venerdì 31 dicembre 2010

Hypocritae

Dixerunt in corde suo cognatio eorum simul: Quiescere faciamus omnes dies festos Dei a terra

Il Salmo 73 - che suggerisco di leggere per intero - è chiarissimo, ed è di monito anche per noi. E per quanti vanno in sollucchero per quattro piume sul capo dello sciamano, per la Menorah del Giudeo, per il Ramadàn del Maomettano, per le trombe dei Tibetani, financo per le prolisse liturgie degli Eterodossi, ma che guardano con orrore e disprezzo la tiara del Papa, la magnificenza dei nostri Riti millenari, la perfetta sacralità del latino, lo strepitus del Venerdì Santo, le strofe di Noi vogliam Dio.

Un popolo che rinnega i padri, gli antenati, i Martiri, i Santi, la propria storia, le antiche radici che futuro può avere? E con che diritto, dopo aver osannato la blasfema laicità dello stato e indottrinato i politici cattolici a rinnegare la Regalità sociale di Cristo in nome della dignità umana e della libertà di religione, con che diritto pretende dai figli della vedova e dai loro accoliti di veder riconosciute le feste cristiane? Per folklore?

L'ipocrisia della chiesa riformata, che ha in odio il principio monarchico che la informa e si prostituisce all'idea pseudodemocratica della Massoneria, che freme di perverso piacere al solo nominare la solidarietà che è parodia infernale della Carità cristiana, si merita di veder cancellati omnes dies festos Dei. E' essa stessa che l'ha voluto, quando ha fatto di tutto per togliere dalle Nazioni cristiane le leggi che riconoscevano nel Cattolicesimo la Religione di Stato. Sono stati i suoi Pontefici a provocare le premesse di questi eventi odierni, quando hanno elogiato quel libera Chiesa in libero Stato che Pio IX aveva condannato nel Sillabo, quando hanno relegato in un'oscura cripta il Tabernacolo per accogliere nel tempio di Dio il pantheon ecumenico.

Se l'Europa si ricordasse del Natale, della Pasqua, dell'Ascensione e fin delle Tempora, a che servirebbe, se non per mascherare d'ipocrisia lo sfacelo postconciliare? Se le Nazioni devono essere laiche, dev'esserlo anche l'organismo che le riunisce. Se Cristo non ha il diritto di regnare sui singoli Stati, perché l'Unione Europea dovrebbe celebrarne la Nascita, la Passione, la Risurrezione?

Messori si lamenta dell'abbandono delle antiche tradizioni cristiane del nostro popolo. Ma dimentica che la loro scomparsa non è stata voluta dai fedeli, né da quanti non sono Cattolici né Cristiani: è la chiesa riformata, la sinagoga conciliare, che ha cancellato con un'opera meticolosa il latino, il gregoriano che il popolo sapeva a memoria, le Tempora, i digiuni, le Vigilie, i canti popolari, le melodie di Perosi, i Vespri della domenica, le adorazioni eucaristiche, le benedizioni, le processioni, il composto decoro della liturgia funebre, l'abito sacerdotale, il venerdì di magro, la penitenza. L'orgoglio stesso di esser Cristiani.

Era trionfalismo, dicevano i soloni del Concilio. La Chiesa doveva rinunciarvi per far propria una liturgia protestantizzata, resa ancor più sciatta dall'ignoranza e dalla trascuratezza di un clero demotivato e senza ideali. Doveva irridere ed emarginare il chierico con la veste, esaltando il prete operaio e il ribelle in abito civile. Doveva dismettere il manto regale e la corona, per rivestire i panni della serva, quando non le sconce vesti della meretrice o della mezzana. Doveva rimanere nascosta nelle sacrestie a sproloquiare di Lumen gentium, lasciando ai sindacati comunisti, ai partiti laicisti, ai divorzisti, agli abortisti, agli studenti sfaccendati il diritto di manifestare nelle piazze. Doveva togliere il velo alle donne, in nome di una fraintesa dignità su cui San Paolo avrebbe lanciato l'anatema. Doveva tacere la propria santa dottrina, lasciando che eretici e modernisti diffondessero i propri errori dai pulpiti, dalle cattedre, dai giornali sedicenti cattolici.

