lunedì 13 luglio 2009

Le donne nell'Europarlamento che si insedia il 14 luglio

Sarà un caso?
Eleni Iniotaki - Grecia

Quando manca l'intesa tra moglie e marito, ne risentono sia la famiglia sia la società che sulla famiglia si basa (ancora, nonostante tutto). Società in ogni suo ambito: relazionale, educativo, lavorativo, culturale, economico e politico. Non fa eccezione il Parlamento europeo, la cui nuova composizione a seguito delle elezioni del mese scorso ci presenta - nella settimana della sua sessione costitutiva - il quadro seguente: 736 eurodeputati, di cui 478 uomini e 258 donne.

La presenza femminile risulta, dunque, pari al 35%. Percentuale significativa (la più alta dal 1979, inferiore solo alle percentuali dei Parlamenti di Finlandia, Svezia, Bulgaria, Danimarca, Estonia e Olanda), che merita, in quanto tale, rispetto e considerazione al fine della sua valorizzazione. "Ottimizzazione", direbbero oggi gli economisti. Non è un problema di "quote rosa": nemmeno quel che resta di un femminismo ormai anacronistico crede più nell'indistinta primazia femminile. In politica, come altrove, vi sono infatti persone di qualità e persone che farebbero meglio a cambiare mestiere. Uomini o donne che siano. Né serve tirare in ballo i cliché (pur tuttavia spesso reali) della donna più sensibile, più aperta e disponibile, più conciliante, più al passo con i tempi. Così come il punto non è la donna in posizione di potere, bensì la capacità di volere e di agire della donna che si trova in posizione di potere. "Potere" in senso lato, dal momento che per loro natura le aule di Strasburgo e i corridoi di Bruxelles non sono luoghi di potere assoluto: non è necessario avere alle spalle imperi finanziari, media, gruppi di pressione o meccanismi di partito per fornire un contributo valido. Basta volerlo e impegnarsi per ottenerlo.

In un contesto dove le maggioranze sono più trasversali rispetto ai Parlamenti nazionali, e dove la parità dei sessi è sostanzialmente acquisita (non solo per la tradizionale presenza di folte rappresentanze femminili scandinave), la chiave che apre le porte del contributo effettivo ed efficace al miglioramento della res europaea risiede anche nell'intesa armonica tra eurodeputati ed "eurodeputatesse". Senza dimenticare che alla componente maschile appartengono i leader dei partiti politici e dei gruppi parlamentari europei, e fermi restando interessi legittimi e scelte di schieramento (che della politica fanno e faranno sempre parte integrante) per governare i quali essere uomo o donna conta ben poco.

Storia e memoria difficilmente si ricordano dei presidenti dell'Europarlamento dal 1979 ad oggi, ed ancor meno dei singoli deputati. Con due eccezioni di rilievo: Nicole Fontaine e soprattutto Simone Veil. Due donne. Sarà un caso?


[Fonte: SIR luglio 2009]

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