venerdì 25 ottobre 2013

Il Parlamento europeo respinge le rivendicazioni LGBTI

Martedì 22 ottobre, al termine di un dibattito molto animato, il Parlamento europeo ha votato per il rinvio della risoluzione 2013/2040 (INI), basata sul documento A7-0306/2013 sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi, presentata dall’eurodeputata portoghese Edite Estrela alla “Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere”.

Corsi obbligatori di educazione sessuale a scuola per promuovere la cultura LGBTI, lotta contro gli stereotipi di genere, fecondazione assistita per single e lesbiche, contraccezione, riduzione e limitazione degli obiettori di coscienza al fine di garantire più facilmente l’accesso all’aborto. Questo in sintesi il programma dal quale, in caso di approvazione, tutti gli Stati membri avrebbero dovuto trarre le linee guida per le politiche sociali e culturali da adottare all’interno dei loro paesi.

È interessante, dunque, analizzare, più da vicino, tale documento in quanto rappresenta un chiaro ed esemplare compendio delle rivendicazioni politico-sociali del movimento LGBTI e di quelli che sono stati definiti  i nuovi “diritti umani”. La risoluzione, articolata in diversi punti, premette che i «diritti sessuali e riproduttivi sono diritti umani» e, dunque, devono essere garantiti a tutti senza alcuna distinzione «indipendentemente dall’età, dal sesso, dalla razza, dall’etnicità, dalla classe sociale, (…) dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere». Viene quindi negata la «differenza di genere» affermando che «le percezioni stereotipate della femminilità e della mascolinità in generale, (…), rappresentano un grave ostacolo al raggiungimento della salute sessuale e riproduttiva e dei relativi diritti» e rivendicato il diritto universale all’aborto rilevando come «le gravidanze non programmate e non desiderate sono ancora una realtà problematica per molte donne nell’UE, incluse le adolescenti» e sottolineando come «vi sono esempi di Stati membri che, a una legislazione liberale in materia di aborto, associano un’efficace educazione sessuale, servizi di pianificazione familiare di alta qualità e la disponibilità di diversi contraccettivi, coniugando tassi di aborto inferiori e tassi di nascita superiori».

La risoluzione 2013/2040 (INI) si apre, dunque, premettendo che l’UE può arrivare al massimo livello raggiungibile di salute solo se i diritti sessuali e riproduttivi di tutti sono pienamente riconosciuti e promossi e in quest’ottica, «riconosce che la salute e i diritti sessuali e riproduttivi costituiscono un elemento fondamentale della dignità umana di cui occorre tener conto nel contesto più ampio della discriminazione strutturale e delle disuguaglianze di genere». Uguaglianza di genere e lotta agli stereotipi sessuali.

Il documento presentato dalla parlamentare europea Estrela, in diversi punti, promuove esplicitamente la teoria di genere che nega la sessualità biologica, riducendo il sesso ad un dato meramente socio-culturale che ogni individuo è libero di potersi assegnare, dopo aver maturato, in maniera consapevole, la propria identità. In tale prospettiva viene ricordato «agli Stati membri il loro obbligo di garantire che i minori e i giovani possano avvalersi del loro diritto di richiedere, ricevere e impartire informazioni relative alla sessualità, anche per quanto riguarda l’orientamento sessuale, l’identità di genere e l’espressione di genere, in una maniera adeguata all’età e sensibile rispetto al genere».

Sempre in tale ottica, viene evidenziato come l’uguaglianza di genere debba essere raggiunta attraverso «la lotta contro gli stereotipi, i pregiudizi, tutte le forme di violenza di genere» facendo luce sulla discriminazione basata sul genere e sull’orientamento sessuale.

Aborto e contraccezione per tutti. In tema di aborto la risoluzione «chiede ai governi degli Stati membri e dei paesi candidati di mettere a punto una politica nazionale di alta qualità in materia di salute sessuale e riproduttiva», alta qualità che si traduce, concretamente, in attente politiche di pianificazione familiare. In tal senso viene espressa «preoccupazione per le restrizioni all’accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva e ai contraccettivi nei paesi in via di adesione» e si invitano i governi UE «ad adottare misure legislative e politiche che garantiscano l’accesso universale ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva».

Le donne devono essere assolute padrone delle loro gravidanze e in tal senso deve essere garantito loro «il diritto di decidere liberamente e responsabilmente il numero, il momento e l’intervallo tra le gravidanze, come prevedono le leggi internazionali sui diritti umani».

In materia di contraccezione il documento «esorta gli Stati membri a promuovere la ricerca scientifica sui metodi contraccettivi maschili e femminili, in modo da facilitare la condivisione dell’onere della responsabilità della contraccezione». Infine, la risoluzione mette in guardia, anche, riguardo possibili “ingerenze” religiose ricordando come tali diritti siano «diritti fondamentali di uomini e donne, che non dovrebbero subire restrizioni per motivi religiosi, per esempio concludendo concordati».

Lotta agli obiettori di coscienza. I fautori di tale documento dimostrano di essere pro-choice solamente quando la scelta è quella che dicono loro e in questo senso dichiarano guerra agli obiettori di coscienza, sottolineando come «l’aborto, anche quando è legale, è spesso evitato o prorogato da ostacoli che impediscono di accedere a servizi adeguati, come l’ampio ricorso all’obiezione di coscienza. Gli Stati membri sono, dunque, invitati a monitorare il ricorso all’obiezione di coscienza, in modo da assicurare che l’assistenza sanitaria in materia di salute riproduttiva sia garantita come diritto individuale».

Educazione sessuale completa e servizi su misura per gli adolescenti.  Nel campo dell’educazione il documento sottolinea l’importanza di un’ampia campagna di informazione su tali tematiche che preveda «la partecipazione dei giovani, in cooperazione con altri attori, quali genitori, all’elaborazione, all’attuazione e alla valutazione dei programmi» affermando come tale campagna informativa sia «essenziale per un’educazione sessuale globale ed efficace».

In tale prospettiva la risoluzione «invita gli Stati membri e i paesi candidati a ricorrere a vari metodi per raggiungere i giovani, quali campagne pubblicitarie, marketing sociale per l’uso dei preservativi e altri metodi contraccettivi, e iniziative quali linee verdi telefoniche confidenziali». Viene, quindi, sottolineata, l’importanza dell’insegnamento dell’educazione sessuale raccomandandosi che «sia obbligatorio per tutti gli alunni nelle scuole primarie e secondarie e che a questa materia sia dedicato sufficiente spazio nei programmi scolastici»» specificando, inoltre, come tale educazione debba farsi promotrice anche della cultura LGBTI prevedendo «la fornitura di informazioni non discriminatorie e la comunicazione di un’opinione positiva riguardo alle persone LGBTI, così da sostenere e tutelare efficacemente i diritti di giovani LGBTI». Come ciliegina finale il documento incoraggia la fecondazione assistita per single e lesbiche e in tale prospettiva, «esorta gli Stati membri a garantire l’accesso ai trattamenti per la fertilità e alla procreazione medica assistita anche per le donne senza un partner e le lesbiche».

