Sul tema dell’”obbligo vaccinale de facto” il governo sta procedendo ormai come un rullo compressore, con un crescendo di provvedimenti restrittivi sempre più vessatori nei confronti di chi non aderisce alla campagna.
Quel Green Pass che inizialmente era stato concepito essenzialmente come uno strumento di semplificazione – ad esempio finalizzato a consentire di accelerare il ritorno alla normalità dei viaggi internazionali eliminando la necessità dei tamponi – si è trasformato, nelle mani dell’attuale esecutivo, nello strumento per implementare politiche “regressive” nei confronti dei non vaccinati che assomigliano sempre di più ad una condizione di “morte civile”.
Eppure di fronte ad una questione che tocca corde così delicate, dovrebbe essere d’obbligo, da parte di chi governa, un atteggiamento di maggiore comprensione della legittimità e del diritto di cittadinanza delle posizioni minoritarie.
Finora, quando nel Paese ci si è trovati in presenza di divisioni ideologiche e valoriali estremamente forti, quasi mai la politica ha scelto una strategia improntata solamente al conflitto. Quasi sempre si è optato nei fatti per assetti e soluzioni che, pur nel rispetto del governo della maggioranza, garantissero attraverso opportuni compromessi il rispetto delle minoranze. La questione fondamentale è che la convivenza democratica non può solamente basarsi sull’imposizione brutale del criterio maggioritario; occorre anche curare il mantenimento di alcune basi condivise nelle quali a tutti sia permesso di riconoscersi.
Di fronte ai grandi conflitti del passato, si è scelto di non umiliare i comunisti, pur minoranza per ampi versi “pericolosa”, e si è preferito dar loro modo, pur dall’opposizione, di vedere riconosciuto un diritto di cittadinanza nel dibattito politico. Al momento delle grandi trasformazioni laiche del Paese, con il divorzio e con l’aborto, si è scelto comunque di non umiliare i cattolici e di trovare con loro un terreno di condivisione – la stessa formulazione della legge sull’aborto fu ispirata a saggi compromessi culturali e lessicali.
E un simile atteggiamento di moderazione politica ha ispirato tante altre scelte che andavano a toccare questioni particolarmente sensibili, dall’ambiente ai temi della famiglia, dell’orientamento sessuale e delle identità linguistiche.
Per molti versi, invece, si sta sottovalutando la valenza dello scontro ideologico, culturale e valoriale in atto sui vaccini e il suo impatto potenzialmente di lungo termine sulla convivenza comunitaria.
Quello che in questa fase troppo spesso si dimentica è che il vaccino viene già sostenuto da tempo in tante forme, che vanno dalla gratuità – finanziata da tutti, anche dalle tasse pagate dai cittadini no-vax – a campagne informative pressanti e capillari attraverso tutti i mezzi di comunicazione mainstream.
Ed in effetti i risultati sono straordinari, con un 74 per cento di italiani già vaccinati almeno con una dose e la ragionevole prospettiva di salire a breve almeno all’80. Si tratta di un trend che solo marginalmente è stato incrementato dai recenti obblighi e che è dovuto in larghissima parte alle scelte di adesione spontanea che sono state compiute in questi mesi dagli italiani.
Contando, poi, chi è immunizzato “naturalmente” avendo contratto l’infezione, la percentuale di persone con anticorpi è probabilmente ancora più ampia.
È bene sottolineare, peraltro, come i numeri delle vaccinazioni in Italia siano in linea con quelli degli altri Paesi dell’Europa occidentale e, di conseguenza, tra i più alti del mondo. La maggior parte dei Paesi europei ritiene questi dati sufficienti per una riapertura completa senza pass sanitari – a dimostrazione che tutto si può dire meno che il Green Pass rappresenti una scelta inevitabile e in qualche modo “automatica” nell’attuale scenario.
La politica italiana, invece, ha scelto di mettere in atto una strategia di esclusivo conflitto nei confronti dei vaccino-scettici. L’obiettivo del Green Pass, più ancora di garantire una più ampia sicurezza dei locali al chiuso, appare ormai quello di “castigare” il cittadino non vaccinato.
C’è di più, è quello di colpirlo con una “punizione pubblica”, un “costo psichico”. Nei fatti, finché si parla di ristoranti o cinema la punizione è “nascosta”, perché chi non ci va non si vede; ma nel momento in cui, ad esempio, i lavoratori non vaccinati non possono più accedere alle mense aziendali e sono costretti a mangiare un panino in cortile – lontani dai colleghi con cui hanno lavorato insieme fino a pochi minuti prima e con cui hanno lavorato insieme nei molti mesi in cui nessuno era vaccinato – allora la punizione diviene, appunto, “gogna”.
