mercoledì 9 settembre 2020

La padella e la brace del referendum

Volete voi tagliare il numero dei parlamentari ed eliminare 345 indennità? Figuriamoci se gli italiani non sono d’accordo, eccetto i parenti stretti dei parlamentari e pochi altri. Sono d’accordo pure io, perché reputo così importante il ruolo di deputato o senatore che non 345 ma almeno il doppio sarebbero degni di essere mandati a casa con procedura d’urgenza e destinati ai lavori, se non forzati, quasi. Perché sono del tutto inadeguati al ruolo. Poi penso al referendum e divento più amletico. Non mi piacciono i promotori grillini del taglio e non mi piacciono nemmeno i difensori dello status quo.
I grillini vogliono tagliare i parlamentari per una ragione demagogica e una esoterica. La ragione demagogica è plateale, vistosa, quella che dicevo prima: è di grande popolarità proporre il taglio dei parlamentari, significa vincere facile. La ragione esoterica è che i 5Stelle sono emanazione di una piattaforma della setta di grillology il cui disegno è scalzare la pseudo-democrazia parlamentare sostituendola con la finta democrazia elettronica, quella della rete. Dove un piccolo campione militante e veicolato decide e designa fingendo che sia espressione del popolo sovrano. Ma la democrazia della rete è ancora più delegata, deviata e dequalificata della democrazia parlamentare.
E che grillology voglia svilire il parlamento lo si evince dalla proposta di vincolo di mandato per i parlamentari. Che detta così, piace tanto alla gente perché punisce i traditori e i voltagabbana (eccetto quelli tipo Conte); ma se adottata significherebbe ridurre definitivamente i parlamentari a birilli, burattini del partito che se non votano come decide chi comanda su di loro, vanno a casa. Fine della democrazia, a decidere restano una decina di capataz.
Dall’altra parte, la difesa del Parlamento più numeroso d’occidente, conoscendo poi le sue performance e la sua composizione, non mi piace affatto; e non vedo perché si debba mortificare la volontà popolare che chiede il taglio.
Il fatto che sul no al taglio sia accorso un fronte inciucista, oligarchico, e perfino le sardine con un ragionamento in cui confermano di avere il cervello delle sardine, ci induce a starne lontani.
Allora proviamo a ragionare nel merito. I risparmi prodotti dai tagli sono solo uno specchietto per i tordi, perché sono una goccia nell’oceano del bilancio di Stato; e non verrebbe toccata la costosissima struttura del Parlamento, tutto quel personale superpagato che va dai commessi ai funzionari. I parlamentari, perlomeno, sono i rappresentanti del popolo, ma loro no.
Il taglio poi non produce una selezione dei migliori perché non si accompagna ad alcun criterio, alcuna cernita, è solo riduzione di numero, senza salto di qualità; anche in un parlamento ridotto del 36% i peones inadeguati sarebbero ancora la stragrande maggioranza dei parlamentari. Al taglio non corrisponde alcun filtro sui parlamentari né la richiesta di un curriculum adeguato. D’altra parte ogni selezione a priori comprometterebbe l’idea stessa che il parlamento debba rappresentare l’intera cittadinanza e non solo la sua classe dirigente.
Magari la distinzione dovrebbe riguardare chi governa: chi rappresenta il popolo è coerente col modello parlamentare che sia un campione assortito della cittadinanza, ma chi lo governa dovrebbe invece avere qualche qualità e pertinenza in più. E a questo proposito l’idea di scindere il potere legislativo da quello esecutivo, distinguere i luoghi della rappresentanza da quelli della decisione, mi pare cosa saggia e utile: da qui l’opportunità dell’elezione diretta di chi governa, l’autonomia dell’esecutivo e il ruolo del parlamento come controllo, proposta legislativa e vigilanza su chi governa. Ma si passerebbe dalla democrazia parlamentare alla democrazia presidenziale.
Ammesso che un parlamento ridotto guadagnerebbe in agilità, il problema principale delle nostre Camere è il bicameralismo ripetente, balbuziente, in cui le leggi hanno un iter assurdo e le camere sono doppioni che si rincorrono a vicenda. Il vero problema è differenziare i compiti delle camere, articolarle diversamente, dar loro ruoli diversi. La riforma di Renzi aveva colto il problema ma aveva sbagliato la soluzione e aveva impostato la riforma come un gradino verso la monarchia assoluta renziana. L’ideale sarebbe cambiare con i compiti anche la base della rappresentanza tra i due rami del Parlamento: una camera politica più ampia che rappresenti l’intero territorio e l’intera popolazione, nel ventaglio ampio delle opzioni politiche; e l’altra più ristretta e qualificata che rappresenti le categorie produttive del lavoro e dell’impresa e i settori significativi della ricerca, l’istruzione, la cultura, degli alti ranghi dello stato. Ma conoscendo i nostri polli, vaneggiamo.
Il taglio grillino non si inserisce in alcuna strategia riformatrice, in alcuna visione politica e statuale, ma è solo bassa macelleria per compiacere la plebe desiderosa di veder ridurre la politica in lacerti e fettine. Tagli a capocchia.
Ciononostante è leggermente meglio avere seicento parlamentari piuttosto che quasi mille. Per una questione simbolica, forse etica, forse logistica – per ridurre gli assembramenti – forse per dare un segnale iniziale di voler riformare i ruoli e le funzioni; e comunque, lo ripeto, per assecondare la volontà del popolo sovrano. Che vadano a casa un po’ di scappati dalla medesima, non può che farci piacere. Dopodiché si deve cominciare a pensare alla politica, quella seria; e sul serio. Dunque incompatibile con i masanielli, le sardine, le sette e gli oligarchi.
Marcello Veneziani, La Verità 22 agosto 2020

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