È importante conoscere il contenuto della risoluzione respinta, per il momento, da Bruxelles, poiché essa, da un lato, smaschera il piano strategico globale del movimento omosessualista e dall’altro fornisce un quadro, tanto nitido quanto allarmante, delle odierne rivendicazioni dell’ ideologia distruttrice LGBTI. 
Lupo Glori

sabato 25 maggio 2013

La deriva anti-umana dell’Europa

Per le massime cariche istituzionali italiane, l’omofobia sarebbe un’emergenza tale da richiedere «vicinanza a quanti sono stati vittime di intollerabili aggressioni ‒ ha dichiarato il Presidente della Repubblica in occasione della Giornata contro l’omofobia dello scorso 17 maggio ‒ e a quanti subiscono episodi di discriminazione che hanno per oggetto il loro orientamento sessuale. Un pensiero particolare va a quei giovani che per questo hanno subìto odiosi atti di bullismo che, oltre ad aggravare le manifestazioni di discriminazione, alimentano pregiudizi e dannosi stereotipi». Dal canto suo, il Presidente del Senato si è detto «veramente e umanamente preoccupato per gli omofobi. In questa battaglia, fondamentale è l’informazione, la sensibilizzazione, l’educazione, rivolta in particolare ai più giovani, agli adolescenti: è, questa, una autentica priorità nel contrasto alle discriminazioni per motivi sessuali».

Insomma, sembra che in Italia si sia scatenata una guerra e che tutti diano la caccia all’omosessuale, che non può andare a scuola, non può lavorare, non può camminare per strada, non può andare al bar o in altro posto pubblico e via dicendo. È una mattanza, un vero e proprio genocidio. Mai un film che parli di omosessualità o una trasmissione televisiva  o una notizia del telegiornale che s’intrattenga sul tema. Proibite anche le feste colorate di lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali, che andavano sotto il nome di gay-pride. Eliminati nei Comuni gli uffici LGBTQI, come quello recentemente istituito a Bari dal Sindaco Emiliano, definito «dolcissimo omaggio alla famiglia tradizionale». Sono state richieste perfino le dimissioni di tutti i parlamentari e dei membri dei consigli di amministrazione di aziende pubbliche e private omosessuali.

È tutta una burla, naturalmente. La cultura omosessualista domina tutti i gangli della società italiana e propone l’esatto capovolgimento del diritto naturale, evitando accuratamente che s’insinui  il dubbio che il disordine sessuale e l’alterazione dell’identità meritino le cure mediche. Le potentissime lobby omosessuali, che hanno i loro aderenti e simpatizzanti all’interno di mondi impensabili, condizionano pesantemente l’azione di Governi e Parlamenti europei ed extra-europei. Il fine non è quello di riconoscere diritti che per le coppie dello stesso sesso già ci sono – come in Italia – ma è quello, subdolo, di scardinare l’istituto familiare formato da un uomo e una donna che intendano procreare. Si allinea a questa prospettiva la terza carica dello Stato, il presidente della Camera, Laura Boldrini: «Le persone omosessuali – ha dichiarato qualche giorno fa ‒ devono veder riconosciute giuridicamente le loro unioni anche in Italia, come avviene già in diciotto ‒ e, a breve, in diciannove ‒ Paesi dell’Unione europea. L’Europa ce lo chiede. L’Europa non ci chiede solo il pareggio di bilancio, ci chiede anche di riconoscere diritti».

L’Europa alla quale fa riferimento l’onorevole Boldrini è la stessa Europa nella quale si consuma un aborto ogni 25 secondi; dove i matrimoni tra persone di sesso opposto sono diminuiti del 30% negli ultimi vent’anni; dove la natalità e il tasso di crescita della popolazione sono garantiti solo dagli immigrati. È l’Europa che ha evitato di scrivere nella sua Costituzione i fondamenti cristiani della sua genesi; che incoraggia la distruzione degli embrioni umani al fine della sperimentazione scientifica. È un continente che ha perduto la sua anima cristiana, che vive di edonismo e di desiderio di libertà e che è il principale attore di quella deriva anti-umana che prelude alla sua fine, sul piano storico e politico. (Danilo Quinto)
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[Fonte: Corrispondenza Romana, 22 maggio 2013]

giovedì 18 aprile 2013

Card. Ratzinger 2001. Europa unita e nuovo ordine mondiale

Il discorso di Joseph Ratzinger al seminario Ambrosetti di Cernobbio (2001), ripescato da un sito ratzingeriano. Molto eloquente per individuare punti nodali del suo pensiero, trasposti nel suo Pontificato. Analisi lucida della realtà. Conclusioni improntate allo spirito conciliare. Si parla del nuovo ordine mondiale che, se non basato sulla dignità dell'uomo, diviene un'utopia dell'orrore. Ma fa della dignità dell'uomo un assoluto e nelle "radici" evocate manca la Redenzione operata da Cristo, mentre si basa sulla fedeltà al Dio Creatore. (cfr. alcune chiose essenziali).

Cosa è l'Europa? Cosa può e deve essere nel quadro complessivo della situazione storica, nella quale ci troviamo all'inizio del terzo millennio cristiano? Dopo la seconda guerra mondiale la ricerca di una identità comune e di una meta comune per l'Europa è entrata in una nuova fase.

Dopo le due guerre suicide, che nella prima metà del ventesimo secolo avevano devastato l'Europa e coinvolto il mondo intero, era divenuto chiaro, che tutti gli Stati europei erano perdenti in questo terribile dramma e che si doveva fare qualunque cosa per evitare la sua ulteriore ripetizione. L'Europa era sempre stata in passato un continente di contrasti, sconvolto da molteplici conflitti. Il secolo diciannovesimo aveva poi portato con sé la formazione degli Stati nazionali, i cui interessi contrastanti avevano dato una dimensione nuova alla contrapposizione distruttiva. L'opera di unificazione europea era determinata essenzialmente da due motivazioni.

Di fronte ai nazionalismi che dividevano e di fronte alle ideologie egemoniche, che avevano radicalizzato la contrapposizione nella Seconda guerra mondiale, la comune eredità culturale, morale e religiosa dell'Europa doveva plasmare la coscienza delle sue nazioni e dischiudere come identità comune di tutti i suoi popoli la via della pace, una via comune verso il futuro. Si cercava una identità europea, che non doveva dissolvere o negare le identità nazionali, ma unirle invece a un livello di unità più alto in una unica comunità di popoli.

martedì 12 marzo 2013

«CAMPANE D'EUROPA» UN VIAGGIO NELLA FEDE IN EUROPA

L'Europa ha ancora una missione?
Con un'intervista inedita a Benedetto XVI

“«Campane d’'Europa» è un documentario prodotto nel 2012 dal Centro Televisivo Vaticano, in collaborazione con Rai Cinema e Fondazione La Gregoriana, per la regia di Carlos M. Casas, a partire da un'’idea di Padre Germano Marani, S.I. (Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Gregoriana).”

Una cooperazione particolare si è stabilita con la Fondazione La Gregoriana e con la stessa Università attraverso l’intervista con il Rettore Magnifico, con la gentile concessione a riprendere il preziosissimo volume L’arca di Noé di Atanasius Kircher S.I. da parte della sua Biblioteca e la concessione di adibire al proprio interno gli uffici di coordinamento del CTV (Centro Televisivo Vaticano) e di co-produzione (RAI-Cinema).
Il film è stato proiettato al Sinodo dei Vescovi per la Nuova Evangelizzazione (15 ottobre 2012).

