Ampi stralci di una lezione tenuta dal prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi ai docenti e agli studenti della University of Notre Dame nell'Indiana (Stati Uniti).
di Angelo Amato
Cosa comporta per l'Europa il distacco dal cristianesimo? Nel 2005 il cardinale Joseph Ratzinger, lamentava la crisi religiosa e morale del continente europeo, dove "si è sviluppata una cultura che costituisce la contraddizione in assoluto più radicale non solo del cristianesimo, ma delle tradizioni religiose e morali dell'umanità" (L'Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Siena, Cantagalli, 2005, p. 37).
E difatti nella Costituzione europea manca ogni riferimento a Dio e alle radici cristiane della sua civiltà. In tal modo si dimentica che la struttura profonda di una società è spirituale e culturale, più che politica ed economica. E si sfigura l'identità europea.
L'accento sulle radici cristiane dell'Europa è un'offesa ai non cristiani, oggi massicciamente presenti nel vecchio continente?
"Chi verrebbe offeso? - si chiedeva il cardinale Ratzinger - L'identità di chi viene minacciata?
I musulmani, che a tale riguardo spesso e volentieri vengono tirati in ballo, non si sentono minacciati dalle nostre basi morali cristiane, ma dal cinismo di una cultura secolarizzata che nega le proprie basi. E anche i nostri concittadini ebrei non vengono offesi dal riferimento alle radici cristiane dell'Europa, in quanto queste radici risalgono fino al monte Sinai: portano l'impronta della voce che si fece sentire sul monte di Dio e ci uniscono nei grandi orientamenti fondamentali che il decalogo ha donato all'umanità. Lo stesso vale per il riferimento a Dio: non è la menzione di Dio che offende gli appartenenti ad altre religioni, ma piuttosto il tentativo di costruire la comunità umana assolutamente senza Dio" (p. 40).
La motivazione di questo duplice "no", a Dio e alla radici cristiane, risiede nel presupposto che soltanto la cultura razionalistica radicale può costituire l'identità europea. Ma la tragica storia dell'Europa del secolo scorso ha dimostrato che la libertà umana, sganciata da Dio e dalla sua legge, conduce a un dogmatismo che, alla fine, umilia l'uomo, sopprimendone la libertà. Le ideologie atee naziste e comuniste non hanno prodotto paradisi terrestri, ma solo tragici regimi di terrore, che hanno negato dignità e libertà all'essere umano, alle vittime e agli stessi carnefici.
La risposta cristiana al secolarismo ateo è fondata sull'esperienza dei secoli, sulla regula aurea, secondo la quale "vivere nella verità può cambiare quello che nella storia sembra incambiabile".
Nell'Europa contemporanea l'emancipazione da Dio e la negazione della sua legge produce comportamenti pratici biasimevoli. Come per l'economia e la politica, anche per la biomedicina e la biotecnologia, una ricerca sganciata dall'etica permette all'uomo di disporre impunemente della vita di altri esseri umani, soprattutto dei più deboli e indifesi. Una "biopolitica", che non fa riferimento alla legge naturale, può permettere, ad esempio, l'annientamento dei feti, la manipolazione degli embrioni considerati semplice materiale biologico, la clonazione, l'ibridazione, la contraccezione, l'eutanasia. La vita perde la sua inviolabilità e l'essere umano smarrisce la sua identità. Si intacca, poi, la stessa nozione di "famiglia" come comunità composta dal padre, dalla madre e dai figli. Si permette il "matrimonio" non più solo tra uomo e donna e si ammette l'adozione di bambini anche da parte di coppie omosessuali.
Se questa è l'Europa - ci si può chiedere - perché insistere sulle sue radici cristiane dal momento che essa si riscopre culturalmente aliena al cristianesimo?
La risposta risiede nel fatto che l'Europa non si comprende senza il cristianesimo. Essa perde la sua identità e la sua originalità. La storia europea mostra che il "concetto Europa" è una costruzione plurimillenaria costituita da strati diversi e complementari (Joseph Ratzinger, Chiesa, ecumenismo e politica. Nuovi saggi di ecclesiologia, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1987, pp. 207-221).
Il primo strato è offerto dalla civiltà greca. L'Europa come parola e come concetto geografico e spirituale è una creazione greca. Gli elementi di questa grecità potrebbero essere così sintetizzati: diritto della coscienza, relazione tra ratio e religio, affermazione della democrazia in armonia vincolante con ciò che è giusto e retto.
Il secondo è dato dall'eredità cristiana, dal suo umanesimo, che in Gesù Cristo opera la sintesi tra la fede d'Israele e lo spirito greco.
