Guardate la ragazza di questo video sola, fiera, bellissima (immagine ricavata dal fermo-immagine). E se amate un minimo quel privilegio quotidiano che si chiama libertà, chinate il capo. Questa ragazza, come molti suoi coetanei in queste ore, ha scelto di ribellarsi al totalitarismo teocratico e assassino degli ayatollah che da decenni imprigiona il suo Paese carico di storia, l’Iran. E lo fa nella forma più estrema, sia come gesto che come significato: strappando le pagine del Corano, e gettandole nel fuoco. “Non vogliamo la Repubblica Islamica!”, stanno urlando i coraggiosissimi giovani iraniani nelle piazze, mentre gli sgherri del regime sparano, e i morti sono già più di 100. E lei, coraggiosa tra i coraggiosi, va alla radice dell’oppressione che sta annichilendo, culturalmente e fisicamente, una generazione: quel testo sacro che intima “Circondateli e metteteli a morte ovunque li troviate, uccideteli ogni dove li troviate, cercate i nemici dell’Islam senza sosta” (Sura 4:90).
La staranno già cercando, ora, per ammazzarla, le belve islamiste, e speriamo davvero che sia fuggita all’estero prima di condividere questo video, in cui a volto orgogliosamente scoperto sfida la tirannia. Lei, e quelli come lei, quelli che si riversano in strada insultando l’ayatollah Khamenei e quell’infernale macchina sterminatrice politico-religiosa che li opprime, stanno rischiando tutto. Mi gioco la vita, pur di non lasciare loro in mano la mia libertà. Sono questi, i ragazzi e le ragazze che dovrebbero prendersi le prime pagine oggi, a maggior ragione quelle dei giornali occidentali, dei nostri giornali, i giornali di quel mondo libero nel cui nome loro stanno conducendo la battaglia impari, la ragione contro le pallottole.
La staranno già cercando, ora, per ammazzarla, le belve islamiste, e speriamo davvero che sia fuggita all’estero prima di condividere questo video, in cui a volto orgogliosamente scoperto sfida la tirannia. Lei, e quelli come lei, quelli che si riversano in strada insultando l’ayatollah Khamenei e quell’infernale macchina sterminatrice politico-religiosa che li opprime, stanno rischiando tutto. Mi gioco la vita, pur di non lasciare loro in mano la mia libertà. Sono questi, i ragazzi e le ragazze che dovrebbero prendersi le prime pagine oggi, a maggior ragione quelle dei giornali occidentali, dei nostri giornali, i giornali di quel mondo libero nel cui nome loro stanno conducendo la battaglia impari, la ragione contro le pallottole.
Invece, i quotidiani nostrani impiegano chili di carta nell’adorazione di queste cosiddette Sardine. Studenti e neolavoratori in preda al complesso non risolto da Erasmus, che manifestano in una democrazia contro l’opposizione, contro la sua stessa esistenza. Il ritratto della vacuità, nessuna proposta o nessun valore, anche basico, che non sia quello della Resistenza fuori tempo massimo contro l’ennesimo Duce immaginario (Salvini, prima era Berlusconi, prima ancora Craxi…). Giovanni Sallusti - Fonte
4 commenti:
L’ASSOLUTA NULLITÀ CULTURALE DELLE SARDINE E DI MATTIA SANTORI
La piazza delle sardine è la perfetta metafora dei tempi in cui viviamo. Migliaia di persone che scendono in piazza contro un avversario (o nemico per molti di loro) senza avanzare proposte o idee per risolvere i problemi o migliorare la società in cui vivono. Si può protestare e al tempo stesso essere propositivi, offrire un’alternativa, delle risposte, ma le sardine rappresentano l’incapacità di avere una visione ormai troppo diffusa in questo paese.
A ciò si aggiunga il cortocircuito alla base delle manifestazioni: in Emilia Romagna governa il centrosinistra dal dopoguerra, non la Lega e il centrodestra che rappresentano invece un’alternativa a un sistema di potere stratificato.
Le sardine non avranno futuro e scompariranno con la stessa velocità con cui sono nate perché culturalmente nulle, figlie dell’odiernità, dell’improvvisazione, dell’incapacità di costruire progetti.