E così la Signora dei Popoli, la domina gentium, è finita sub tributo. Perché ora si lamenta perché con coerenza l'Europa non include il Natale in un'agenda?

Quando si scoprirà il sepolcro conciliare, imbiancato dall'alibi ipocrita della pastoralità, per scoprirne il marciume e i vermi che vi si annidano?

[Fonte: http://opportuneimportune.blogspot.com/2010/12/hypocritae.html ]

martedì 28 dicembre 2010

Uccidono i cristiani, ma è l'Europa ad essere morta.

Nel giro di poche ore l'Ue si dimentica delle festività critiane e si rifiuta di equiparare le vittime del comunismo a quelle del nazismo. E se ne frega se attaccano le chiese in Nigeria e nelle Filippine.

Per l’Unione europea il Natale non esi­ste, la Pasqua nemmeno, e se uccidono i cristiani in Nigeria e nelle Filippine, co­me è accaduto nel giorno di Natale, chi se ne frega, la cosa non ci riguarda.

I cri­stiani saranno una setta del posto. Noi europei ci occupiamo di misurare le ba­nane, mica di religioni, superstizioni, stragi e amenità varie. Noi siamo civili, lavoriamo in banca, mica pensiamo alle festività religiose. E poi in questi giorni la Commissione europea non lavora, è in vacanza natalizia, anche se non si sa uffi­cialmente la ragione di queste festività, sarà l’anniversario dell’euro o l’onoma­stico di Babbo Natale...

Non sto vaneggiando per overdose di spumanti e pa­nettoni. È stata diffusa in milioni di copie e in migliaia di scuole, in tutta Europa e forse anche nei Paesi islamici, l’agenda ufficia­le dell’Europa, firmata della Commissione europea. Nel diario europeo, che mi è capitato di vedere, c’è traccia delle più estrose festività relative alle più minoritarie religioni, ma non c’è alcun riferimen­to alle festività antiche, canoniche e ufficiali della cristianità europea. Non si sa perché festeggiamo Natale e le altre festività religiose, nulla è ac­cennato sull’agenda che ricordi la Natività, la Resurrezione e tutto il re­sto, nulla che segni in rosso una san­­ta festività. Ma quale Natale, Pasqua, Epifania, diceva Totò, a cui evidente­mente si ispira l’Unione Europea. L’ha fatto notare, protestando, il mi­nistro degli Esteri Frattini, ma in que­sti giorni l’Unione europea è chiusa per inventario merci (non esistendo il Santo Natale) e dunque la protesta affonda nel vuoto vacanziero di que­sta vuota Europa.

A ragion veduta possiamo perciò accusare l’Unione europea di nega­zionismo. L’Unione europea è un’as­sociazione vigliacca di smemorati banchieri fondata sul negazioni­smo. Nel giro di poche ore, l’Unione eu­ropea ha infatti negato le festività cri­stiane e dunque la sua tradizione principale ancora viva da cui provie­ne e nel cui nome ha un calendario e un sistema di festività. Ed ha pure ne­gato ai Paesi dolorosamente usciti dal comunismo il diritto di conside­rare i loro milioni di vittime sullo stes­so piano delle vittime del nazismo. Come sapete, la Commissione eu­ropea ha nega­to che si possano equi­parare gli stermini comunisti a quelli nazisti e possa dunque scattare an­che per loro il reato di negazionismo. Pur avendo commesso «atti orren­di», i regimi del gulag, secondo la Commissione europea, «non hanno preso di mira minoranze etniche». E che vuol dire, sterminare i borghesi o i contadini è meglio che sterminare gli appartenenti a una razza? Uccide­re chi non la pensa come te è un cri­mine meno efferato che uccidere chi è di un’altra razza? Tra le fosse di Ka­tyn, le foibe e le camere a gas di Da­chau, qual è la differenza etica, giuri­dica ed umana? Tra chi nega gli ster­mini di popolazioni civili di Paesi in­vasi dal comunismo e chi nega gli stermini etnici, qual è la differenza?