Il terzo strato è costituito dall'eredità latina. Nella storia l'Europa è stata identificata con l'occidente, e cioè con la sfera della cultura e della Chiesa latina, che, però, abbracciava, oltre ai popoli romanici, anche i germani, gli anglosassoni e una parte degli slavi. La res publica christiana non era certo una realtà europea politicamente costituita, ma si muoveva in un insieme di cultura unitaria, visibile nei sistemi giuridici, nelle università, nei concili, negli ordini religiosi, nella circolazione della vita ecclesiale. Il tutto aveva Roma come suo centro.
Infine, l'eredità dell'era moderna costituisce il quarto strato dell'Europa. Gli elementi di tale eredità sono: la distinzione tra Stato e Chiesa, la libertà di coscienza, i diritti umani e l'autoresponsabilità della ragione.
Tutti questi diversi elementi sono stati portati a unità dalla Chiesa di Cristo, che è stata la matrice della civiltà europea, della sua difesa e della sua diffusione nel mondo.
Nel volume Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale (Siena, Cantagalli, 2007, pagine 272, euro 18,50), Thomas E. Woods jr. elenca il molteplice contributo che la Chiesa cattolica ha apportato alla civiltà europea, con i monasteri, le università, la ricerca scientifica, l'arte, il diritto internazionale, l'economia, la carità, l'etica, e soprattutto con la libertà.
Di conseguenza, l'Europa del futuro non può essere solo il prodotto di una unificazione politica ed economica, ma anche la sintesi dei valori ereditati dalla tradizione. Dovrebbe, quindi, tener conto delle sue radici greche e dell'intima relazione tra democrazia ed eunomìa, fondando le sue leggi su norme morali rispettose della legge naturale. Dovrebbe, inoltre, vincolare il suo diritto pubblico al rispetto dei valori morali del cristianesimo, non relegando Dio nel solo spazio privato, ma riconoscendolo pubblicamente come valore supremo. Un ateismo esasperato non garantirebbe la sopravvivenza di uno Stato di diritto.
Per questo la Chiesa cattolica, soprattutto mediante il magistero papale sia di Giovanni Paolo II con la sua esortazione postsinodale Ecclesia in Europa, sia di Benedetto XVI, con le tre esemplari lezioni di Ratisbona (12 settembre 2006), di Roma (università La Sapienza, 18 gennaio 2008) e di Parigi (13 settembre 2008), non si appiattisce sull'agenda del secolarismo ideologico e politico, ma continuamente sollecita un atteggiamento di "laicità positiva", che valorizzi l'apporto del cristianesimo, con il suo "sì" alla vita, alla libertà, alla democrazia, al rispetto della dignità di ogni essere umano.
Questo atteggiamento sembra richiamare l'appello che Blaise Pascal rivolgeva ai suoi amici non credenti, invitandoli a vivere veluti si Deus daretur. In tal modo nessuno perde la sua libertà e le decisioni morali trovano un fondamento sicuro, di cui hanno urgentemente bisogno.
Con la sua avversione al cristianesimo, la comunità europea è un corpo che cresce sempre di più, ma senza anima. Joseph H. H. Weiler - un ebreo ortodosso, nato in Sud Africa, professore di diritto alla New York University School of Law - analizzando il progetto della costituzione europea, riconosce l'assurdità storica di eliminare il cristianesimo dalla storia moderna europea. Giunge anzi ad affermare che una costituzione europea, che deliberatamente ignora le radici cristiane dell'Europa, sarebbe costituzionalmente illegittima (cfr. Un'Europa cristiana: Un saggio esplorativo, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2003, pagine 197, euro 7,50). Un'Europa cristiana, infatti, rispetterebbe i diritti di tutti i cittadini, credenti e non credenti, cristiani e non cristiani. Il deficit delle radici cristiane porta al deficit di democrazia.
Anche Weiler parla di "cristofobia" che si manifesta con accenti e motivazioni diverse. Ad esempio, con l'errata convinzione degli intellettuali euro-pei che considerano la tragedia della Shoah come logica conclusione dell'antigiudaismo storico, mentre è la diretta conseguenza della concezione atea del nazionalsocialismo. Una seconda componente della cristofobia è presente negli epigoni della rivoluzione giovanile degli anni Sessanta che fu sostanzialmente anticristiana. Inoltre, la cristofobia è il contraccolpo psicologico e ideologico alla caduta del comunismo nel 1989 nell'Europa dell'Est dovuta all'influenza straordinaria della personalità di Giovanni Paolo II.
Ma è impensabile sognare un'Europa come "un'area speciale di speranza umana" (preambolo del progetto di costituzione europea) senza gli uomini e le donne, grandi e piccoli, che hanno dato ingegno e creatività alla civiltà europea. Così come è impensabile che l'Europa difenda "i valori universali degli inviolabili e inalienabili diritti della persona umana" senza il fondamento della civiltà cristiana.