Si tratta di un documento di straordinaria profondità e di grande attualità che registra il pensiero di Benedetto XVI, raccolto con una lunga intervista originale nei suoi appartamenti, nel quale il Papa ora Emerito descrive le sue convinzioni sull’'identità europea.

Un'’idea che entra in dialogo con le riflessioni del patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill, del Patriarca ecumenico Bartolomeo I, del già arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, dell'’ex Presidente della federazione delle Chiese Evangeliche in Germania Huber. In un dialogo serrato con personalità europee della politica e della cultura, tra cui il Presidente Giorgio Napolitano.

Ne esce un affresco straordinariamente variegato in cui il denominatore comune è la comunione tra europei di ogni confessione e credo.
E ritorna l'interrogativo sul futuro dell'Europa, sulla sua missione, su ciò che essa ha ricevuto ed è chiamata a donare ancora oggi.

Guarda il film completo: http://goo.gl/KOdWK

domenica 10 marzo 2013

Benedetto XVI ha indicato al vecchio continente la strada per uscire dalla crisi

Un'Europa amata e messa in guardia
di Gianni Ambrosio*

«L'Europa sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia»: questo severo monito venne pronunciato da Benedetto XVI, in un discorso rivolto ai partecipanti al convegno organizzato dalla Commissione degli episcopati dell'Unione europea (Comece) in occasione dei festeggiamenti per i cinquant'anni dei Trattati di Roma (24 marzo 2007). L'immediato riferimento del Papa riguardava la crisi demografica del vecchio continente, ma il discorso, a partire da questo fatto emblematico, coinvolgeva i diversi aspetti dell'odierna vicenda europea. Queste parole evidenziano la preoccupazione per la crisi di civiltà del nostro continente: l'Europa, con l'indebolimento della sua identità culturale e religiosa, rischia di ridurre la persona a una sola dimensione, quella orizzontale. Come se la storia europea del secolo passato non insegnasse nulla agli europei di oggi, come se le tragiche esperienze non attestassero che l'uomo perde l'orientamento e compie passi disumani quando si chiude in se stesso e cancella Dio dal suo orizzonte.

Insieme alla preoccupazione per la sorte di un'Europa in cui cresce la tendenza a relegare Dio nella sfera privata e a considerarlo come irrilevante e superfluo, è sempre emersa la fiducia di Benedetto XVI nell'Europa. Anzi, egli «ha ridato speranza a un'Europa in crisi», ha affermato su «Avvenire» del 13 febbraio scorso Julia Kristeva, psicanalista francese. «Con Papa Benedetto XVI, si è aperta una nuova fase di buon augurio per l'avvenire dell'Europa e la pace nel mondo. E in queste ore di grande polarizzazione mediatica, penso che tutti siano sensibili al fatto che questo filosofo e quest'umanista è stato pure un grande politico. Il mondo rende oggi omaggio anche a un grande pacifista capace di accogliere la diversità planetaria». Non sono parole di circostanza, sono invece parole coraggiose e impegnative, espresse da un'autorevole rappresentante del pensiero laico europeo.

Sono diversi gli intellettuali europei che apprezzano il significativo impegno di Benedetto XVI per l'Europa. Ma occorre riconoscere che parecchi studiosi non hanno gradito il suo insegnamento. Anzi, proprio dagli ambienti della leadership culturale europea, è emerso il dileggio più o meno caustico. Se bisogna mettere in conto mentalità e concezioni che relativizzano qualsiasi proposta ideale e religiosa, non si può non essere sorpresi dall'arroganza del “nichilismo sorridente” che tutto risucchia nel flusso dell'immanenza. Alcuni intellettuali hanno spesso accolto, se non anche favorito e accentuato, gli attacchi dei media, pronti a creare il caso per la polemica e per la derisione, con referenze parziali e con titolazioni arbitrarie. Gli interventi di Benedetto XVI sono stati sottoposti a una vera e propria manipolazione, con un'ostilità quasi istintiva nei confronti del suo insegnamento. In molti -- anche questo deve essere purtroppo ricordato -- è spesso prevalso il pregiudizio anti-cattolico e anti-papale, soprattutto negli ambienti del nord Europa.

Forse, con il passar del tempo, il lascito di Benedetto XVI all'Europa, agli intellettuali europei, a tutti i cristiani di questo continente sarà riconosciuto come fondamentale. Quando la polemica lascerà il posto alla riflessione, ci sarà la possibilità di comprendere più a fondo la portata del pensiero di Joseph Ratzinger, intellettuale europeo che ha amato e ama il vecchio continente. Come teologo e come pontefice, ha offerto alla sua Europa il grande orizzonte in cui essa può pensare se stessa e precisare la sua identità per svolgere la sua missione oggi e domani. L'Europa, amata e messa in guardia, è stata invitata e sospinta ad accogliere la sfida culturale di questo momento storico.

Benedetto XVI ha manifestato fiducia negli europei, richiamandoli alla responsabilità che devono assumersi nel dibattito intorno alla definizione dell'Europa e alla sua forma politica rispetto sia alla sua storia sia alla storia dell'umanità di oggi. A più riprese il Papa ha richiamato questa responsabilità culturale e morale dell'Europa nel mondo: se essa abbandona la sua singolare concezione di persona umana, con la sua libertà, la sua ragione e la sua dignità, viene messa a rischio tutta la sua ricca tradizione culturale e spirituale. Forse Benedetto XVI non sarà l'ultimo papa europeo, come annunciato da Bernard Lecomte nel suo Benoît XVI, le dernier pape européen (2006). Certamente non è pensabile, come sottinteso, che l'Europa non abbia più nulla da dire al mondo. Anche le culle vuote potrebbero in parte riempirsi e la natalità risalire, con politiche familiari efficaci. Tuttavia la provocazione merita di essere accolta, nel senso che l'umanesimo europeo è in pericolo. Benedetto XVI lo ha evidenziato con sofferta chiarezza. In lui è sempre stata forte ed esigente la prospettiva di un senso unitario. Lo possiamo documentare in riferimento alla universitas, l'istituzione dell'università, così espressiva della grande tradizione culturale europea, forza attrattiva e autentica spinta propulsiva della nostra civiltà. Da intellettuale europeo dall'orizzonte ampio, capace di cogliere le domande e le sfide poste dalla modernità-postmodernità europea, Joseph Raztinger ha invitato gli intellettuali a non tradire -- il “tradimento dei chierici” -- la storia europea, a non chiudersi in un sapere regionale, ma a essere aperti alla pienezza, avvalendosi in modi diversi degli eventi storiografici, dei fenomeni letterari, delle invenzioni artistiche, delle riflessioni speculative, delle scoperte scientifiche: ogni aspetto del reale è sempre e comunque in gioco, così come sono sempre in gioco le idee di mondo, di uomo, di Dio. Egli ha passato molti anni nell'università, l'istituzione sorta precisamente dall'idea di una totalità conoscibile con una ragione aperta, capace di cercare la verità e di corrispondere a essa secondo coscienza. Come ha ricordato visitando le sedi universitarie del continente, l'università è nata dalla fiducia nella possibilità e nella capacità di leggere la realtà attraverso la convergenza, spesso tensionale, tra i diversi saperi, tra le discipline scientifiche e le discipline umanistiche. Ma prima dell'analisi delle parti, occorre riconoscere la pienezza e la totalità del mondo e il nesso tra le varie parti del tutto, in una visione globale in grado di accogliere le domande essenziali della vita e di trovare una risposta adeguata.