È ideologica, signori, puramente ide­ologica. Come ideologica è la nega­zione delle tradizioni cristiane più popolari. Non parliamo infatti del dogma trinitario o di altri quesiti teo­logici, qui parliamo di Natale e Pa­squa, avete presente? Alla base del­l’Europa c’è un negazionismo vi­gliacco e bugiardo, che non è solo quello di negare alcuni colossali orro­ri per riconoscere e perseguirne de­gli altri; ma negare l’Europa stessa, la sua vita, il calendario che scandisce i suoi giorni, la sua realtà e la sua veri­tà, la sua tradizione e la sua storia.

Il negazionismo dell’Unione euro­p­ea è ancora più grave del negazioni­smo elevato a reato: perché non ne­ga solo alcuni orrori, ma nega anche in positivo la storia, la provenienza, la vita europea. Del suo passato l’Unione resetta tutto,difende solo la memoria della Shoah, e poi cancella millenni di civiltà cristiana, millenni di natali e pasque, orrori del comuni­smo e di altre tirannidi. Che schifo.

Io non ho ancora capito a che serve l’Unione europea fuori dall’ambito economico. Non è un soggetto politi­co che esprime posizioni unitarie, non ha un governo passato dal con­senso del popolo europeo, la sua stes­sa unione non fu voluta o almeno rati­ficata da un referendum costitutivo del popolo sovrano. Non è un sogget­to cul­turale e civile perché non fa nul­la per affermare, difendere o valoriz­zare l’identità europea, anzi fa di tut­to per negarla. Non ha una sua carta costituzionale dove declina le sue ge­neralità storiche, le sue affinità idea­li, i suoi principi, le sue provenienze civili e religiose. Non ha una sua poli­tica es­tera unitaria o una strategia in­ternazionale, e non si occupa di stra­gi dei cristiani, semmai si agita solo se c’è una donna condannata a mor­te per aver ucciso il marito in Iran. Insomma, l’Europa non è mai nata e ha paura pure della sua ombra. Esi­ste solo un sistema monetario unico, un sistema di dazi e di regole, di ban­che e di finanziamenti. È un ente eco­nomico, un istituto per il commer­cio. Per questo l’Unione europea non esiste, abbiamo ancora la Cee, la Comunità economica europea. Anzi non sprechiamo la parola comunità per un consorzio economico, tornia­mo al Mec, Mercato europeo comu­ne. L’Europa è un morto che cammi­na.

fonte: Marcello Veneziani su Il Giornale

domenica 26 dicembre 2010

Una nefasta concezione d'Europa

Il mito dell’ “Europa” come stella polare verso cui l’Italia dovrebbe volgersi senza “se” né “ma”, se vuole uscire dalle tenebre di oggi verso un domani ben più luminoso, ha fatto ancora una volta la propria ricomparsa sulla scena politica italiana.

Uno dei nuovi gruppi parlamentari d’opposizione che si sono formati negli ultimi giorni l’ha messo al centro del proprio programma. Alla sua radice c’è l’idea ricorrente secondo cui l’Italia non è un “paese normale” per due motivi: perché non avendo accolto la Riforma protestante si è perciò stesso preclusa alla modernità; e perché la presenza della Santa Sede a Roma costituisce un’enorme palla al piede a causa della quale nemmeno oggi il nostro Paese riesce a ricuperare il tempo sin qui perduto.

Non è un’idea nuova. Risale anzi all’epoca di Camillo Cavour, ed è una delle diverse eredità negative del suo progetto politico che ancora pesano sul nostro presente. Coerentemente con tale giudizio Cavour era convinto che alla presa di Roma avrebbe fatto seguito l’esodo del Papa dall’Italia, possibilmente il ritorno del Papato ad Avignone o da qualche altra parte in Francia. La morte prematura gli risparmiò il dispiacere del fallimento di questo suo grande obiettivo, forse l’unico che gli sfuggì, che è tanto certo quanto censurato dalla storiografia ufficiale. L’idea che l’Italia avesse bisogno di diventare un “paese normale” nel senso più sopra ricordato tuttavia gli sopravvisse.

Quando poi, quasi ottant’ani più tardi, si cominciò a procedere verso quella che si sarebbe chiamata Unione Europea, accanto all’ispirazione di matrice cattolica dei padri fondatori Adenauer, Schuman e De Gasperi in Italia germogliò pure l’idea di un “ammodernamento” del nostro Paese nel senso sopra ricordato da realizzarsi di forza facendo leva sul mito dell’”Europa”, intesa peraltro non nel suo insieme ma facendo esclusivo riferimento a una certa Europa; a un Nord Europa ieri protestante e oggi relativista che peraltro non rende nemmeno piena giustizia all’odierna realtà nordeuropea come essa è realmente.