Questa apostasia dal cristianesimo, che viene propagandata dalla cronaca quotidiana, in realtà sta sprofondando l'Europa in una grave crisi morale e sociale: "Relativismo, laicismo, scientismo e tutto quello che oggi viene messo al posto della fede sono i veleni, non gli antidoti, i virus che aggrediscono il corpo già malato, non gli anticorpi che lo difendono" (Marcello Pera, Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo l'Europa l'Etica, Milano, Mondadori, 2008, p. 5).
L'esperimento che è in corso oggi in Europa - e cioè vivere come se Dio non esistesse - non sta dando i frutti promessi per tre ragioni. Anzitutto perché il secolarismo, che sta alla base dei diritti civili, non si autogiustifica senza un riferimento forte al bene e al vero. Il secolarismo resta senza fondamento. Mentre, il cristianesimo, con l'idea dell'uomo immagine di Dio, apporta alla società il valore incommensurabile della dignità personale, senza la quale non c'è né libertà, né uguaglianza, né solidarietà, né giustizia (ibidem, p. 6).
Inoltre, da una parte, l'Europa si vanta di essere diventata la terra più scristianizzata dell'Occidente, ritenendo il cristianesimo un ostacolo al suo sviluppo civile; dall'altra, gli europeisti si lamentano di una mancanza di "identità europea" e cercano un'anima alla nuova Europa. Ma senza l'identità cristiana l'Europa non risulta più aperta, più tollerante, più pacifica. Al contrario: "Senza la consapevolezza dell'identità cristiana, l'Europa si distacca dall'America e divide l'Occidente; perde il senso dei propri confini e diventa un contenitore indistinto; non riesce a integrare gli immigrati, anzi li ghettizza o si arrende alla loro cultura; non è in grado di vincere il fondamentalismo islamico, anzi favorisce il martirio dei cristiani in tante parti del mondo e anche in casa propria" (ibidem).
In terzo luogo, si afferma che la libertà consiste nel dare cittadinanza a tutte le libertà e quindi non bisognerebbe insistere sulla religione cristiana, dal momento che la democrazia è religione in se stessa. Si scopre, però, come aveva già visto Platone, che una tale democrazia relativistica è autofagica, divora se stessa. (cfr. Platone, La Repubblica, viii, xi-xiv). Se non c'è più la verità, ma solo la somma delle varie credenze; se non c'è più la legge morale naturale, ma solo l'assoluta libertà dell'individuo, "allora il bene morale può essere solo sottoposto al voto e il voto, si guardi alle nostre legislazioni in materia di bioetica, può decidere che è bene qualunque cosa" (M. Pera, Perché dobbiamo dirci cristiani, p. 7).
L'Europa se vuole ritrovare la sua anima, la sua identità, i suoi fondamenti e la verità delle cose deve dirsi cristiana. I grandi teorici del liberalismo, John Locke, Thomas Jefferson, Immanuel Kant esaltavano la libertà umana, ma ponevano una condizione precisa per poterla realizzare: il rispetto della legge naturale. Ciò che assicurava questo rispetto, per Kant e per gli altri, era il dovere di coscienza di aderire al principio del bene e non a quello del male. E il bene al quale Kant si riferiva con la sua religione nei limiti della ragione era proprio l'etica cristiana.
Sono molte le ragioni che dovrebbero motivare gli europei a dirsi cristiani: la memoria della loro origine; la possibilità di superare la crisi della loro società; la disumanità di un secolarismo autosufficiente e ateo; il mantenimento della stabilità sociale; l'orgoglio dell'universalità della civiltà europea; la fondazione razionale e non pregiudiziale della distinzione tra Stato e Chiesa; la sopravvivenza delle istituzioni sociopolitiche.
Nel 1942 Benedetto Croce scrisse il saggio Perché non possiamo non dirci cristiani. Per lui il cristianesimo era la più grande rivoluzione dell'umanità, che ha prodotto una straordinaria civiltà umana, che ancora oggi sostiene la società contemporanea. Il cristianesimo è al fondo del pensiero moderno e del suo ideale etico. Per Kant, ad esempio, è proprio dell'uomo vivere velut si Deus daretur, anzi, è moralmente necessario ammettere l'esistenza di Dio (Critica della ragion pratica, Bari, Laterza, 1966 p. 156).
"Vivere come se Dio esistesse - commenta Marcello Pera - significa negare all'uomo quel senso di onnipotenza e di libertà assoluta che prima lo esalta e poi lo avvilisce e degrada, riconoscere la nostra condizione di finitezza, essere consapevoli dell'esistenza di limiti etici del nostro agire, che è precisamente uno dei punti del decalogo delle ragioni per cui i liberali devono dirsi cristiani" (Perché dobbiamo dirci cristiani, pp. 57-58).