Benedetto XVI riconosce e apprezza il lungo e faticoso cammino di pacificazione e di unificazione compiuto dal dopoguerra a oggi. In poco più di mezzo secolo, l'Europa ha saputo voltare pagina: da una storia lacerata da conflitti a una storia riconciliata. Oggi le differenze nazionali non costituiscono più un problema. O meglio: le diversità non sono divisioni. Le nazioni restano, con la loro diversità culturale. Questo è un tesoro da condividere tra i popoli, fino a far nascere una grande sinfonia di culture. L'Europa, che ha inventato la forma dello Stato nazionale, con aspetti positivi ma anche con le guerre nazionalistiche, e poi l'ha esportata nel mondo, ora sta mostrando al mondo il parziale superamento di quella forma, avviandosi verso una modalità di convivenza e collaborazione che va oltre i confini statuali.

Ma su questo cammino decisamente positivo, incombe, minaccioso, il rischio dell'Europa contemporanea: la perdita di se stessa, della sua anima. Per Benedetto XVI la ragione astratta, anti-storica e anti-umana, ha preso il sopravvento, anche grazie al predominio tecnico: così la ragione astratta pretende di dominare le diverse culture fino a imporsi come l'unica cultura, emancipata da tutte le tradizioni e dai valori culturali. La visione razionalistica arriva a distruggere tutto ciò che è vivente e radicato nella situazione storica. Benedetto XVI ha evidenziato con lucido coraggio questa pesante minaccia in riferimento ai diversi contesti e ai diversi ambiti della vita. Per esempio, ha denunciato la martellante delegittimazione della famiglia da parte di una cultura totalmente auto-indulgente che ha trovato molti sponsor. La guerra intellettuale alla famiglia, presentata come fonte di oppressione, è iniziata da tempo ma si è accentuata soprattutto nell'ultima parte del XX secolo, dopo la “rivoluzione” del 1968: questa guerra conduce in modo emblematico alla demolizione progressiva dell'umanesimo europeo. Così avviene in altri ambiti, quando il desiderio si fa diritto e pretende di diventare legge, quando si arriva a perdere il senso del limite: ciò causa una condizione di disorientamento nella quale le appartenenze tradizionali s'indeboliscono, le scelte diventano continuamente precarie e revocabili, il senso della vita è consegnato al singolo e al dramma della libertà individuale. Questa egemonia della cultura positivista è all'origine della mancanza di dialogo all'interno della stessa Europa: oltre alle motivazioni socio-economiche, il crescente populismo può trovare qui una seria e preoccupante motivazione. Tanto più che il cammino della cultura astratta non incrocia le altre culture e rende impossibile il dialogo interculturale. È infatti un cammino dettato e animato da una ragione che pretende non solo di essersi liberata dalle tradizioni europee ma ritiene anche di dover fare altrettanto, in nome dell'emancipazione, con ogni altra tradizione culturale. Solo una ragione che ha -- e lo riconosce -- un'identità storica e morale, può parlare alle persone e far leva su condivisi valori umani. Merita di essere citato qui un passo del discorso al Parlamento federale di Berlino (22 settembre 2011): «Dove la ragione positivista si ritiene come la sola cultura sufficiente, relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di sottoculture, essa riduce l'uomo, anzi, minaccia la sua umanità. Lo dico proprio in vista dell'Europa, in cui vasti ambienti cercano di riconoscere solo il positivismo come cultura comune e come fondamento comune per la formazione del diritto, mentre tutte le altre convinzioni e gli altri valori della nostra cultura vengono ridotti allo stato di una sottocultura. Con ciò si pone l'Europa, di fronte alle altre culture del mondo, in una condizione di mancanza di cultura e vengono suscitate, al contempo, correnti estremiste e radicali. La ragione positivista, che si presenta in modo esclusivista e non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio».

La quaestio fidei è al cuore dell'insegnamento del teologo e del Papa Benedetto XVI. Tra le minacce che incombono sull'Europa, insieme alle culle vuote, all'invecchiamento, alla mancanza di una visione ampia e sapiente, alla scarsa solidarietà, spicca fra tutte quella dell'identità che si va perdendo e che il cristianesimo aveva «contribuito a forgiare», acquisendo un ruolo «non soltanto storico ma fondativo nei confronti dell'Europa». Ecco allora la domanda cruciale: «Questa singolare forma di apostasia da se stessa, prima ancora che da Dio -- si domanda Benedetto XVI -- non induce forse l'Europa a dubitare della sua stessa identità?». Se la visione religiosa è centrale per ogni cultura, se la relazione con Dio è essenziale per il cammino dell'umanità, l'Europa non può ignorare la questione della fede che coinvolge l'uomo e Dio. Se l'Europa dichiara irrilevante per la sua storia presente e futura l'apertura al trascendente, viene a perdere la possibilità di comprendere l'esperienza dell'uomo, di fornire una visione della vita su un fondamento antropologico, di apprezzare la verità e la dignità della persona umana. Si tratta di riguadagnare, anche a livello culturale, la fondamentale dimensione della fede: essa non è andata perduta, ma la sua evidenza è stata occultata. Allora diventa importante arrivare a comprendere che la fede non è una coloritura religiosa rispetto a una condizione umana autosufficiente, ma è il modo di essere umani. Più precisamente, nella fede in Gesù di Nazaret, nella luce di Cristo crocifisso e risorto, si svela una pienezza di senso senza confronti.
Ecco la sfida dell'Europa e per l'Europa, la sfida di pensare e di trasmettere una visione che mostri come la fede è capace di autentica umanizzazione e di apertura oltre il finito. Si tratta di aiutare a riscoprire la bellezza e il dinamismo della fede, di far valere la sua incessante attualità per la vita della persona e della società. Nell'omelia del 31 dicembre 2011, il Papa ha parlato di un nuovo umanesimo generato da una fede che apre la mente e il cuore dell'uomo: «La fede non come atto a sé, isolato, che interessa qualche momento della vita, ma come orientamento costante, anche delle scelte più semplici, che conduce all'unità profonda della persona rendendola giusta, operosa, benefica, buona. Si tratta di ravvivare una fede che fondi un nuovo umanesimo capace di generare cultura e impegno sociale».

Nonostante le molte difficoltà, la speranza di un cammino diverso dell'Europa -- anche da parte della leadership intellettuale -- è sempre presente in Benedetto XVI. La ragione di questa speranza risiede nel desiderio di Dio che è presente nel cuore dell'uomo. La ricerca di Dio è iscritta nell'anima umana e non scompare. Nella vita personale può capitare di dimenticare Dio, di metterlo da parte, così come capita nella vita collettiva. Ma Dio non scompare. Sant'Agostino, il grande maestro a cui spesso Benedetto XVI si è richiamato, ha affermato che il cuore umano è inquieto fino a quando non trova Dio. Per Benedetto XVI questa inquietudine è viva, ben presente anche oggi, anche negli uomini del vecchio continente. Essa può essere l'inizio di un cammino verso Dio, perché l'uomo non si accontenta di ciò che è finito, di ciò che è piccolo: l'uomo, anche l'uomo europeo, non vuole sprofondare nel vuoto, ma vuole dare senso al proprio impegno, alla fatica e al dolore. L'anima cristiana dell'Europa permane nelle sue radici e anche nei suoi frutti, perché l'Europa si è costruita sui grandi valori e sulle grandi intuizioni del cristianesimo. La Chiesa che è in Europa è chiamata a testimoniare che la verità del Vangelo di Gesù Cristo non invecchia e non si logora ma risponde, nella sua sempre sorprendente novità, alle attese dell'uomo, della sua ragione, della sua umanità. L'Europa può passare da una secolarizzazione che svilisce l'umano a una laicità aperta, capace di dialogo con tutte le espressioni culturali, pronta a riconoscere che la fede in Dio non limita la vita, ma la rende pienamente umana. In questo orizzonte aperto e con la speranza che Benedetto XVI ha dato a un'Europa in grave crisi, il cammino europeo può trovare la luce di cui ha bisogno per il suo destino e per la sua vocazione nel mondo.