I danni causati da questa ideologia, il cui influsso va ahimè anche ben oltre le file dell’attuale opposizione, sono notevolissimi. Basti citare un caso, quello di Prodi, che ne è imbevuto. L’ingresso in ginocchio dell’Italia nell’euro con un tasso di cambio molto sfavorevole, e a condizioni che ci sono costate la perdita di circa metà del nostro potere d’acquisto in dieci anni, nasce da qui. E’ un’ideologia nefasta che, magari anche inconsapevolmente, riappare ogni volta che un ministro ci viene a dire che una certa cosa si deve fare perché “ce lo chiede l’Europa”, oppure che se non la si fa si corre il rischio di “uscire dall’Europa”.

Il primo argomento è una furbizia di tipo neo-autoritario, ma il secondo è sintomo di un complesso d’inferiorità patetico. Senza l’Italia l’Europa non ci sarebbe nemmeno; non solo perché è uno dei Paesi fondatori delle istituzioni europee, ma soprattutto perché ne è la culla culturale e storica. Perciò in Europa né dobbiamo entrare né possiamo uscire. Se di ciò il nostro ceto politico fosse più consapevole la nostra politica europea sarebbe molto più forte e più influente con vantaggio sia nostro che dell’intera Unione.
Robi Ronza 18-12-2010 - www.robironza.wordpress.com

sabato 25 dicembre 2010

Cancellato il Natale dal calendario UE

Non bastavano i crocifissi asportati dalle pareti delle aule scolastiche. Non bastavano né bastano insegnanti ottusi che ogni anno per non dispiacere ad alunni stranieri, proibiscono presepi, alberi di Natale e recite natalizie. Non bastavano i cosiddetti "integrazionisti" che sostituiscono nei canti,Gesù con virtù, convinti di fare "buona integrazione" multikulti. Non basta tutto l'elenco delle vessazioni provenienti dall'Europa della BCE, che ho già diligentemente compilato nel mio precedente post "Ce lo chiede l'Europa"

Ora la Commissione Europea ha prodotto più di tre milioni di copie di un diario dell’UE per le scuole secondarie che non contiene nessun riferimento al Natale, ma include festività ebraiche, indù sikh e musulmane. Più di 330 mila copie del diario, accompagnate da 51 pagine di informazioni in carta lucida sull’Unione Europea sono state consegnate alle scuola britanniche, scrive il Daily Telegraph, come un omaggio agli allievi da parte della Commissione. Con grande stupore dei cristiani britannici la sezione relativa al 25 dicembre è vuota e in calce alla pagina c’è questo messaggio: “Un vero amico è qualcuno che condivide le tue preoccupazioni e la tua gioia”. Ma va' là? Siamo dunque agli epigrammi filosofici?

Il calendario comprende festività musulmane, indù, sikh, ebraiche e cinesi, e altre, come il giorno dell’Europa e altri anniversari chiave dell’unione Europea; ma non ci sono festività cristiane segnalate, a dispetto del fatto che il cristianesimo è la religione della maggioranza degli europei. La notizia presa da La Stampa, è stata veicolata dal blog Fatti d'Europa.

E d’altronde anche i cartoncini d’auguri della Commissione (ma non solo della Commissione) dicono semplicemente “Auguri di stagione” (Season's greetings) senza nessun riferimento a feste cristiane.

Me ne lamentai già in proposito su vecchi post prenatalizi, ottenendo un'insoddisfacente risposta da parte di un'americana che sottolineava l'esigenza di festeggiare il solstizio. Ma dato che il solstizio d'inverno cade proprio a ridosso delle festività natalizie, che dobbiamo dire d'ora in poi? "Buon Solstizio?".
Non facciamo ridere i passeri!
E' evidente che quegli "auguri stagionali" sono un una formula neutra,una trovata passepartout per vendere più merce possibile anche nei paesi non cristiani. E' il mercato, Bellezza, e gli affari prima di tutto.