Velut si Deus daretur è la condizione moralmente necessaria perché l'Europa possa ritrovare la sua identità e coltivare la speranza. L'Europa deve ricordare che all'inizio e in tutto il corso della sua storia c'è il Vangelo: "Il Cristianesimo è l'anima dell'Europa, non perché non si sia mescolato con altre culture, ma perché le ha portate ad unità, le ha articolate, fuse, composte in un quadro che ha fatto della terra in cui sbarcarono Pietro e Paolo il continente cristiano" (ibidem, p. 96).
La tradizione cristiana dell'Europa ha amalgamato nella croce di Cristo la ratio dei Greci, il diritto delle genti dei Romani, le leggi di Mosè. L'Europa è oggi senz'anima perché rifiuta quella cristiana che la storia le ha dato. Non è sufficiente parlare di unità nella diversità o di meticciato di culture, formule evasive e ambigue perché non forniscono identità. Una integrazione presuppone un soggetto integrante. Integrare non significa solo ospitare, accogliere o aggregare.
In conclusione, l'Europa deve dirsi cristiana se vuole unificarsi, se vuole affermarsi come civiltà dei diritti umani fondamentali; se vuole difendersi ed evitare guerre di religione; se vuole superare la stagione tragica del suo recente passato; se intende battere la sua profonda crisi morale.
Perché milioni di persone da altri continenti e da altre culture non cristiane bussano non solo alle porte degli Stati Uniti d'America, ma anche a quelle dell'Europa, invadendola? Lo fanno solo per trovare un lavoro e una migliore condizione di vita? Forse. Ma la ragione più profonda è una sola: perché qui trovano libertà, perché la vera patria dell'uomo non è il suolo dove è nato, ma la terra dove può vivere libero.
Se l'Europa vuole continuare a vivere nella libertà per tutti deve continuare a vivere etsi Deus daretur e a fondarsi sulla tradizione cristiana. Se l'Europa vuole integrare persone provenienti da altre culture non può essere senza identità, ma deve avere ancora fiducia nei suoi valori identitari, apprezzarli e anche avere la serenità di considerarli buoni e, forse, anche migliori di altri. Se non lo fossero, non sarebbero desiderati da milioni di immigrati.
Integrazione significa allora conversione al cristianesimo? Non necessariamente. Integrazione significa adesione ai valori fondamentali della civiltà europea: "Se l'Europa non è un melting pot ma solo un contenitore, è perché non ha energia identitaria sufficiente a fondere il contenuto" (ibidem). La comunità senza Dio che l'Europa mediante il laicismo, il relativismo, lo scientismo e il multiculturalismo sta costruendo non è solo un ostacolo alla sua identità, è anche un impedimento alle politiche di integrazione. Con ciò si propone un nuovo fondamentalismo cristiano? No, perché il cristianesimo, pur riconoscendosi come religione della salvezza universale nel mistero di Cristo, evita il fondamentalismo mediante l'antidoto della libertà religiosa, del rispetto della coscienza individuale, della distinzione tra errore ed errante, del comandamento della carità verso tutti, anche verso i nemici.
L'atteggiamento della Chiesa nei confronti dell'Europa contemporanea rispecchia il messaggio evangelico della carità e della libertà: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo" (Marco, 16, 15-16); "Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio" (Giovanni, 1, 11-12). La Chiesa propone non impone il Vangelo.
Il Vangelo è essenzialmente una buona notizia anche per oggi. Per questo la nostra riflessione sulla situazione del cattolicesimo nell'Europa secolarizzata intende essere una buona notizia.
Il compito della Chiesa in Europa è triplice: proclamare il Vangelo; testimoniarlo con coerenza; annunciare il Vangelo nei moderni areopaghi della cultura, della politica, dei massmedia, dell'educazione dei giovani. Per l'Europa il Vangelo resta anche per il terzo millennio il suo Libro per eccellenza, un libro di vita, di verità e di luce, come è vita, verità e luce Cristo, Parola di Dio incarnata. Riprendiamo in mano questo Libro, divoriamolo, gustiamolo e celebriamolo: questa era l'esortazione del servo di Dio Giovanni Paolo II.
Dal canto suo Benedetto XVI, grande studioso dell'Europa e della sua identità cristiana, a più riprese ha incoraggiato l'Europa a non vergognarsi del Vangelo, ma ad apprezzarlo e a viverlo. A Parigi, nell'incontro con gli intellettuali francesi il 12 settembre 2008, ha affermato: "Per molti, Dio è diventato veramente il grande Sconosciuto (...). Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell'umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell'Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura".
(©L'Osservatore Romano - 9 agosto 2009)