L’impreparazione culturale del loro leader Mattia Santori, ragazzo all’apparenza simpatico, ma privo di contenuti, ne è la dimostrazione. Interrogato in una trasmissione televisiva se ci fossero punti in comune tra le sardine e i girotondi che protestavano contro Berlusconi, ha candidadamente risposto: “non so, fino a pochi giorni fa discutevo di chi doveva fare le pulizie a casa”. Come dire: che ne so della storia italiana, la mia occupazione era occuparmi dei problemi quotidiani (magari con qualche compagno fuori corso) e non avevo certo tempo di studiare quello che succedeva nel nostro paese.
Ma Mattia Santori è il leader giusto per la protesta, rappresenta lo stereotipo di un certo tipo di studente che affolla la gloriosa Alma Mater Studiorum di Bologna, in particolare nelle facoltà umanistiche. Per come si veste, come parla, per la banalità dei suoi slogan tipici del semi-colto di sinistra che ha sul comodino l’ultimo libro di Baricco, Coelho per i più mainstream, un Einaudi Stile Libero per i più ricercati.
C’era un tempo in cui la nostra terra dava i natali a geni come Ariosto, Marconi, Pascoli, Longanesi, Ferrari, oggi dobbiamo accontentarci della nullità delle sardine. Ma non disperiamoci, sic transit gloria mundi.
Domenico Napolitano
https://loccidentale.it/lodio-di-chi-condanna-lodio/
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Il fatto che questa contrapposizione costantemente “ad personam” non sia molto propositiva non deve scandalizzarci più di tanto, dal momento che molte scelte politiche nascono in opposizione a qualcosa o qualcuno piuttosto che per qualcosa. Certo, può essere un problema per l’articolazione di una sana competizione politica basata su contenuti, che tutti preferiremmo, e soprattutto per chi a sinistra vede il suo campo scivolare costantemente nella contrapposizione liturgica e nell’immaturità democratica, come ha scritto severamente Luca Ricolfi: “La piazza spontanea di Bologna mi pare la cartina di tornasole di quel che è diventata la sinistra in Italia: un mondo in sonno, che si risveglia soltanto quando qualcuno agita lo spettro del fascismo, del razzismo, dell’antisemitismo. Per chi, come me, pensa che una vera sinistra avrebbe ancora qualcosa da dire e da proporre (ad esempio in materia di occupazione), è molto demoralizzante constatare che il mondo progressista non sia più capace di manifestare per qualcosa, ma solo per impedire ad altri di farlo. Un chiaro segnale di immaturità democratica”.
C’è invece un’osservazione che ci riguarda tutti e che, senza enfatizzare troppo, ci tocca però come tenuta complessiva della civiltà: il linguaggio che diventa sempre più contrapposto, con la carica di odio che da decenni è stata inoculata nel tessuto civile del paese, l’attitudine comunicativa e mentale per cui l’avversario è indegno di essere considerato come persona e può essere solo annichilito nel disprezzo e talora nell’auspicio di morte, è quello di cui abbiamo bisogno per crescere e per durare come comunità nazionale?
Biagio Buonomo:
LE SARDINE 2 – LA CONFERMA E LA DIFFERENZA
Qualche imbecille ha commentato il mio pezzo sulle “Sardine” affermando che ho impropriamente accostato questo movimento “apolitico” al comunismo.
Bene: ho appena letto il Manifesto Sardinesco, da cui traggo la frase che ne costituisce il cuore:
“Cari populisti (…)
grazie ai nostri padri e nonni avete il diritto di parola, ma non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare.”
Questo è comunismo vero, sfacciato e spudorato.
Il diritto di parola l’Italia lo ha guadagnato grazie agli anglo-americani che sono venuti a morire nella nostra terra; e grazie a quei POCHI partigiani cattolici e liberali che – a differenza di quelli comunisti - non volevano trasformare il nostro paese da un satellite della Germania in un satellite dell’Unione Sovietica.
Quanto al diritto di ascoltare e di essere ascoltati, si chiama libertà. Si chiama democrazia. Che è incompatibile sia con il fascismo sia con il comunismo.
Ma c’è una differenza. Se un qualche cretino – chessò - di Forza Nuova avesse scritto una frase del genere, sarebbe finito sotto il fuoco incrociato di tutta la stampa di regime e della magistratura. Ma giacché la frase è di conio comunista, diventa un inno alla libertà che già risuona, applaudito dal colto e dall'inclito, lungo questo povero, vecchio Stivale senza più anima.
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