venerdì 14 febbraio 2020

Attacco alla separazione dei poteri: come violentare la democrazia pur di far fuori l’avversario politico

Il triste finale di partita di Emma Bonino, Renzi e Zingaretti, a fronte della lezione di diritto e cultura liberale di Casini
Primato della politica. Quante volte sentiamo i nostri parlamentari e leader di partito riempirsi la bocca di questa espressione per rivendicare il ruolo preminente della politica, per esempio, nei confronti dei “poteri” economici e finanziari? Ebbene, ieri in Senato è andata in scena la resa della politica, l’abdicazione a favore della magistratura, come purtroppo già molte volte in questi ultimi trent’anni a partire da Mani Pulite (ce le ricorda Daniele Meloni oggi su Atlantico). Una deriva antidemocratica e, questa sì, populista, che nessun leader politico è riuscito a contenere: chi ci ha provato e ne è stato travolto e chi invece l’ha addirittura cavalcata secondo le convenienze del momento, con alterne fortune. Di sicuro, c’è stato dal 1992 ad oggi un progressivo trasferimento di potere dalla politica alla parte più militante, minoritaria ma consistente, della magistratura.
Il principio calpestato ieri dalla decisione del Senato di autorizzare il Tribunale dei ministri di Catania a procedere nei confronti di Matteo Salvini non è tanto il garantismo, ma la separazione dei poteri. Dopo l’abolizione dell’immunità parlamentare nel 1993, sotto la pressione mediatico-giudiziaria delle inchieste di Mani Pulite, un altro grave strappo all’equilibrio tra i poteri che non sarà facile ricucire. Un pericoloso precedente che incombe da oggi sui presidenti del consiglio e sui ministri, che potranno essere mandati a processo per i loro atti di governo da una maggioranza politicamente avversa. È l’apertura di un vero e proprio vaso di Pandora, la rottura di quell’equilibrio che distingue una competizione democratica, anche dura, da una guerra civile permanente.
In gioco, infatti, c’è molto più che il politico Salvini, il leader dell’opposizione di oggi. C’è la funzione di ministro, ci sono le prerogative di un governo nell’attuazione del programma sui cui ha ottenuto la fiducia del Parlamento, espressione della sovranità popolare. In gioco, insomma, c’è l’autonomia della politica. Se la magistratura si mette a perseguire i ministri per gli atti di governo, e il Parlamento lo permette, è evidente che potere esecutivo e legislativo sono subordinati a quello giudiziario.
La garanzia prevista dalla legge costituzionale n. 1 del 1989 che ieri la maggioranza dei senatori ha ritenuto di stracciare, per mera convenienza politica di far fuori per via giudiziaria o mettere sulla graticola l’avversario, è attribuita alla carica, non alla persona. Lo stesso Salvini ha commesso a nostro avviso un errore a non difenderla in linea di principio, per sé e perché arrivasse intatta ai suoi successori, pensando evidentemente di lucrare a sua volta un qualche vantaggio politico dal “farsi processare”, o dal mostrare all’opinione pubblica di non voler “sfuggire al processo”, di non temere il giudizio sul suo operato da ministro. Il vulnus si è consumato ieri con quel voto, a prescindere da come si concluderà il procedimento nei suoi confronti.
Da ministro dell’interno ha agito coerentemente con l’indirizzo politico del governo di cui faceva parte. Né il Consiglio dei ministri né il presidente del Consiglio, né altri ministri si sono dissociati in quei quattro giorni del presunto sequestro. Non solo non esiste nemmeno una parola di presa di distanza, ma ne esistono, al contrario, di condivisione di responsabilità. D’altra parte, se il presidente del Consiglio reputa inaccettabile e ingiustificabile l’atto politico o amministrativo di un ministro, ha il potere, ai sensi della legge n. 400 del 1988, di sospenderne l’adozione. Di più: se ravvisasse gli estremi di un reato, avrebbe il dovere di intervenire (“non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”, art. 40 del codice penale).
Una menzione in questa ennesima triste pagina della democrazia italiana la merita certamente Emma Bonino, che nel suo intervento al Senato, annunciando il suo voto a favore dell’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro dell’interno, ha rispolverato un grande classico del giustizialismo: il “si difenda nel processo, non dal processo”, una tra le battute preferite di Travaglio. Come se la garanzia che una legge costituzionale attribuisce ad una carica fosse un “privilegio” personale disponibile, una prescrizione cui si può rinunciare. Altro che senso dello Stato, una sgrammaticatura istituzionale non degna del passato radicale della senatrice di Più Europa.