*Vescovo di Piacenza-Bobbio vicepresidente della Comece
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(©L'Osservatore Romano 9 marzo 2013)

venerdì 8 febbraio 2013

Quid opus est gentibus Europae? Paucis sed optimis hominibus

Agostino - Ars docendi
Pubblico il testo più recente della rubrica in latino curata ogni martedì su “Avvenire” da p. Roberto Spataro osb, primo segretario della neocostituita Pontificia Academia Latinitatis, col Motu proprio Latina Lingua del 10 novembre 2012.
Il giovane salesiano infatti ogni martedì affronta nella lingua dei padri temi di attualità e non. Il suo stile è semplice (come lo è sempre stato quello del latino ecclesiastico), agevole anche per i non studiosi di professione, e aiuta a veicolare il messaggio, che risulta quindi di facile comprensione.
Di seguito un'interessante intervista che riprendo dal Blog Messa in Latino

Acerbissimas difficultates nostris temporibus Europaeas gentes pati liquide patet. Res oeconomicae funditus excutiuntur, civiles institutiones minus aptae esse videntur, insignis cultus humanitatis qui quodam tempore magnam fecit Europam oblivione obruitur, magistratus modo strepitantes modo tacentes quid agendum sit semper ambiguunt. Quo in discrimine versantes homines, magnis curis vexati, taetro afficiuntur angore.

Nihilominus spes fore ut res in melius vertant ab animis eripi nec potest nec debet quoadusque viri mulieres sint, quamquam perpauci, qui operam suam iugiter navent ut, quisque in sua provincia actionis, novam rationem aedificandae societatis ordinent atque redigant. Sunt pauci sed optimi homines quibus cordi est libertatem componendam esse cum veritate.
Qui inspirati a variis vel religiosis vel culturalibus opinionibus ad inviolabilem humanam dignitatem tuendam ad aequam iustitiam faciendam ad firmam pacem potiendam operantur.
Utinam stabile foedus sanciatur inter eiusmodi homines! Qui enim idonei habentur ad illum inaestimabilem thesaurum rursum accipiendum quem populi Europaei saeculis exactis auxerunt addiderunt cumulaverunt coniungentes concinne triplicem hereditatem receptam a Graecorum philosophia, a Christianorum praeceptis, a Romanorum iure. Quae autem hereditas accommodanda est nostrae aetatis adiunctis et postulationibus.

Hoc igitur nobis exoptandum est ut hae “minoritates creativae” quodammodo renovent opus quod praeclari homines patrarunt post atrocissimum alterum bellum saeculo elapso toto orbe terrarum confectum. Qui, maceriis materialibus moralibus iam tunc congestis, inter gentes Europaeas tam novum pepigerunt foedus ut Europam unitam condiderint, moti tantum nobilissimis rebus propositis quae procul dubio nunc restauranda esse videntur.

Ideoque Europae nostrae aetatis opus est quoque, quin potissimum, viris mulieribus qui, sua vitae  sanctitate, in animis spem reducant.
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Sursum corda, il latino torna in vita
di Roberto Carnero, da Famiglia Cristiana del 07.12.2012

Per non disperdere il ricco patrimonio teologico e culturale che nella storia si è espresso nella lingua di Cicerone, il Papa ha istituito la Pontificia Accademia di Latinità.
Don Roberto Spataro: «Nessun contrasto con il Vaticano II»

Don Roberto Spataro, salesiano, insegna Letteratura cristiana antica greca presso la Facoltà di Lettere cristiane e classiche dell’Università Pontificia Salesiana. È stato nominato segretario dell’Accademia Pontificia “Latinitatis”. Ogni settimana scrive in latino di argomenti di attualità per i lettori del quotidiano “Avvenire”.

- Professor Spataro, da dove nasce l’idea, da parte del Santo Padre, di istituire una Pontificia Accademia di Latinità? E con quali obiettivi?
“Anzitutto, promuovere la conoscenza della lingua latina all’interno della Chiesa, soprattutto tra i sacerdoti, perché siano in grado di accedere alle fonti della teologia, della liturgia, del diritto, dell’agiografia, in una sola parola a quel ricchissimo patrimonio di fede e di scienza che è stato espresso in latino. In secondo luogo, il Papa auspica il recupero dell’humanitas, quell’armonioso concerto di valori etici e spirituali elaborato nei secoli, dal mondo antico fino all’epoca umanistica, frutto della ragione e della fede in dialogo tra loro, che storicamente è stato forgiato e comunicato in latino”.

- Come possiamo spiegare che la promozione del recupero del latino nella vita ecclesiale non è in contrasto con il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II?
“La riforma liturgica non ha voluto abolire il latino: lo afferma la costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium. Pensiamo alla nobiltà del canto gregoriano che rende la liturgia carica di bellezza nell’elevare l’anima a Dio. La lettera Redemptionis Sacramentum auspica che nelle liturgie internazionali fedeli e sacerdoti possano usare per le parti ordinarie della Messa una lingua comune, il latino”.

- Parlando più in generale del latino oggi, in quali Paesi del mondo lo studio della lingua di Cicerone è più diffuso?
“In Cina è attivissima un’organizzazione interuniversitaria, Latinitas sinica. Segnali interessanti vengono dagli Stati Uniti. In Germania sono numerosi i giovani che scelgono lo studio del latino”.

- Che cosa c’è di insostituibile nello studio del latino, rispetto a quello di una lingua moderna?
“Il latino, non essendo soggetto ai mutamenti di una lingua moderna, può esprimere il pensiero in quegli ambiti della comunicazione dove non si ammettono ambiguità, per esempio la teologia dogmatica. Il latino è una lingua sobria che generalmente usa un numero minore di parole rispetto alle lingue moderne e così semplifica i processi interpretativi. È una lingua sovranazionale che non veicola la cultura nazionale di un particolare idioma. In tal senso, è una lingua più democratica. Infine, direi che il latino è una lingua bella: come non ammirare il periodare di Seneca che ci invita a meditare con le sue frasi brevi ed incalzanti o lo scavo psicologico di Agostino operato dalle figure retoriche? E che cosa dire della poesia latina, un canto che in versi metricamente sonori narra i miti che racchiudono i significati dell’esistenza umana?”.

