno al pettine, sono annunciati disastri e tregende, non si può più giocare con la politica, è come scherzare col fuoco.
Ma la democrazia? Risponde Virgilio: “Non ti crucciare, vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”.
(Marcello Veneziani- Panorama n.40)
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