giovedì 13 febbraio 2020

La minaccia sbarca dall'Africa Colonia cinese senza controlli

Dall'Asia inviati un milione di lavoratori nei cantieri A Pechino studiano 80mila africani. Rischi dai migranti
Altro che turisti e ristoranti cinesi. La vera minaccia per noi italiani si chiama Africa. Anche perché a traghettare il coronavirus 2019-nCoV potrebbero essere quelle navi delle Ong, cariche di migranti, a cui il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese garantisce solleciti approdi nei nostri porti. La minaccia è evidente. Negli ultimi dieci anni il Continente Nero è diventato un'immensa colonia cinese grazie ai 270 miliardi di dollari con cui Pechino ha foraggiato la costruzione di porti, strade, dighe e ferrovie. Stando al Parlamento Europeo la Cina ha finanziato il 18,9% delle grandi opere sorte in Africa tra il 2010 e il 2018 e ne ha realizzato il 33,2 per cento. In cambio di questa presenza capillare si è garantita lo sfruttamento delle risorse naturali di molte nazioni africani. Ma la vera peculiarità di questo neo-colonialismo predatorio è la pretesa di realizzare i progetti con forza lavoro cinese trasferita sul posto assieme ad attrezzature e strumenti di lavoro.

Così oggi i cinesi presenti nei cantieri ai quattro angoli del Continente Nero superano il milione. Ma per esercitare un controllo politico e culturale sui paesi africani Pechino distribuisce anche borse di studio. Oggi gli 80mila studenti africani presenti nelle Università cinesi, rappresentano la più consistente comunità straniera. E almeno 4.600 risiedono a Wuhan epicentro del contagio. La caratteristica di studenti e lavoratori è, però, quella di viaggiare di frequente contribuendo alla potenziale diffusione di un coronavirus che in Africa troverebbe ben poche barriere preventive. «Non sappiamo il danno che il virus potrebbe provocare diffondendosi in un paese con un sistema sanitario inadeguato» ammette, pensando all'Africa, il direttore generale dell'Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) Tedros Adhanom Ghebreyesus. E l'epidemiologo Ifeanyi Nsofor, direttore del sistema sanitario in Nigeria, denuncia il primo caso in Costa d'Avorio spiegando che «non esiste in Africa un solo Paese pronto a individuare, prevenire e rispondere a un'epidemia». Stando al sito Prevent Epidemics (Prevenire Epidemie), realizzato con i dati Oms, le nazioni africane più attrezzate in campo sanitario come Kenya, Sud Africa e Sierra Leone hanno una capacità preventiva pari a 50/60 punti su cento mentre un adeguato contrasto del virus richiede capacità pari ad almeno 80 punti. E a moltiplicare le preoccupazioni s'aggiunge la mancanza di controlli su molti confini terrestri toccati dalle rotte migratorie. 

Particolarmente inquietante per l'Italia è la lista dei 13 Paesi africani (Algeria, Angola, Costa d'Avorio, Congo, Etiopia, Ghana, Kenya, Mauritius, Nigeria, Sud Africa, Tanzania, Uganda and Zambia) più minacciati dal contagio secondo la stessa Oms. Stando ai dati del Viminale in testa agli arrivi dal 1° gennaio ad oggi vi sono, infatti, i migranti di Algeria e Costa d'Avorio. Mentre restano assai frequenti anche gli arrivi da Ghana e Nigeria. Come sottolinea Michel Yao, responsabile delle emergenze sanitarie in Africa dell'Oms, il nuovo virus «potrebbe sopraffare i sistemi sanitari entro i prossimi giorni, forniremo ad almeno 20 Paesi africani il reagente necessario per testare i campioni per il virus». Ma ad innalzare l'allarme s'aggiunge il timore che la popolazione diserti i centri medici affidandosi, come capita in Africa, a guaritori e rimedi tradizionali. Nelle isole di Capo Verde la popolazione sta già facendo incetta di finocchio considerato, secondo voci circolate nelle ultime settimane, il miglior rimedio contro il coronavirus.
Guan Micalessin - Fonte

3 commenti:

Maria Guarini ha detto...

Allora forse il problema è reale, non è una percezione dei razzisti e sovranisti!

"Coronavirus, i giudici di pace: "Nelle udienze per le espulsioni i migranti possono contagiarci"

di Alberto Giorgi 6 Febbraio 2020 - 10:39

I rappresentanti sindacali delle toghe chiedono protezione: mascherine per non rischiare alcun contagio. E non è solo questione di coronavirus

La psicosi da coronavirus è arrivata anche nei tribunali italiani, dove i giudici di pace ora battono i pugni sui banchi per chiedere protezioni così da evitare qualsiasi contagio, anche da altre malattie come il vaiolo, la tubercolosi, il colera, l'ebola, oltre che dal pericoloso "virus cinese".

"Rischiamo di ammalarci nelle udienze di convalida delle espulsioni dei migranti", protestano le toghe, tramite le proprie rappresentanze sindacali. Con una nota, infatti, l'Associazione nazionale giudici di pace tira per la giacchetta il ministero della Salute, quello della Giustizia e l'intero governo: "La pericolosità di un contagio può essere ancor più tangibile durante le udienze celebrate dai giudici di pace relative alla convalida delle espulsioni di migranti clandestini, che si tengono nei Centri di permanenza e rimpatrio, ovvero nei confronti di coloro che hanno violato l'ordine di allontanamento dal territorio dello Stato od anche per i reati di clandestinità"."

Anonimo ha detto...

Coronavirus, l'Africa lancia l'allarme, non ci sono test
Scambi intensi con la Cina. Ci sono casi sospetti

http://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2020/02/03/coronavirus-lafrica-lancia-lallarme-non-ci-sono-test-_5a449800-6215-4703-8bf9-aeace87d7358.html

Da Il Giornale ha detto...

Cambia la classificazione, spuntano migliaia di malati in più. Pechino silura i responsabili

L'assedio di Covid-19 alla Cina non allenta la morsa. I morti sono saliti a 1.370 e il numero dei contagi cresce, 15mila in una sola notte, per un totale di oltre 60mila concentrati in Cina. La pessima gestione dell'emergenza provoca la caduta dei vertici del Partito Comunista Cinese, sia quelli della provincia di Hubei sia quelli del centro dell'epidemia, la città di Wuhan.

Va precisato però che il balzo nel conteggio dei contagi è conseguente alla decisione delle autorità sanitarie cinesi di cambiare il sistema di classificazione dei nuovi casi nell'area più colpita, l'Hubei, questa volta probabilmente dietro indicazione dell'Organizzazione mondiale della sanità. Molti esperti infatti avevano criticato che, qualche giorno fa, Pechino avesse deciso di circoscrivere il numero dei nuovi contagi soltanto ai pazienti con sintomi evidenti, febbre e tosse, escludendo quelli positivi al test ma asintomatici. Un criterio che aveva di fatto rallentato la crescita della curva delle infezioni. Ma il calo appunto in realtà era dovuto ad una sorta di escamotage ed ecco perché, variando di nuovo il sistema dai circa 45mila casi di mercoledi sera la National Health Commission del governo cinese è passata a segnalarne oltre 60mila ieri mattina. Boom che si spiega con la decisione delle autorità cinesi di inserire tra i casi confermati della provincia di Hubei anche quelli riferiti a pazienti con diagnosi clinica di Covid- 19 ma non ancora sottoposti al test, in particolare coloro che presentano le lesioni interstiziali tipiche della polmonite. Un decisione, assicurano i sanitari, finalizzata ad una «diagnosi precoce» che possa «garantire a tutti i pazienti nella provincia di Hubei » cure immediate.