- E in Italia secondo lei lo studio del latino è sufficientemente promosso?
“L’Italia è, per ragioni geografiche e storiche, la patria del latino. Ancora oggi, eccellenti studiosi, pregevoli istituzioni, pubblicazioni di elevato livello corrispondono a questa vocazione dell’Italia. Il liceo classico italiano ha ancora un impianto umanistico di tutto rispetto. Auspicherei, però, una maggiore diffusione del cosiddetto ‘metodo-natura’ nelle scuole italiane, che, se praticato con serietà, dà ottimi risultati: gli studenti apprendono il latino in modo da leggere con gusto, senza l’affanno del vocabolario, gli autori latini per coglierne il messaggio in lingua originale, senza ricorrere alle traduzioni altrui. In questo senso, l’esperienza dell’Accademia Vivarium Novum a Roma è esemplare”.

- Ultima domanda: lei scrive ogni settimana in latino per i lettori di “Avvenire”. Qual è lo scopo della sua rubrica?
“Il latino è una lingua in cui si può scrivere per comunicare delle riflessioni sulla vita. Infatti, la letteratura neolatina ha prodotto capolavori fino al secolo scorso, basti pensare a Pascoli. Anche oggi non mancano coloro che scrivono e parlano in latino, anche alla radio. I lettori hanno manifestato benevolo apprezzamento per l’iniziativa”.

giovedì 24 gennaio 2013

Aberrante! L'Unione europea finanzia moschee della parte Nord di Cipro, un paese membro, che ha sofferto e continua a soffrire dell'occupazione turca!

Leggo e riporto - tradotta - dal blog L'Observatoire de la Christianophobie, la notizia che introduco col video che segue, ponendomi la domanda: in cosa consiste  e su cosa si fonda la cosiddetta Unione europea?



Bisogna reagire a ciò, perché è il colmo dell'aberrazione. Come può l'Unione Europea finanziare il restauro di moschee sotto amministrazione turca in un paese membro: la Repubblica di Cipro, una parte del cui territorio è occupata illegalmente dai Turchi ! Ecco l'informazione del 14 gennaio sul blog di Lionel Baland che lo ha rivelato...
« Il deputato europeo del Vlaams Belang [Interesse Fiammingo: è un partito politico della Comunità fiamminga del Belgio] Philip Claeys ha scoperto che l'Unione Europea finanzierà moschee turche situate nel Nord di Cipro, occupato dalla Turchia.

Nel 1974, l’armata turca ha invaso Cipro e occupato il Nord dell'isola. I Greci ne sono stati cacciati, assassinati in migliaia. Centinaia di Chiese Greche ortodosse e di monasteri sono stati distrutti dai turchi, saccheggiati, incendiati e quindi abbandonati [ Vedi ]

Dal 2004, Cipro è membro dell'Unione europea ma la Turchia prosegue l'occupazione del Nord. I turchi rifiutano di provvedere ai resti delle Chiese ortodosse situate nella loro zona.

Dopo una lunga opposizione dei turchi la Commissione europea ha ora deciso di stabilire una lista di 11 monumenti prioritari in seno alle due comunità che devono ricevere finanziamenti. I turchi, come provocazione, ha piazzato sulla lista quattro moschee. Nessun problema per l'Unione europea : essa s'impegna a versare 4 milioni di euro e altro denaro in più seguirà.

Philip Claeys dichiara : « L’Unione europea risarcisce agli occupanti costruzioni che sono il simbolo dell'occupazione. Non desta meraviglia che l’Unione europea non sia presa sul serio in alcuna parte del mondo ». [Fine citazione dell'Observatoire]

In Francia hanno reagito predisponendo questo appello, che traduco come traccia utile perché ognuno di noi può farsi portavoce presso il nostro Ministro degli esteri come privato cittadino senza bisogno di mettersi sotto una bandiera qualunque. Inutile pensare ad un intervento della Chiesa-dialogante con tutti (tranne che con la sua Tradizione)... D'altronde è anche giusto intervenire come cittadini, prima ancora che come cristiani. E come cristiani - oltre che come cittadini europei - siamo comunque coinvolti, anche se le Chiese e i monasteri distrutti erano quasi tutti ortodossi. Spero che anche in un governo dimissionario ci sia spazio per occuparsi di una cosa del genere.

No al finanziamento Europeo di Moschee a Cipro 
All’attenzione di Giulio Terzi di Sant'Agata, ministro degli Affari esteri

Signor Ministro,
Ho letto con stupore che l’Unione europea si appresterebbe a finanziare moschee nella parte occupata dell'isola di Cipro.
Desidererei sapere se quest'informazione è degna di fede.
In caso affermativo, desidererei sapere se Ella intende opporsi a questa scandalosa decisione.
È già iniquo che l'Unione europea continui a negoziare con la Turchia che occupa illegalmente, da ben quarant'anni, un paese membro.
È ancor più mostruoso che i saccheggi commessi all'occupante turco nelle chiese cipriote siano pagati dal contribuente europeo.
Ma il finanziamento con contributi europei di moschee, simbolo dell'occupazione turca di Cipro, costituirebbe un grado estremo nello scandalo per il quale non trovo parole.
Confidando nella sua buona volontà di far rispettare il diritto internazionale e la sovranità di Cipro, le invio distinti saluti.

sabato 19 gennaio 2013

Non più schiavi ma uomini e donne

Un giorno, raccontava Chesterton, “un ateo molto leale con cui mi trovai a discutere fece uso di questa espressione: ‘Gli uomini sono stati tenuti in schiavitù per paura dell’inferno’. Gli ho fatto osservare che se avesse detto che gli uomini erano stati affrancati dalla schiavitù per paura dell’inferno, avrebbe almeno fatto riferimento a un inoppugnabile fatto storico”(1).

In effetti la sparizione della schiavitù – una delle più clamorose e stupefacenti rivoluzioni, conseguenti al cristianesimo (un evento unico in quanto la schiavitù esisteva da sempre, tanto da essere addirittura ritenuta naturale, un “diritto”) – ha avuto un motivo esclusivamente spirituale (2).

Non c’è affatto una ideologia sociale o politica all’origine di questo sconvolgimento, ma un uomo: Gesù.

Il fatto che fin da Paolo sia stata proclamata la totale uguaglianza – in forza di Cristo – di ebrei e pagani, uomini e donne, schiavi e liberi e il fatto che, nel momento delle grandi conquiste e dell’apogeo del papato, il Successore di Pietro, l’amico di Gesù, abbia proclamato davanti al mondo, contro tutti gli appetiti delle potenze politiche ed economiche planetarie, che “Indios veros homines esse” (3), è una “rivoluzione”, un capovolgimento di mentalità che non si spiega certo con l’eredità della cultura classica (teorizzavano lo schiavismo sia i filosofi greci che il diritto romano), né era patrimonio della tradizione ebraica, tanto meno apparteneva alla cultura islamica.

Non era neanche – come qualcuno potrebbe credere – l’esito di un progresso civile, di un’evoluzione storica neutrale, perché – anzi – di lì a poco, con la frattura protestante, l’avvento della cultura laica, illuminista e l’indebolirsi della Chiesa, tornerà a dominare proprio l’ideologia schiavistica della diseguaglianza degli esseri umani. Addirittura giustificata con teorie scientifiche (4).

Dunque quella rottura storica, che andava contro le cosiddette “leggi di natura”, cioè le leggi del dominio, era tutta e solo dovuta all’irrompere di Gesù nella storia.