E il governo continua a rilanciare, inasprendo di volta in volta le sue politiche nei confronti dei non vaccinati proprio nel momento in cui tanti Paesi con livelli di vaccinazione paragonabili al nostro scelgono invece di muoversi verso la fine dell’emergenza. Si arriva così, dal 15 ottobre, persino all’espulsione di coloro che non possiedono il Green Pass dai luoghi di lavoro – un provvedimento dalle dimensioni enormi che rischia di mettere tantissime persone intimamente convinte nella loro “obiezione alla vaccinazione” di fronte a problematiche scelte di coscienza.
Il governo italiano ha, senza mezzi termini, deciso di umiliare quella minoranza di cittadini che per qualsiasi ragione ha scelto di non vaccinarsi – condizioni personali di salute, valutazione personale del rapporto tra rischi e benefici, sfiducia nell’efficacia dei vaccini o, in molti casi, sfiducia nel processo complessivo di gestione della pandemia. Ha deciso, senza mezzi termini, di rendere una parte di cittadini dei “nemici del popolo”, dei “paria”, dei “deplorables”, degli esseri “antropologicamente inferiori” da additare al pubblico ludibrio. Ha scelto di insegnare alla maggioranza a temerli, a disprezzarli e a considerarli la sicura causa di qualsiasi cosa in futuro vada storto.
Nei confronti dei “vaccino-scettici” viene messo in atto, per molti versi, un vero e proprio processo di disumanizzazione che arriva ai sempre più frequenti articoli di giornale “compiaciuti” quando muore di Covid uno di loro.
Eppure questi “vaccino-scettici” sono cittadini italiani, parte del nostro tessuto economico e sociale, nostri amici e nostri colleghi. Si tratta di persone che hanno frequentato i percorsi di studi previsti dallo Stato italiano, proprio quelli che erano pensati per creare “cittadini consapevoli” – e che oggi usano la loro consapevolezza e i mezzi culturali che hanno sviluppato per arrivare a conclusioni diverse da quelle a cui siamo arrivati noi vaccinati, cioè la maggior parte della popolazione.
Uno dei grandi errori che si sta commettendo è quello di pensare che il benessere di un Paese si misuri solamente in termini sanitari. È stato già commesso pesantemente ai tempi del lockdown, quando si è ritenuto che gli obiettivi sanitari dovessero essere perseguiti come valore assoluto costasse quel che costasse dal punto di vista dell’economia.
E adesso lo stiamo commettendo forse in termini ancora più gravi ritenendo che gli obiettivi sanitari debbano essere perseguiti come valore assoluto costi quel che costi dal punto di vista della coesione nazionale – che in nome di un solo morto in meno o di una sola terapia intensiva in meno si possa passare sopra con un trattore alle opinioni, alla sensibilità e alle paure di una parte della popolazione.
Probabilmente non ci si rende del tutto conto del tipo di lacerazione che stiamo inducendo. Le conseguenze potrebbero essere pesantissime al punto che si potrebbe, forse per la prima volta, espellere totalmente un buon 10-15 per cento della popolazione dalla possibilità di riconoscersi, a prescindere dalle proprie idee, in un’idea condivisa di comunità. L’”umiliazione sociale” e la “violazione del corpo” rischiano di essere, per molte persone, ferite gravi che si porteranno dietro e che mineranno per sempre la loro fiducia nel dibattito pubblico e nelle istituzioni.
Si legge in questi giorni del timore di esiti violenti del dissenso no-vax, ma la sensazione è che si stiano valutando solo le conseguenze più visibili e di breve periodo dell’attuale stato di tensione. Il rischio è ben maggiore ed è quello che la decisione del governo di gestire la questione no-vax solamente buttando a più riprese benzina sul fuoco abbia pesanti conseguenze di lungo periodo in termini di escalation dei toni politici e di generale incattivimento del Paese.
Serve oggi disperatamente la capacità di recuperare quel poco di empatia che è necessaria per accettare e riconoscere l’altro, anche quando fa scelte che reputiamo “sbagliate” secondo le informazioni di cui disponiamo e il nostro modo di elaborarle.
Serve riconoscere che esistono, tra le persone, diverse valutazioni del pericolo – c’è chi teme il Covid più del vaccino e c’è chi teme il vaccino più del Covid. La convivenza tra queste “gerarchie della paura” può avvenire solamente attraverso il rispetto della libertà personale di autodeterminazione. My body, my choice.
