È lampante che, con il pretesto del rinnovamento, si sia inteso istituire una nuova religione che con quella cattolica conservasse soltanto una somiglianza esterna, quale veicolo di un contenuto estraneo: un panteismo immanentistico centrato sull’uomo, ma celante il culto proprio della massoneria, ossia quello di Lucifero, il Dio dell’universo appositamente infilato nel rito della Messa “riformata”. A tal fine si è presentato il verbo conciliare come un’ulteriore rivelazione divina, frutto di una presunta nuova Pentecoste, che dopo quasi due millenni avrebbe finalmente fornito alla Chiesa la giusta chiave interpretativa della verità rivelata, fino allora, evidentemente, rimasta velata a tanti Pontefici, Santi e Concili, se non da essi decisamente fraintesa e distorta. Con sistematica e meticolosa diligenza s’è provveduto a ripensare radicalmente il dogma e la morale, nonché a ricostruire ex novo il culto, il diritto e le strutture di governo, ben attenti a non lasciare immutato assolutamente nulla. Tutto nella Chiesa, pezzo per pezzo, è stato sostituito da qualcos’altro in funzione di una diversa comprensione della Chiesa stessa – cosa, peraltro, che non è affatto consentita.
Nessuna ermeneutica potrà mai risanare l’avvenuta rottura con la Tradizione: l’organismo artificiale che ne è nato è stato volutamente studiato perché fosse un’altra cosa. Trovare una continuità con ciò che il cattolicesimo era prima è solo un esercizio dialettico che ha momentaneamente rassicurato i buoni, ma non tiene di fronte all’evidenza della realtà, specialmente se si prende atto dei prevedibili sviluppi del processo avviato sessant’anni fa e ora giunto a piena maturazione. Nell’insegnamento teologico, come nella mentalità comune, il cristianesimo è ormai considerato un’opzione fra le tante – e neppure la migliore, vista l’ossessiva insistenza sulle colpe attribuite ai suoi adepti. Per continuare a professarlo legittimamente, oggi, bisognerebbe rinunciare a ogni pretesa di verità e di esclusività a vantaggio di un vago moralismo umanitarista, coincidente con il pensiero unico, che rende superflua ogni fede e indifferente ogni appartenenza. In un contesto del genere viene meno la ragion d’essere della Chiesa e, in generale, di qualunque istituzione religiosa.
Uno degli indizi più evidenti di tale volontà sovvertitrice è il modo in cui sono stati trattati i Padri della Chiesa nel nuovo breviario. L’abbondanza e qualità dei testi patristici inseriti è di per sé una grande risorsa per la formazione dottrinale e spirituale di clero e religiosi, oltre che di molti laici che pregano con l’Ufficio Divino; è proprio grazie alla meditazione su di essi che chi scrive ha cominciato a riappropriarsi della verità cattolica deformata dagli studi, per approdare infine, dopo lunghi anni di letture e riflessioni, alla riscoperta della Tradizione. Tuttavia – tralasciando la scarsa attenzione ai temi morali nella scelta dei testi – il confronto con gli originali porta alla luce un grave problema di fedeltà sia alla lettera che al contenuto: grazie ad esso ci si accorge, infatti, non solo che le traduzioni sono spesso inaffidabili, ma anche che i brani stessi sono stati selezionati e purgati in modo da non confliggere con l’ideologia dei novatori. Analogo discorso vale per il trattamento della Sacra Scrittura, soprattutto riguardo ai passi scomodi del Nuovo Testamento.
Tale intento mistificatorio è particolarmente evidente nella sistematica censura dei testi attinenti alla polemica antigiudaica, che il breviario tradizionale riporta invece senza il minimo complesso. Sia in Oriente che in Occidente, Padri e scrittori ecclesiastici di prima grandezza si scagliano con veemenza non solo contro le pratiche di un culto ormai superato dopo la morte redentrice del Cristo, ma anche contro la condotta degli aderenti ad esso, perennemente sorpresi a tramare a danno dei cristiani, sia sul piano politico che su quello economico. Le accorate denunce dei Padri e dei Concili dimostrano la fondatezza delle teorie sulla cospirazione giudaica; il fatto che un regime anticristiano le abbia sfruttate per giustificare uno sterminio non ne annulla la verità storica, né stabilisce alcun nesso tra la dottrina cattolica tradizionale e le aberrazioni di un’ideologia demoniaca partorita dalla mente malata di un satanista.