Quello che non ha afferrato la senatrice Bonino, nel non rilevare “nessun interesse preminente, nessuna aggressione all’Italia e nessuno stato di necessità” che giustificasse la decisione di trattenere per quattro giorni i naufraghi a bordo della nave Gregoretti (già solo organizzare i trasferimenti l’avrebbe giustificata), l’ha afferrato invece il senatore Pierferdinando Casini. Il quale nel suo intervento ha ricordato come il Parlamento fosse chiamato a valutare solo se il comportamento dell’ex ministro Salvini sia stato “condizionato da ragioni politiche” che hanno un rilievo costituzionale, ai sensi dell’art. 9, comma 3, della legge costituzionale n. 1 del 1989, cioè se sia stato posto in essere per “la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”.
Casini non ha potuto far altro che constatare, pur non condividendole nel merito, quanto quelle azioni fossero “coerenti ed esecutive del programma del governo di cui allora faceva parte”, ricordando come la maggioranza parlamentare dell’epoca avesse “fatto di tale politica restrittiva dei flussi migratori uno dei punti centrali del contratto di governo e della fiducia che il Parlamento ha accordato all’esecutivo”. Insomma, Salvini non agì certo “in solitudine”, né in contrasto con l’indirizzo di governo.
Il fatto che la senatrice Bonino, così come il senatore Casini, non condivida quelle politiche, che abbia un’altra idea dell’immigrazione e un’altra concezione dell’interesse pubblico, non toglie che Salvini abbia agito coerentemente con le esigenze di “tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante” e con il “perseguimento di un preminente interesse pubblico”, naturalmente secondo l’interpretazione, condivisibile o meno, del governo e della maggioranza di cui faceva parte. Non rileva qui che secondo la Bonino non erano minacciati né i confini nazionali né la sicurezza e l’ordine pubblico, ma che lo fossero per Salvini e per il governo di cui faceva parte.
Questa è la ratio della norma e il senatore Casini l’ha colta in pieno:
“Nella valutazione del caso della nave Gregoretti non deve contare la nostra opinione politica, perché mandare a giudizio un ministro per il programma del governo di cui fa parte e, quindi, per gli atti che ne sono la immediata e diretta conseguenza, significa scadere nell’arbitrio e nella faziosità. La Costituzione ci chiede solo di valutare se gli atti del senatore Salvini sono frutto della valutazione che il suo governo ha fatto dell’interesse generale del Paese, non della nostra valutazione di tale interesse generale che è diametralmente opposta”.
Interesse pubblico, così come inteso dal governo dell’epoca, o interesse privato, beneficio personale diretto? Questo dovevano valutare i senatori, non se l’atto coincidesse o meno con la loro personale concezione di interesse pubblico.
Nel merito, poi, premesso che la Procura di Catania – la pubblica accusa – non ha ravvisato alcuna ipotesi di reato e ha chiesto l’archiviazione per l’ex ministro, non è chiaro chi sarebbero stati gli esecutori materiali del presunto sequestro e perché non siano stati individuati e perseguiti anche loro. Perché, nonostante sia avvenuto pubblicamente, sotto i riflettori, nessuna autorità giudiziaria e politica sia intervenuta per interromperlo. Si è trattato, in realtà, di una momentanea limitazione della libertà di circolazione, tra l’altro di persone che non avevano alcun titolo a sbarcare sul territorio italiano, dal momento che se è un dovere soccorrere i naufraghi in mare, non c’è alcun loro diritto a scegliersi la destinazione di approdo. E in tempi del tutto compatibili con l’esigenza di conciliare le loro necessità di assistenza e l’interesse pubblico a non scaricare unicamente sul nostro Paese il peso dei flussi migratori.
Si possono non condividere le modalità e ritenere che il nostro Paese debba accogliere chiunque si presenti ai nostri confini, senza eccezioni, e che ciò non presenti alcun rischio, ma è altrettanto legittima la posizione di chi pensa che sia nell’interesse pubblico contrastare e regolare il fenomeno migratorio, reprimere il traffico di esseri umani, e che lo fosse, in quella circostanza, rallentare di qualche giorno lo sbarco per organizzare la redistribuzione, che stava peraltro gestendo la Presidenza del Consiglio, e accertarsi che le persone a bordo non costituissero una minaccia per la pubblica salute e sicurezza (come tra l’altro sarebbe emerso successivamente). Fonte

10 commenti:

Da Fb ha detto...

