"Il problema, caro Vespa, non è il fascismo che non torma. Il problema sono gli italiani che non cambiano."Caro Vespa,
ho letto con piacere il suo libro, che farà un gran bene a quei moltissimi asini italioti che credono che Mussolini salì al potere con la violenza e alla testa di chissà quali armati manipoli.
Invece il futuro duce – che in parlamento contava solo su 35 deputati, affiancati da 10 nazionalisti – quando chiese la fiducia, fu plebiscitato con 306 voti favorevoli su 508 parlamentari. Votarono per il governo che aveva formato l’intera galassia liberale, i popolari e qualche repubblicano. In senato fu un trionfo: 196 voti favorevoli e 19 contrari.
Sarebbe stato però interessante rammentare anche come il fascismo cadde, dottor Vespa. Ed evocare la singolare notte del Gran Consiglio – il 25 luglio del ’43 – durante la quale gli stessi leader fascisti, nell’imminenza della sconfitta militare, misero in minoranza il loro duce e chiesero a quella volpe di Vittorio Emanuele – “ai sensi dall’articolo V dello Statuto” – di defenestrare Mussolini.
Strana vicenda quella di una dittatura che si impose con un libero voto di fiducia e che si suicidò con un voto di sfiducia richiesto dai suoi stessi leader. Solo – beninteso – quando la guerra era perduta. Prima no. Il Mussolini vincente andava bene a tutti. Non solo a Grandi, Ciano, Bottai e compagnia nera. Andava bene agli italiani che - fatte salve luminose eccezioni – erano tutti fascisti, parafascisti o simpatizzanti del regime.
Perché vede, Vespa, il problema non è il fascismo che non torna. Il problema sono gli italiani che restano e non cambiano. Gli italiani anarchici ma pronti ad applaudire il padrone di turno; gli italiani eterni campioni olimpici – medaglie d’oro, d’argento e di bronzo – di salto sul carro del vincitore. E di salto dal carro dello sconfitto. Come dimostrò la faccenda della resistenza. I partigiani veri, coraggiosi e onesti non furono mai più di trentamila fino a tutto il 1944. Diventarono, con tanto di brevetto, trecentocinquantottomila nell’aprile e nel maggio del ’45. A cose fatte e a duce morto.
Sono gli stessi italiani che oggi acconsentono gli si dica senza vergogna in faccia: “Non vi facciamo votare perché altrimenti perderemmo le elezioni”. E agli italiani va bene. Di destra o sinistra che siano.
I destri non reagiscono limitandosi a sterili incazzature. I sinistri - povere animule – neppure capiscono che un gesto del genere – impedire la libera espressione della volontà popolare per paura di perdere il potere - è davvero fascista. Ma di un fascismo da quattro soldi. Un fascismo con le facce di Zingaretti, Renzi, Di Maio e del Conte della Pochette. Il fascismo che ci meritiamo. Farsesco, ciaccione e - naturalmente – antifascista. (Biagio Buonomo)
Nessun commento:
Posta un commento