Così prima si scristianizzano i paesi d'Europa attraverso Natali che sembrano dei Luna Park e dei caotici gran Bazar, allestiti con grande spreco di luminarie e con grotteschi Santa Claus piazzati a ogni angolo di metropoli, tanto per indurre alla vendita di mercanzia d'ogni genere; poi li si escludono dal diario delle festività d'Europa. Intanto i "cristiani" sono tutti "laici", no? Mica se la prendono... E' un lavoro subdolo astutamente congegnato che proviene da lontano.
1) Scristianizzare 2) mercificare, 3) lasciarci invadere di immigrati di altre etnie e religioni 4) sostituirci.omissis cristiani.

Anzi, ce lo impone l'Europa dei massoni. Con un Dio Mercante uguale per tutti. Questa sì, che è uguaglianza.

[Fonte:http://sauraplesio.blogspot.com/2010/12/la-ue-cancella-il-natale-dal-suo.html]

venerdì 3 dicembre 2010

L'Europa non sarebbe più Europa se il matrimonio sparisse

Il Pontefice auspica che la nuova Costituzione del Paese sia ispirata ai valori cristiani

Traduzione del discorso del Papa all'Ambasciatore di Ungheria.

Signor Ambasciatore,
con gioia Le dò il benvenuto in questa solenne occasione della consegna delle Lettere Credenziali che L'accreditano come Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica d'Ungheria presso la Santa Sede, e La ringrazio per le Sue gentili parole. Sono grato per i deferenti saluti che mi ha presentato a nome del Signor Presidente Dott. Pál Schmitt e del Governo, e che ricambio volentieri. Allo stesso tempo vorrei pregarLa di assicurare i Suoi connazionali del mio sincero affetto e della mia benevolenza.

Dopo la ripresa dei rapporti diplomatici tra la Santa Sede e la Repubblica d'Ungheria nel 1990, si è potuta sviluppare nuova fiducia per un dialogo attivo e costruttivo con la Chiesa Cattolica. Nutro al contempo la speranza che le profonde ferite di quella visione materialistica dell'uomo, che si era impadronita dei cuori e della comunità dei cittadini del Suo Paese per quasi 45 anni, possano continuare a guarire in un clima di pace, libertà e rispetto della dignità dell'uomo.

La fede cattolica fa senza dubbio parte dei pilastri fondamentali della storia dell'Ungheria. Quando, nel lontano anno 1000, il giovane principe ungherese Stefano ricevette la corona reale inviatagli da Papa Silvestro ii, a ciò era unito il mandato di dare alla fede in Gesù Cristo spazio e patria in quella terra. La pietà personale, il senso di giustizia e le virtù umane di questo grande re sono un alto punto di riferimento che funge da stimolo e imperativo, oggi come allora, a quanti è affidato un ruolo di governo o un'analoga responsabilità. Certamente non ci si aspetta dallo Stato che venga imposta una determinata religione; esso dovrebbe piuttosto garantire la libertà di confessare e praticare la fede. Tuttavia, politica e fede cristiana si toccano. Senz'altro la fede ha la sua specifica natura quale incontro con il Dio vivente che ci apre nuovi orizzonti al di là dell'ambito proprio della ragione. Ma al contempo essa è una forza purificatrice per la ragione stessa, permettendole di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio. Non si tratta di imporre norme o modi di comportamento a coloro che non condividono la fede. Si tratta semplicemente della purificazione della ragione, che vuole aiutare a far sì che ciò che è buono e giusto possa, qui ed ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato (cfr. Enciclica Deus caritas est, 28).

Negli ultimi anni, poco più di venti, dalla caduta della cortina di ferro, evento nel quale l'Ungheria ha svolto un ruolo di rilievo, il Suo Paese ha occupato un posto importante nella comunità dei popoli. Da ormai sei anni l'Ungheria è anche membro dell'Unione Europea. Con ciò apporta un contributo importante al coro a più voci degli Stati d'Europa. All'inizio del prossimo anno toccherà all'Ungheria, per la prima volta, assumere la Presidenza del Consiglio dell'Unione Europea. L'Ungheria è chiamata in modo particolare ad essere mediatrice tra Oriente e Occidente. Già la Sacra Corona, eredità del re Stefano, nel collegamento della corona graeca circolare con la corona latina posta ad arco sopra di essa - ambedue recano il volto di Cristo e sono incoronate dalla croce - mostra come Oriente e Occidente dovrebbero sostenersi a vicenda e arricchirsi l'un l'altro a partire dal patrimonio spirituale e culturale e dalla viva professione di fede. Possiamo intendere ciò anche come un leitmotiv per il Suo Paese.