Era dovuta al suo fare scudo agli uomini indifesi col suo stesso corpo, al suo mettersi al posto di tutte le vittime e di tutti i sofferenti, al suo espiare per ciascun uomo, perfino per i colpevoli. Nessuno uomo poteva più essere vulnerato, nel corpo o nell’anima.

Come notava Léon Bloy: “Gesù sta al centro di tutto, assume tutto e si fa carico di tutto, tutto soffre. E’ impossibile colpire oggi un qualunque essere senza colpire lui, è impossibile umiliare qualcuno o annientarlo, senza umiliare lui, maledire o assassinare uno qualsiasi, senza maledire o uccidere lui” (5).

C’è voluto un grande filosofo come René Girard per far capire la colossale rivoluzione portata nella storia umana dal racconto evangelico della vita e della morte di Gesù (6).

Così cambiò tutto. Nulla fu più come prima. Anche se ci vollero secoli. Kant era convinto che “il Vangelo fosse la fonte da cui è scaturita la nostra cultura”, tutto ciò che noi chiamiamo “la civiltà”.

Se Gesù non fosse nato, se non fosse stato fra noi – per fare qualche esempio – non ci sarebbero stati né l’Europa moderna (con tutto quello che ha dato al mondo, europeizzandolo), né più il ricordo e le opere dell’antichità greca e romana che furono custodite e tramandate dai monaci.

Non ci sarebbe stata neanche la moderna economia (7), col suo inedito benessere perché sempre i monaci – seguendo Gesù lavoratore – nobilitarono il lavoro manuale, un tempo ritenuto prerogativa degli schiavi, al livello divino della preghiera, e trasformarono l’Europa devastata dalle invasioni barbariche e coperta di foreste selvagge e acquitrini, in un giardino fertile e rigoglioso.

Come ebbe a dire Henry Goodel “i  monaci benedettini lungo un arco di 1500 anni salvarono l’agricoltura”. Quindi la sopravvivenza stessa dei popoli e il loro futuro.

Un altro studioso aggiunse: “Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di gran parte dell’Europa” (8), con tutto ciò che comportò in termini di alimentazione, benessere, esplosione demografica. “Educatori economici”, li definì lo storico Henri Pirenne.

L’abolizione della schiavitù (9) portò all’invenzione (sostitutiva) di macchine per sfruttare l’energia idraulica che “i monaci usavano per battere il frumento, setacciare la farina, follare i panni e per la conciatura” (10).

Così, questa messa al bando della logica dei “sacrifici umani” (a cui apparteneva lo schiavismo), non solo non fece decadere la società, come riteneva Nietzsche, ma fece fare un balzo avanti nella tecnologia che produsse vantaggi straordinari e immensi progressi.

I monaci insegnarono ai contadini a dissodare, bonificare, coltivare e irrigare e l’Europa divenne fertile. I monaci introdussero l’allevamento del bestiame e dei cavalli, “la fabbricazione della birra, l’apicoltura, la frutticoltura. Dovettero ai monaci la propria esistenza il commercio del grano in Svezia, la fabbricazione del formaggio a Parma, i vivai di salmone in Irlanda” (11) e tante altre cose.

Citiamo – per fare un altro esempio – la produzione del vino e “la stessa scoperta dello champagne che si può far risalire a un monaco benedettino, Dom Perignon, dell’Abbazia di Saint Pierre a Hautvillers sulla Marna” (12).

Sottolineo in particolare il vino perché è evidente la nobilitazione che ne fece Gesù il quale lo scelse, insieme al pane, addirittura per il sacramento della sua presenza misteriosa e quindi per la memoria di lui e del suo sacrificio.

Grazie a questa fiorente agricoltura rifondata dai monaci l’Europa superò la sussistenza e fiorì il suo successivo progresso che umanizzò il mondo.

Perfino la celebre bellezza del paesaggio italiano – specialmente della campagna umbra e toscana – porta il segno vivo del cattolicesimo che – secondo Franco Rodano – ha plasmato la “millenaria capacità contadina (conservata dalla Controriforma) di vivere il lavoro non solo come duro travaglio disseminato di ‘spine e triboli’, ma anche come accurata e paziente ricerca, al tempo stesso, del necessario e del bello” (13).

Tutta questa fioritura di una civiltà non era stata perseguita dai monaci. Loro cercavano solo il regno di Dio, il resto – secondo la promessa di Gesù – fu dato in sovrappiù. Fu il frutto di una liberazione dell’umano.

I monaci non avevano un progetto sociale, politico o culturale. Il loro pensiero quotidiano era alla Gerusalemme celeste, quella che rappresentavano come l’incontro definitivo con Gesù.

Ecco le travolgenti parole di un autore monastico del XII secolo:

“Egli è il bellissimo d’aspetto, il desiderabile a vedersi, colui che gli angeli desiderano contemplare. Egli è il re pacifico, il cui volto tutta la terra desidera. Egli è la propiziazione dei penitenti, l’amico dei miseri, il consolatore degli afflitti, il custode dei piccoli, il maestro dei semplici, la guida dei pellegrini, il redentore dei morti, forte ausilio di chi combatte, pio remuneratore di chi vince.

Egli è l’altare d’oro nel Santo dei Santi, dolce riposo dei figli, visione di gioia per gli angeli (…). Che gli renderemo per tutto ciò che ci ha donato? Quando saremo liberati dal corpo di questa morte? Quando saremo inebriati dall’abbondanza della casa di Dio nella sua luce vedendo la luce? Quando apparirà Cristo, vita nostra, e noi con Lui nella gloria?” (14).

Ecco cos’avevano nel cuore e nella mente questi uomini forti e temerari mentre – in fraternità, umiltà e obbedienza – salvavano la bellezza dalla barbarie, l’umanità dalla bestialità, mentre trascrivevano codici, dissodavano campi, dipingevano miniature, sanavano paludi, costruivano abbazie, inventavano sistemi di irrigazione e coltivazione e cantavano a ogni ora le lodi di Dio, dagli abissi delle foreste alle pendici delle montagne.

Mi sono soffermato su particolari di vita quotidiana per sottolineare quante piccole, innumerevoli conseguenze – senza che ne abbiamo coscienza – ebbe la vita di Gesù. Ma bisognerebbe menzionare anche cose e istituzioni più importanti.

Non ci sarebbero state né scuole, né università, né ospedali (15), con tutta una serie di grandi opere di carità (16), né la scienza moderna e la tecnologia che conosciamo, senza i monaci che vivevano nella meditazione della vita di Gesù (17). E nemmeno la musica.

E’ facile provare storicamente che queste istituzioni, nate nel medioevo cristiano (insieme alle Cattedrali e all’arte occidentale), sarebbero state del tutto inconcepibili senza la storia cristiana.

Se Gesù non fosse venuto fra noi non sarebbe stato possibile conoscere neanche l’amore come oggi lo conosciamo, cioè la felicità terrena fra un uomo e una donna innamorati che formano una famiglia, generano figli e si sostengono per la vita, facendo crescere la loro comunità e il loro popolo.

E’ quanto mostra Denis De Rougement nella sua memorabile opera “L’amore e l’Occidente”.

Prima di Gesù all’uomo di presentava solo la disperata alternativa fra i contratti matrimoniali, dove non era previsto l’amore (e dove la donna era proprietà del marito (18)), e l’ “amour passion”, il mito della fusione e dell’estasi, sempre inappagata. Era l’uomo condannato all’infelicità nel suo desiderio di infinito.