Se si calpestano la libertà e la dignità di alcuni gruppi di persone, si può forse vincere la battaglia dell’”oggi”, ma il conto lo pagheremo tutto nell’Italia di domani. (Marco Faraci - Fonte)
Quel Green Pass che inizialmente era stato concepito essenzialmente come uno strumento di semplificazione – ad esempio finalizzato a consentire di accelerare il ritorno alla normalità dei viaggi internazionali eliminando la necessità dei tamponi – si è trasformato, nelle mani dell’attuale esecutivo, nello strumento per implementare politiche “regressive” nei confronti dei non vaccinati che assomigliano sempre di più ad una condizione di “morte civile”.
Eppure di fronte ad una questione che tocca corde così delicate, dovrebbe essere d’obbligo, da parte di chi governa, un atteggiamento di maggiore comprensione della legittimità e del diritto di cittadinanza delle posizioni minoritarie.
Finora, quando nel Paese ci si è trovati in presenza di divisioni ideologiche e valoriali estremamente forti, quasi mai la politica ha scelto una strategia improntata solamente al conflitto. Quasi sempre si è optato nei fatti per assetti e soluzioni che, pur nel rispetto del governo della maggioranza, garantissero attraverso opportuni compromessi il rispetto delle minoranze. La questione fondamentale è che la convivenza democratica non può solamente basarsi sull’imposizione brutale del criterio maggioritario; occorre anche curare il mantenimento di alcune basi condivise nelle quali a tutti sia permesso di riconoscersi.
Di fronte ai grandi conflitti del passato, si è scelto di non umiliare i comunisti, pur minoranza per ampi versi “pericolosa”, e si è preferito dar loro modo, pur dall’opposizione, di vedere riconosciuto un diritto di cittadinanza nel dibattito politico. Al momento delle grandi trasformazioni laiche del Paese, con il divorzio e con l’aborto, si è scelto comunque di non umiliare i cattolici e di trovare con loro un terreno di condivisione – la stessa formulazione della legge sull’aborto fu ispirata a saggi compromessi culturali e lessicali.
E un simile atteggiamento di moderazione politica ha ispirato tante altre scelte che andavano a toccare questioni particolarmente sensibili, dall’ambiente ai temi della famiglia, dell’orientamento sessuale e delle identità linguistiche.
Per molti versi, invece, si sta sottovalutando la valenza dello scontro ideologico, culturale e valoriale in atto sui vaccini e il suo impatto potenzialmente di lungo termine sulla convivenza comunitaria.
Quello che in questa fase troppo spesso si dimentica è che il vaccino viene già sostenuto da tempo in tante forme, che vanno dalla gratuità – finanziata da tutti, anche dalle tasse pagate dai cittadini no-vax – a campagne informative pressanti e capillari attraverso tutti i mezzi di comunicazione mainstream.
Ed in effetti i risultati sono straordinari, con un 74 per cento di italiani già vaccinati almeno con una dose e la ragionevole prospettiva di salire a breve almeno all’80. Si tratta di un trend che solo marginalmente è stato incrementato dai recenti obblighi e che è dovuto in larghissima parte alle scelte di adesione spontanea che sono state compiute in questi mesi dagli italiani.
Contando, poi, chi è immunizzato “naturalmente” avendo contratto l’infezione, la percentuale di persone con anticorpi è probabilmente ancora più ampia.
È bene sottolineare, peraltro, come i numeri delle vaccinazioni in Italia siano in linea con quelli degli altri Paesi dell’Europa occidentale e, di conseguenza, tra i più alti del mondo. La maggior parte dei Paesi europei ritiene questi dati sufficienti per una riapertura completa senza pass sanitari – a dimostrazione che tutto si può dire meno che il Green Pass rappresenti una scelta inevitabile e in qualche modo “automatica” nell’attuale scenario.
La politica italiana, invece, ha scelto di mettere in atto una strategia di esclusivo conflitto nei confronti dei vaccino-scettici. L’obiettivo del Green Pass, più ancora di garantire una più ampia sicurezza dei locali al chiuso, appare ormai quello di “castigare” il cittadino non vaccinato.
C’è di più, è quello di colpirlo con una “punizione pubblica”, un “costo psichico”. Nei fatti, finché si parla di ristoranti o cinema la punizione è “nascosta”, perché chi non ci va non si vede; ma nel momento in cui, ad esempio, i lavoratori non vaccinati non possono più accedere alle mense aziendali e sono costretti a mangiare un panino in cortile – lontani dai colleghi con cui hanno lavorato insieme fino a pochi minuti prima e con cui hanno lavorato insieme nei molti mesi in cui nessuno era vaccinato – allora la punizione diviene, appunto, “gogna”.
