Non bastava l’odioso green pass, nello stesso decreto abbiamo la proroga della proroga della proroga dello stato di emergenza (art. 1 del decreto-legge del 23 luglio 2021, n. 105). Giusto protestare per il lasciapassare sanitario, come sta avvenendo in diverse città d’Italia, però sta passando in sordina la proroga dello stato di emergenza al 31 dicembre 2021.
Ma di quale emergenza stiamo parlando? Il 31 gennaio 2020 lo stato di emergenza fu dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri sulla base dello spauracchio delle notizie che provenivano dalla Cina, ma il governo, all’epoca giallo-rosso, garantiva serenità: “abbraccia un cinese!”. Poi il virus è arrivato e tutto il Paese è stato segregato in lockdown per circa due mesi, causa le insufficienti terapie intensive a disposizione. A luglio Conte e Speranza si dichiararono vincitori e commisero l’errore di realizzare appena 1.200 terapie in più rispetto alle 5.400 iniziali. Il virus sembrava scomparso ma il governo prorogò ugualmente lo stato di emergenza fino al 15 ottobre.
Poi arrivò la seconda ondata e nacquero le zone (rosse, arancioni, gialle e bianche), con le terapie intensive nuovamente sotto stress. Si perché per quella vera emergenza di posti letto in terapia intensiva si fece ben poco. Il primo spavento non era servito a nulla, tanto è vero che di proroga in proroga sono ormai diciotto mesi che siamo in stato di emergenza permanente, con l’ultima proroga ora prevista fino al 31 dicembre 2021. Con Draghi la musica non è cambiata, tranne il fatto che il numero di terapie intensive è ulteriormente aumentato di circa mille posti letto. Insediatosi a Palazzo Chigi a metà febbraio, quella dell’attuale governo è già la seconda proroga in appena cinque mesi. La scusa è la variante Delta del virus, più contagiosa rispetto al ceppo originario. Ma quali sono i dati che giustificherebbero una ulteriore proroga dello stato emergenziale?
Ieri il tasso di positività (percentuale tamponi effettuati-contagi) era all’1,99%, dato lontanissimo dalla forbice 12-19% di novembre scorso, le terapie intensive occupate 172 su 7.781 posti disponibili (il 2,2%) e 5 decessi. Lo stato di emergenza è regolato dal D.Lgs. n. 1/2018, che all’art. 7, primo comma, lettera c) prevede che esso possa essere dichiarato o prorogato solo per “emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo…”. Dov’è oggi l’intensità che giustifichi l’immediatezza di intervento con mezzi straordinari? 5 morti, col 2,2% di terapie intensive occupate, questa sarebbe l’intensità? Non muoiono tutti i giorni più anziani per via del caldo estivo? E soprattutto, dove sono i “limitati e predefiniti periodi di tempo” visto che siamo già alla quinta proroga in un anno?
La variante, c’è la variante! Il governo con questa scusa ha introdotto il green pass obbligatorio per convincere i refrattari, a vaccinarsi. Siamo del tutto contrari, ma non bastava già questo? Ci voleva anche lo stato di emergenza? Continuare ad impiegare mezzi e poteri straordinari in deroga allo stato di diritto, per fare cosa? Per consentire all’esercito di entrare finalmente in casa della gente col manganello – Ops! Pardon! – con la siringa? (Paolo Becchi, Giuseppe Palma - Fonte)
1 commento:
Diego Fusaro
I drammi del capitalismo globale spiegati con un esempio
Immaginiamo una comunità collocata nei pressi di un lago pescoso. Essa si autoregola, in modo da non pescare più pesce rispetto a quello che si rigenera. In tal modo, la comunità può garantirsi una forma di alimentazione stabile e sicura.
Immaginiamo che il lago venga ora privatizzato e passi sotto il controllo di un gruppo di “investitori stranieri”: per il tramite della privatizzazione e della liberalizzazione (e anche in virtù del disinteresse verso le sorti di una comunità e di un ambiente che non sono i propri), gli investitori esteri scatenano la competizione per la cattura e la vendita del pesce (di quanto più pesce è possibile), depredano il territorio e, infine, lo distruggono, privandolo il lago dei pesci e delle specificità che garantivano in precedenza l’equilibrio della comunità con se stessa e con l’ambiente. È questa, in effetti, la tendenza fondamentale del capitalismo, in ciò simile al cancro: esso depreda e annienta il territorio che lo ospita, per poi spostarsi verso nuove aree a cui riservare il medesimo trattamento.
Posta un commento