È meglio se non dico niente. Tanto a cosa serve? Ho avuto la sventura di nascere in questo tempo di regime, e vivo nella paura. Come avviene in ogni regime hanno fatto leggi che impediscono ogni forma di dissenso e la criminalizzano, riservando invece ampi spazi alla loro follia.
Loro sono liberi di insultare la Lega, i leghisti e Salvini, dicendo (convinti di avere ragione) che la Lega è cattiva, xenofoba e razzista, e che fomenta l'odio. Ma ormai è chiaro a molti: chi semina odio sono loro, con la loro follia imposta con la forza del regime e l'arroganza della stupidità; stanno risvegliando l'odio, le precondizioni di una nuova guerra civile, e una nuova stagione del fascismo, che nasce per reazione esasperata ai tanti crimini e alle tante follie del nostro tempo.

Oggi il regime controlla ogni segmento dei media, da cui inonda con la sua propaganda martellante (in apparenza cattocomunista, in realtà massonica e a favore delle multinazionali e altri grossi player dell'economia) i cervellini lobotomizzati e in putrefazione di gente che da decenni ha smesso di pensare.
Il risultato, tra le mille altre follie del nostro tempo, è che Salvini rischia un processo per aver difeso la nostra terra dall'invasione, con i suoi enormi costi finanziari diretti per l'accoglienza e secondari per il welfare, con la criminalità e le malattie importate, mentre i luridi criminali che, per compiacere gli interessi dei poteri forti, ogni giorno favoriscono la deportazione dei migranti, continuano ad avere il controllo del paese, complice anche la stupidità degli elettori.

L'immigrazione clandestina è un reato, come pure il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Ma in un tempo di regime, si sa, la ratio delle regole viene distorta. Capisco che oggi il concetto stesso di regola e di legge sia molto difficile da capire, ma vi svelo un segreto: esse esistono ancora.

E questa è solo una minima parte delle cose gravissime che avvengono ormai quotidianamente nel nostro tempo devastato.
Nessuno ricorda più la storia. Nessuno ricorda più cosa significa vivere in un regime. Nessuno ricorda più quali conseguenze derivano dalla presenza di un regime terrorista, come qui. Nessuno ricorda più gli orrori della guerra, a cui il regime ci sta velocemente portando.

"Chi non impara dalla storia è condannato a riviverla", diceva Churchill. Temo che qui andrà ancora peggio.

Anonimo ha detto...

"Perfino la UE comincia a preoccuparsi della politica no-border del regime giallorosso.
Dopo le critiche incassate su Die Welt riguardo allo jus soli con cui il PD immagina di attribuire cittadinanza (e voto) ai genitori di minorenni immigrati, e criticato da Berlino perché come nuovi "cittadini comunitari" consentirebbe loro però di stabilirsi direttamente in Germania o in Francia, adesso arriva una indiretta censura di Frontex, la polizia di frontiera della UE. A Frontex risulta, e lo dice, che l'attivismo delle ONG sia un fattore rilevante nel sollecitare gli imbarchi dalla Libia: «La presenza di navi delle Ong può influenzare la dinamica del flusso». La critica, implicita, è chiaramente rivolta al nostro "governo-schifezza", che intanto ha di nuovo raddoppiato, rispetto agli standard europei cui era stato ricondotto, il compenso giornaliero alle coop (rosse, bianche, e mafiose) per ogni richiedente asilo da esse ospitato, riportandolo a 35 €/giorno. Intanto si sta facendo in modo, attraverso le ONG, di tornare al volume di sbarchi in Italia del periodo 2014-2016".
Post di Mikael Gambit

Anonimo ha detto...

Jacques Attali : une pandémie permettra d’instaurer un gouvernement mondial

https://www.youtube.com/watch?v=ffPPCN5NpkI&feature=youtu.be

Da Il Messaggero ha detto...

Oltre il voto su Salvini/I tre errori della politica che rinnega se stessa
Venerdì 14 Febbraio 2020
di Mario Ajello

Il primato della politica è un’espressione desueta. Ma l’autonomia della politica è uno dei traguardi della modernità che non merita di essere messo in discussione, figuriamoci di venire negato. Eppure il succo della vicenda Gregoretti in Senato è proprio questo. Ovvero la deriva pericolosa che s’imbocca quando si affida alla magistratura - e in pochi hanno il coraggio di contrastare il trend per paura della furia popolare e temendo i fulmini dell’ideologia codificata a sinistra dal tempo della cosiddetta Mani Pulite - la facoltà di sindacare un atto di governo compiuto da chi è stato delegato a fare proprio quello: le scelte strategiche di una nazione.