L’atteggiamento verso l’Israele storico non riveste certo un ruolo periferico nel discorso che stiamo sviluppando: per neutralizzare la portata universale della verità cattolica ed esautorare la Chiesa era necessario ridurre il cristianesimo a una variante impazzita dell’ebraismo da ricondurre nel suo alveo una volta per tutte. Ciò che i rabbini non possono proprio sopportare è l’interpretazione patristica in senso cristologico di quei passi dell’Antico Testamento che essi riferiscono invece alla loro etnia, considerata termine ultimo ed esclusivo delle promesse divine. Se però crediamo sul serio che il vero autore delle Scritture è lo Spirito Santo e che tutto, in esse, tende a Cristo (cf. 2 Tm 3, 16; 2 Pt 1, 21; Rm 10, 4), non possiamo non riconoscere la profonda continuità tra i due Testamenti nonché la piena legittimità dell’ermeneutica praticata dai Padri, poi seguita dai teologi provati. Questo punto è di capitale importanza per la nostra fede: su di esso tutto sta o cade, come avevano ben compreso gli intellettuali ebrei che influenzarono in modo decisivo la stesura di alcuni documenti secondari del Vaticano II, successivamente considerati, benché a torto, fondamentali.
Particolarmente eloquente, a tal proposito, è l’interpretazione di un episodio della storia di Giacobbe. La benedizione che il figlio minore, istigato dalla madre Rebecca, estorce con l’inganno al padre Isacco, ormai cieco, al posto del primogenito Esaù si attaglia unicamente a Gesù Cristo: «Ti servano i popoli e ti adorino le tribù; sii il signore dei tuoi fratelli e si prostrino davanti a te i figli di tua madre» (Gen 27, 29). Perché si utilizza il plurale, visto che Giacobbe ha solo un gemello? I fratelli, evidentemente, sono quelli di Gesù, che sono tali non sul piano naturale, ma su quello soprannaturale: sono i membri di quella moltitudine che si è acquistata col proprio sangue e di cui è il primogenito (cf. At 20, 28; Ap 5, 9; 7, 9; Rm 8, 29); essi sono figli di sua madre, cioè di Colei che ha partorito Lui fisicamente e, mediante la propria partecipazione alla Redenzione, tutti i cristiani spiritualmente (cf. Gv 19, 25-27). Di quel testo, questo è l’unico senso accettabile, che non può essere ignorato; chi pretendesse invece di arrestarsi al senso letterale (eventualmente applicabile non certo a tutti i popoli, ma alla sola posterità di Esaù, ossia agli edomiti) dovrebbe coerentemente prostrarsi davanti ai discendenti di Giacobbe e adorarli… o forse già lo fa?
Qui la meditazione della divina Parola, nostro malgrado, ci riconduce a una questione cruciale: la rivendicazione del dominio mondiale da parte di coloro che, per non rinunciarvi, hanno rifiutato il Regno di Dio, tentando altresì di impedirvi l’accesso agli altri. «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché chiudete il Regno dei Cieli davanti agli uomini; voi, infatti, non siete entrati e non lasciate entrare quanti vogliono entrare» (Mt 23, 13). Quel popolo superbo – osserva san Gregorio Magno – non finalizzò l’insegnamento della Legge all’esercizio della carità, ma alla propria esaltazione (cf. Homiliae in Evangelia, 40, 2: PL 76, 1302); il dono ricevuto non fu per esso motivo di umile gratitudine e strumento di correzione, ma pretesto di arrogante rifiuto della Redenzione: «Siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno; come puoi dire: “Diventerete liberi?”» (Gv 8, 33). Ecco la radice della tragedia del popolo ebraico, angariato dalle sue stesse guide ed escluso dalla grazia per causa loro, che grazie alla primavera conciliare hanno esteso la propria nefasta influenza pure su noi cattolici togliendoci la chiave della conoscenza (cf. Lc 11, 52), ossia il metodo giusto per comprendere la verità rivelata.
Il panteismo immanentistico centrato sull’uomo che si è diffuso fra i cattolici in seguito al Vaticano II è proprio quello della cabala ebraica, che identifica l’universo con un presunto essere primordiale (l’Adam Kadmon) dietro il quale si nasconde Lucifero. Il dominio del mondo ha preso la forma di un impero del denaro capace di regolare, in maniera evidente od occulta, ogni aspetto della vita di popoli e individui. Per venire alla cronaca, a titolo di esempio, un ruolo centrale nell’instaurazione dell’attuale regime ucraino filoatlantico e nella feroce repressione del Donbass separatista (cioè nelle cause dell’intervento russo), spetta ad Igor Kolomoisky, magnate giudeo che, al contempo, controlla l’apparato mediatico del suo Paese, strumento della campagna d’odio contro Mosca, e finanzia le milizie neonaziste colpevoli delle atrocità di cui egli stesso, seguito dalle prostitute dell’informazione occidentale, incolpa gli invasori. Come vedete, la storia si ripete: in combutta con i correligionari d’Oltreoceano, quei signori decidono le sorti dell’Europa. Quel che è nuovo è che la Russia – così sembra – sta mandando in fumo i loro perversi progetti, già causa della sua rovina. Che sia una nemesi storica, un secolo più tardi?