La Santa Sede prende atto con interesse degli sforzi delle autorità politiche nell'elaborare un cambiamento della Costituzione. Si è espressa l'intenzione di voler far riferimento, nel preambolo, all'eredità del Cristianesimo. È altrettanto auspicabile che la nuova Costituzione sia ispirata ai valori cristiani, in modo particolare per quanto concerne la posizione del matrimonio e della famiglia nella società e la protezione della vita.

Il matrimonio e la famiglia costituiscono un fondamento decisivo per un sano sviluppo della società civile, dei Paesi e dei popoli. Il matrimonio come forma di ordinamento basilare del rapporto tra uomo e donna e, allo stesso tempo, come cellula fondante della comunità statale è venuto plasmandosi anche a partire dalla fede biblica. In questo modo, il matrimonio ha dato all'Europa il suo particolare aspetto e il suo umanesimo, anche e proprio perché si è dovuta apprendere e conseguire continuamente la caratteristica di fedeltà e di rinuncia tracciata da esso.

L'Europa non sarebbe più Europa se tale cellula basilare della costruzione sociale sparisse o venisse sostanzialmente trasformata. Sappiamo tutti quanto sono a rischio il matrimonio e la famiglia oggi - da un lato per l'erosione dei loro valori più intimi di stabilità e indissolubilità, a causa di una crescente liberalizzazione del diritto di divorzio e dell'abitudine, sempre più diffusa, alla convivenza di uomo e donna senza la forma giuridica e la protezione del matrimonio, dall'altro lato per diversi generi di unione che non hanno alcun fondamento nella storia della cultura e del diritto in Europa. La Chiesa non può approvare iniziative legislative che implichino una valorizzazione di modelli alternativi della vita di coppia e della famiglia. Essi contribuiscono all'indebolimento dei principi del diritto naturale e così alla relativizzazione della legislazione tutta, nonché della consapevolezza dei valori nella società.

"La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli" (Enciclica Caritas in veritate, 19). La ragione è in grado di garantire l'uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica, ma non riesce, alla fin fine, a fondare la fraternità. Questa ha origine in una vocazione soprannaturale di Dio, il quale ha creato gli uomini per amore e ci ha insegnato per mezzo di Gesù Cristo che cosa sia la carità fraterna. La fraternità è, in un certo senso, l'altro lato della libertà e dell'uguaglianza. Essa apre l'uomo all'altruismo, al senso civico, all'attenzione verso l'altro. La persona umana, infatti, trova se stessa solo quando supera la mentalità incentrata sulle proprie pretese e si proietta nell'atteggiamento del dono gratuito e della solidarietà autentica, che molto meglio risponde alla sua vocazione comunitaria.

La Chiesa Cattolica, come le altre comunità religiose, ha un ruolo non insignificante nella società ungherese. Essa si impegna su larga scala con le sue istituzioni nel campo dell'educazione scolastica e della cultura, nonché dell'assistenza sociale, e in tal modo contribuisce alla costruzione morale, davvero utile al Suo Paese. La Chiesa confida di poter continuare, con l'appoggio dello Stato, a svolgere e intensificare tale servizio per il bene degli uomini e per lo sviluppo del Suo Paese. La collaborazione tra Stato e Chiesa Cattolica in questo campo cresca anche in futuro e rechi giovamento per tutti.

Illustre Signor Ambasciatore, all'inizio del Suo nobile incarico auguro a Lei una missione colma di successo, e Le assicuro allo stesso tempo il sostegno e l'appoggio dei miei collaboratori. Maria Santissima, la Magna Domina Hungarorum, estenda la propria mano protettrice sul Suo Paese. Di cuore imploro per Lei, Signor Ambasciatore, per la Sua famiglia, per i Suoi collaboratori e collaboratrici nell'Ambasciata e per tutto il popolo ungherese l'abbondante benedizione divina.

(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2010)