La politica non può giocare con la giustizia e la giustizia non può giocare con la politica: questo assunto andava rivendicato e praticato in aula. E invece, una serie di errori ha innescato la ritirata parlamentare dal principio secondo cui un ministro - di qualunque colore e di qualunque segno - può e deve esercitare il compito fondamentale della difesa dei confini del Paese, senza essere sottoposto al giudizio di legittimità e di correttezza delle procure. Se ha commesso errori o se le sue strategie si sono rivelate inefficaci, è giusto che ne risponda davanti agli elettori.
Il punto è che la politica che si fa espropriare, per debolezza o per interessi di bottega, tradisce la sua funzione.

E compie a sua volta un’espropriazione della volontà popolare, quella che dà il mandato politico e lo toglie in sede elettorale. Salvini prima con il «processatemi subito!» (al tempo del caso Diciotti) e poi con il «votate a favore per il processo Gregoretti» (in Giunta, il 20 gennaio, così da spianarsi la strada da vittima alla vittoria in Emilia Romagna che non c’è stata) ha cominciato populisticamente ad arretrare dalle sue prerogative di autonomia del politico. Per poi ora scoprire in ritardo, e in maniera contraddittoria, quanto invece siano cruciali. E lo sono talmente che ha buon gioco Casini nel dire: attenzione, non possiamo affidare il giudizio sull’azione di governo ai togati, perché sennò quello che oggi accade a Salvini un domani potrà accadere a Zingaretti o ad altri.

Da Il Messaggero ha detto...

...segue
Poco importa se poi sarebbe stato mandato a processo oppure no, quel che doveva importare a tutti compreso Salvini è che non si può svilire la funzione propria di un uomo di governo e insieme quella del Parlamento con un atto di resa democratica e giurisdizionale, nella speranza che politicamente convenga.

Così come il capo leghista, ma in maniera opposta e speculare alla sua, la maggioranza di governo gioca impropriamente con la giustizia a fini politici, ricorrendo ai pm per sbarazzarsi del nemico, riaprendo un vulnus a cui l’Italia purtroppo è abituata. Alla fine due populismi di colore diverso hanno originato un giustizialismo al quadrato.
Agli errori se ne aggiunge un altro. Quello del governo. La sua assenza in aula segna il trionfo, oltre che del pilatismo, della deresponsabilizzazione di una compagine e di un premier, ex e in carica, che sfugge alla domanda clou: cioè quella se se lui sapesse oppure no come si stava intervenendo con la nave Gregoretti. Se mai ci sarà il processo, del resto, che cosa risponderebbe il premier visto che non ha impedito al suo ministro di operare nel bene o nel male?

Alla radice di tutto, manca quella che dovrebbe essere un’ovvietà: in politica si può sbagliare, ma le strategie di contrasto all’immigrazione clandestina sono una competenza di esclusivo dominio dei governi. Come ha riconosciuto perfino la procura di Catania. La confusione delle funzioni priva la politica della sua ragion d’essere, ossia della libera possibilità di decidere dentro un perimetro di regole, e concede alla magistratura un ruolo improprio e totalizzante.

Così come - e lo insegna Dante nel De Monarchia, non a caso finito nell’Indice dei libri proibiti - l’autonomia del potere politico da quello spirituale è la quintessenza della laicità, lo stesso dovrebbe valere per l’autonomia del potere politico rispetto al potere giudiziario. Se ci fosse una società davvero liberale.

Maria Guarini ha detto...

https://www.affaritaliani.it/politica/lega-mai-via-dall-euro-salvini-ironizza-giorgetti-e-triste-e-non-fa-sesso-652627.html

Maria Guarini ha detto...

http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/salvini-a-processo-il-golpe-soft-e-la-giudiziarizzazione-della-politica/

Anonimo ha detto...

CHI È ELLY SCHLEIN, IL VOLTO DELLA “NUOVA SINISTRA”
( di Elena Sempione )

"È stata la più votata di tutta l’Emilia Romagna, con ben 22mila preferenze. Un vero plebiscito. Stiamo parlando di Elly Schlein, il volto della new left che ha abbandonato le fabbriche per sistemarsi comodamente in un loft nel centro storico. La Schlein, in effetti, ha tutto di questa sinistra urbana, liberal e post-operaia. Giovane, ecologista, femminista, immigrazionista, la Schlein ha tutte le carte in regola per rappresentare quel segmento di sinistra sempre più globalista e sempre meno nazional-popolare. Erede di Clinton, non certo di Gramsci.