L’atteggiamento verso l’Israele storico non riveste certo un ruolo periferico nel discorso che stiamo sviluppando: per neutralizzare la portata universale della verità cattolica ed esautorare la Chiesa era necessario ridurre il cristianesimo a una variante impazzita dell’ebraismo da ricondurre nel suo alveo una volta per tutte. Ciò che i rabbini non possono proprio sopportare è l’interpretazione patristica in senso cristologico di quei passi dell’Antico Testamento che essi riferiscono invece alla loro etnia, considerata termine ultimo ed esclusivo delle promesse divine. Se però crediamo sul serio che il vero autore delle Scritture è lo Spirito Santo e che tutto, in esse, tende a Cristo (cf. 2 Tm 3, 16; 2 Pt 1, 21; Rm 10, 4), non possiamo non riconoscere la profonda continuità tra i due Testamenti nonché la piena legittimità dell’ermeneutica praticata dai Padri, poi seguita dai teologi provati. Questo punto è di capitale importanza per la nostra fede: su di esso tutto sta o cade, come avevano ben compreso gli intellettuali ebrei che influenzarono in modo decisivo la stesura di alcuni documenti secondari del Vaticano II, successivamente considerati, benché a torto, fondamentali.
Particolarmente eloquente, a tal proposito, è l’interpretazione di un episodio della storia di Giacobbe. La benedizione che il figlio minore, istigato dalla madre Rebecca, estorce con l’inganno al padre Isacco, ormai cieco, al posto del primogenito Esaù si attaglia unicamente a Gesù Cristo: «Ti servano i popoli e ti adorino le tribù; sii il signore dei tuoi fratelli e si prostrino davanti a te i figli di tua madre» (Gen 27, 29). Perché si utilizza il plurale, visto che Giacobbe ha solo un gemello? I fratelli, evidentemente, sono quelli di Gesù, che sono tali non sul piano naturale, ma su quello soprannaturale: sono i membri di quella moltitudine che si è acquistata col proprio sangue e di cui è il primogenito (cf. At 20, 28; Ap 5, 9; 7, 9; Rm 8, 29); essi sono figli di sua madre, cioè di Colei che ha partorito Lui fisicamente e, mediante la propria partecipazione alla Redenzione, tutti i cristiani spiritualmente (cf. Gv 19, 25-27). Di quel testo, questo è l’unico senso accettabile, che non può essere ignorato; chi pretendesse invece di arrestarsi al senso letterale (eventualmente applicabile non certo a tutti i popoli, ma alla sola posterità di Esaù, ossia agli edomiti) dovrebbe coerentemente prostrarsi davanti ai discendenti di Giacobbe e adorarli… o forse già lo fa?
Qui la meditazione della divina Parola, nostro malgrado, ci riconduce a una questione cruciale: la rivendicazione del dominio mondiale da parte di coloro che, per non rinunciarvi, hanno rifiutato il Regno di Dio, tentando altresì di impedirvi l’accesso agli altri. «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché chiudete il Regno dei Cieli davanti agli uomini; voi, infatti, non siete entrati e non lasciate entrare quanti vogliono entrare» (Mt 23, 13). Quel popolo superbo – osserva san Gregorio Magno – non finalizzò l’insegnamento della Legge all’esercizio della carità, ma alla propria esaltazione (cf. Homiliae in Evangelia, 40, 2: PL 76, 1302); il dono ricevuto non fu per esso motivo di umile gratitudine e strumento di correzione, ma pretesto di arrogante rifiuto della Redenzione: «Siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno; come puoi dire: “Diventerete liberi?”» (Gv 8, 33). Ecco la radice della tragedia del popolo ebraico, angariato dalle sue stesse guide ed escluso dalla grazia per causa loro, che grazie alla primavera conciliare hanno esteso la propria nefasta influenza pure su noi cattolici togliendoci la chiave della conoscenza (cf. Lc 11, 52), ossia il metodo giusto per comprendere la verità rivelata.
Il panteismo immanentistico centrato sull’uomo che si è diffuso fra i cattolici in seguito al Vaticano II è proprio quello della cabala ebraica, che identifica l’universo con un presunto essere primordiale (l’Adam Kadmon) dietro il quale si nasconde Lucifero. Il dominio del mondo ha preso la forma di un impero del denaro capace di regolare, in maniera evidente od occulta, ogni aspetto della vita di popoli e individui. Per venire alla cronaca, a titolo di esempio, un ruolo centrale nell’instaurazione dell’attuale regime ucraino filoatlantico e nella feroce repressione del Donbass separatista (cioè nelle cause dell’intervento russo), spetta ad Igor Kolomoisky, magnate giudeo che, al contempo, controlla l’apparato mediatico del suo Paese, strumento della campagna d’odio contro Mosca, e finanzia le milizie neonaziste colpevoli delle atrocità di cui egli stesso, seguito dalle prostitute dell’informazione occidentale, incolpa gli invasori. Come vedete, la storia si ripete: in combutta con i correligionari d’Oltreoceano, quei signori decidono le sorti dell’Europa. Quel che è nuovo è che la Russia – così sembra – sta mandando in fumo i loro perversi progetti, già causa della sua rovina. Che sia una nemesi storica, un secolo più tardi?
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