E il governo continua a rilanciare, inasprendo di volta in volta le sue politiche nei confronti dei non vaccinati proprio nel momento in cui tanti Paesi con livelli di vaccinazione paragonabili al nostro scelgono invece di muoversi verso la fine dell’emergenza. Si arriva così, dal 15 ottobre, persino all’espulsione di coloro che non possiedono il Green Pass dai luoghi di lavoro – un provvedimento dalle dimensioni enormi che rischia di mettere tantissime persone intimamente convinte nella loro “obiezione alla vaccinazione” di fronte a problematiche scelte di coscienza.
Il governo italiano ha, senza mezzi termini, deciso di umiliare quella minoranza di cittadini che per qualsiasi ragione ha scelto di non vaccinarsi – condizioni personali di salute, valutazione personale del rapporto tra rischi e benefici, sfiducia nell’efficacia dei vaccini o, in molti casi, sfiducia nel processo complessivo di gestione della pandemia. Ha deciso, senza mezzi termini, di rendere una parte di cittadini dei “nemici del popolo”, dei “paria”, dei “deplorables”, degli esseri “antropologicamente inferiori” da additare al pubblico ludibrio. Ha scelto di insegnare alla maggioranza a temerli, a disprezzarli e a considerarli la sicura causa di qualsiasi cosa in futuro vada storto.
Nei confronti dei “vaccino-scettici” viene messo in atto, per molti versi, un vero e proprio processo di disumanizzazione che arriva ai sempre più frequenti articoli di giornale “compiaciuti” quando muore di Covid uno di loro.
Eppure questi “vaccino-scettici” sono cittadini italiani, parte del nostro tessuto economico e sociale, nostri amici e nostri colleghi. Si tratta di persone che hanno frequentato i percorsi di studi previsti dallo Stato italiano, proprio quelli che erano pensati per creare “cittadini consapevoli” – e che oggi usano la loro consapevolezza e i mezzi culturali che hanno sviluppato per arrivare a conclusioni diverse da quelle a cui siamo arrivati noi vaccinati, cioè la maggior parte della popolazione.
Uno dei grandi errori che si sta commettendo è quello di pensare che il benessere di un Paese si misuri solamente in termini sanitari. È stato già commesso pesantemente ai tempi del lockdown, quando si è ritenuto che gli obiettivi sanitari dovessero essere perseguiti come valore assoluto costasse quel che costasse dal punto di vista dell’economia.
E adesso lo stiamo commettendo forse in termini ancora più gravi ritenendo che gli obiettivi sanitari debbano essere perseguiti come valore assoluto costi quel che costi dal punto di vista della coesione nazionale – che in nome di un solo morto in meno o di una sola terapia intensiva in meno si possa passare sopra con un trattore alle opinioni, alla sensibilità e alle paure di una parte della popolazione.
Probabilmente non ci si rende del tutto conto del tipo di lacerazione che stiamo inducendo. Le conseguenze potrebbero essere pesantissime al punto che si potrebbe, forse per la prima volta, espellere totalmente un buon 10-15 per cento della popolazione dalla possibilità di riconoscersi, a prescindere dalle proprie idee, in un’idea condivisa di comunità. L’”umiliazione sociale” e la “violazione del corpo” rischiano di essere, per molte persone, ferite gravi che si porteranno dietro e che mineranno per sempre la loro fiducia nel dibattito pubblico e nelle istituzioni.
Si legge in questi giorni del timore di esiti violenti del dissenso no-vax, ma la sensazione è che si stiano valutando solo le conseguenze più visibili e di breve periodo dell’attuale stato di tensione. Il rischio è ben maggiore ed è quello che la decisione del governo di gestire la questione no-vax solamente buttando a più riprese benzina sul fuoco abbia pesanti conseguenze di lungo periodo in termini di escalation dei toni politici e di generale incattivimento del Paese.
Serve oggi disperatamente la capacità di recuperare quel poco di empatia che è necessaria per accettare e riconoscere l’altro, anche quando fa scelte che reputiamo “sbagliate” secondo le informazioni di cui disponiamo e il nostro modo di elaborarle.
Serve riconoscere che esistono, tra le persone, diverse valutazioni del pericolo – c’è chi teme il Covid più del vaccino e c’è chi teme il vaccino più del Covid. La convivenza tra queste “gerarchie della paura” può avvenire solamente attraverso il rispetto della libertà personale di autodeterminazione. My body, my choice.
Se si calpestano la libertà e la dignità di alcuni gruppi di persone, si può forse vincere la battaglia dell’”oggi”, ma il conto lo pagheremo tutto nell’Italia di domani. (Marco Faraci - Fonte)
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