Un profilo global
Ma chi è, quindi, la più votata delle Regionali? Elena Ethel Schlein, per gli amici «Elly», proviene da una famiglia di rango. Entrambi i genitori, infatti, possono vantare un alto blasone accademico: papà Melvin è un ebreo americano, mamma Maria Paola italiana. Elly nasce a Lugano nel 1985, dove rimarrà fino al conseguimento della maturità. Si trasferisce quindi a Bologna per studiare giurisprudenza presso l’Alma mater studiorum, ottenendo la laurea nel 2011. Appassionata di politica, la Schlein bazzica le sedi del Partito democratico, ma nel 2013 si unisce al coro degli scontenti per i governi delle «larghe intese». Di qui la sua l’adesione alla corrente di Pippo Civati, che la catapulterà nella direzione nazionale del Pd.

La carriera politica di Elly Schlein
Nel 2014 Elly Schlein si candida per la tornata delle Europee tra le file del Pd, ottenendo l’elezione. A Bruxelles viene quindi inserita nell’ambita lista degli amici di George Soros, il noto speculatore e fondatore della potente Open Society. In effetti, la Schlein condivide in toto l’agenda politica del magnate di origini ungheresi: immigrazionismo, ecologismo, femminismo, teoria gender e così via. Insomma, il pacchetto completo del diritto-umanismo.

Ad ogni modo, nel 2015 abbandona il Pd per confluire in Possibile, il nuovo soggetto politico fondato dal suo mentore Civati. Terminato il mandato a Bruxelles, Elly Schlein rinuncia a una ricandidatura per puntare tutte le sue fiche sulle Regionali, a cui si presenta nella lista civica Emilia Romagna coraggiosa, sostenuta da Articolo uno, Sinistra italiana e altre associazioni consimili. Il resto è cronaca: 22mila preferenze ed entrata trionfale nel Consiglio regionale. Se gioca bene le sue carte, di sicuro ne sentiremo riparlare".

Elena Sempione su Il Primato nazionale

Anonimo ha detto...

"Un paio di osservazioni veloci sul coming out di Elly Schlein.
( di Filippo Nesi )

No, non è affatto irrilevante, invece.
Chi scrive "esticazzi", temo non abbia colto il vero nodo della questione.

Ovvio che non ci frega nulla della sua vita privata e sentimentale e che qualunque individuo è libero di fare ciò che vuole. Il punto non è questo.

Il punto è che il coming out ha oggi un preciso valore culturale e politico, ma soprattutto sociale. Equivale a una dichiarazione di appartenenza a una categoria di individui differenziata rispetto alla massa e ontologicamente superiore, quindi naturalmente destinata a governare.

È come uno status symbol. È un messaggio preciso e diretto ai poteri forti perennemente in ascolto e perennemente alla ricerca di nuovi divulgatori per la "catechesi arcobalenica" (cit.).

Credetemi: se lei per prima non lo ritenesse rilevante, avrebbe certamente fatto a meno di rivelarci questo dettaglio, di per sé insignificante. Non è il segno in sé ad avere rilevanza, infatti, ma ciò a cui esso rimanda. Non è il dato fattuale che deve interessarci, ma ciò a cui si vuol alludere con esso nel momento stesso in cui lo si rende palese.

Quella in atto è una "guerra civile globale" tra chi sta sotto e chi sta sopra, dove chi sta sopra cerca di autolegittimarsi moralmente ed epistemologicamente. Nella scala di valori del pensiero unico progressista differenziarsi dall'eterosessualità è ormai diventato un modo per certificare la propria superiorità etica e culturale.

Voi pensate davvero che la sfilata di trasgressioni a cui avete assistito a Sanremo avesse come finalità ultima quella di scandalizzarvi?

Vi assicuro che l'ultima cosa di cui gli interessa è il vostro giudizio. No, anche in quel caso si bussa a determinate porte esibendo un tesserino. Serve un riconoscimento, altrimenti si resta fuori".

Filippo Nesi

Anonimo ha detto...

Giuseppe Palma:
Per far saltare Conte, inutile fare i duri e puri, serve un governo istituzionale per qualche mese che faccia poche cose concordate, alcune necessarie dopo il nefasto TaglioDeiParlamentari.
Ecco l'analisi a firma mia e di Becchi su Libero di oggi
https://scenarieconomici.it/per-far-saltare-conte-serve-un-governo-istituzionale-per-qualche-mese-poi-tutti-al-voto-di-p-becchi-e-g-palma-su-libero/