“L’incarnazione del Verbo nel mondo” scrive De Rougement “è questo l’inaudito evento che ci libera dall’infelicità di vivere” (19).

I  popoli cristianizzati scoprono, grazie all’insegnamento della Chiesa e alla testimonianza dei santi, l’amore monogamico e indissolubile di cui parla Gesù.

Prende inizio quella nuova storia dell’amore, finalmente felice, che si chiama famiglia: “Amare diviene allora un’azione positiva, un’azione di trasformazione”.

Gesù comandò addirittura “Amate i vostri nemici”. Dentro questa misura divina e infinita, chiese “l’abbandono dell’egoismo, dell’io fatto di desiderio e d’angoscia; la morte dell’uomo isolato, ma altresì la nascita del prossimo. A coloro che gli domandano ironicamente ‘chi è il mio prossimo?’ Gesù risponde: è l’uomo che ha bisogno di te. Tutti i rapporti umani, da quell’istante, mutano di senso. Il nuovo simbolo dell’Amore non è più la passione infinita dell’anima in cerca di luce, ma è il matrimonio di Cristo e della Chiesa. Lo stesso amore umano ne viene trasformato (…). Un amore siffatto, essendo concepito sull’immagine dell’amore di Cristo per la sua Chiesa (Ef. 5, 25), può essere veramente reciproco. Perché egli ama l’altro com’è, anziché amare l’idea dell’amore o la sua vampa mortale e deliziosa. Inoltre è un amore felice, malgrado gli impacci del peccato, in quanto conosce fin da quaggiù, nell’obbedienza, la pienezza del suo ordine” (20).

Gesù fa scoprire l’ “agapé”, l’amore che riconosce un “tu” prima di affermare il proprio desiderio. L’amore che ama l’altro (accettandone i limiti) e non l’idea dell’altro. L’amore che perdona e che sostiene.

E dunque adesso Tristano può finalmente sposare la sua Isotta, smettendola di farne il “simbolo del Desiderio” (sempre inappagato e smanioso di morte). La sposi e viva, sperimenti con lei la felicità e la fatica dei giorni, generi dei figli e costruisca la dimora degli uomini, scoprendo il vero eroismo che è quello della vita quotidiana, quello – come diceva Charles Péguy – del misconosciuto “padre di famiglia” e della madre.

Un amore che “crea” e fa crescere, non distrugge nel possesso, un amore che permane fedelmente e quindi costruisce nel tempo. Un amore che protegge, che aiuta e che sostiene è – per dirla con Chesterton – “la più straordinaria delle trasgressioni e la più romantica delle rivolte” (21).

E’ anche la base della civiltà, questo delicato e fragilissimo ponticello di umanità che sta sospeso sull’abisso dell’istinto selvaggio. E anche la base di ogni Stato concepito come casa di un popolo.

Del resto senza Gesù non avremmo mai avuto neanche lo Stato laico, perché – come ha dimostrato Joseph Ratzinger in un memorabile discorso alla Sorbona – è Gesù che ha desacralizzato il potere, il quale da sempre aveva usato le religioni per assolutizzare se stesso. Dopo Gesù, Cesare non si può più sovrapporre a Dio, non può avere più un potere assoluto sulle persone e le cose. Con Gesù inizia veramente la storia della libertà umana.
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Da Antonio Socci, “Indagine su Gesù”, Rizzoli

NOTE
1) Gilbert K. Chesterton, San Francesco d’Assisi, Lindau 2008, p. 31
2) Ecco la situazione di Roma, patria del diritto, all’arrivo del cristianesimo descritta da Gustave Bardy: “All’ultimo posto della società e, almeno in alcuni casi, più vicini agli animali che all’uomo, ci sono gli schiavi. Essi non sono persone, ma cose, beni di proprietà che si acquistano e vendono, che si utilizzano a discrezione e da cui ci si separa una volta che si cessa di averne bisogno. La pratica potrà essere di benevolenza, ma, fino agli Antonimi, la teoria resta quella: la legge non riconosce  agli schiavi alcun diritto civile o religioso. Così come lo schiavo non è autorizzato a fondare una famiglia, altrettanto è impedito dall’accedere ai culti nazionali”, in La conversione al cristianesimo nei primi secoli, Jaca Book 2002, pp. 19-20
3) Dopo la scoperta dell’America si pose di nuovo il problema della schiavitù e il 2 giugno 1537 papa Paolo II emana la memorabile Bolla “Sublimis Deus” (o anche “Veritatis Ipsa”) con la quale spazza via tutti gli appetiti schiavistici sulle popolazioni del Nuovo Mondo, proclamando che “Indios veros homines esse”. Per renderli schiavi e razziare i loro beni, si adduceva l’idea che fossero dei selvaggi, non veri esseri umani, e si portava come prova il fatto che non avevano la fede cristiana. Il Papa risponde definendo i portatori di questi potenti interessi addirittura “manutengoli di Satana, desiderosi di soddisfare la loro avidità, a costringere gli indios occidentali e meridionali e altri popoli, che ci sono venuti a conoscenza in questi ultimi tempi, a servirli come fossero animali bruti, sotto il pretesto che non hanno la fede. Noi che, seppure indegnamente, facciamo le veci dello stesso nostro Signore in terra e che cerchiamo con ogni sforzo di portare allo stesso ovile le pecore del suo gregge a noi affidate che sono fuori di questo ovile, vedendo che gli stessi indios, in quanto veri uomini, non solo sono capaci di ricevere la fede cristiana, ma come ci è stato riferito, accorono con entusiasmo ad accettarla, abbiamo deciso di prendere dei provvedimenti adeguati. Con l’autorità apostolica e attraverso questo documento stabiliamo e dichiariamo che i predetti indios, e tutti gli altri popoli che in futuro verranno scoperti dai cristiani, anche se non sono cristiani, non si possono privare della libertà e del dominio della loro proprietà, e che è lecito ad essi godere della loro libertà e dei loro beni e acquisirne, né che si debbono ridurre in schiavitù. Se qualche cosa sarà stata fatta in contrario la dichiariamo nulla e invalida alla detta fede di Cristo”.
Certo, nel corso dei secoli le turpitudini si continueranno a perpetrare e anche uomini di Chiesa assumeranno atteggiamenti e formuleranno posizioni contrapposte a questo pronunciamento solenne del magistero, tuttavia sempre questo sarà fatto in contrapposizione all’insgenamento del Vangelo e sotto il giudizio di condanna.
4) Vedi Leon Poliakov Il mito ariano, Editori Riuniti 1999
5) Cit. in Descalzo, cit., pp. 25-26
6) “I Vangeli si riveleranno da sé come potenza universale di rivelazione”, scrive Girard. Demitizzano e distruggono i meccanismi della persecuzione e della colpevolizzazione della vittima. Girard ha mostrato come tutte le civiltà precristiane si fondavano sul rito sacrificale del capro espiatorio e sulla pratica cultuale o culturale dei “sacrifici umani” (letteralmente, nelle religioni pagane, e come meccanismo sociale e politico per esempio nello schiavismo o nella pratica della guerra). Tutto questo è stato spazzato via e “che lo si sappia o no, responsabili di questo crollo sono i Vangeli”, René Girard, Il capro espiatorio, Adelphi 1999, pp. 164-165
7) Thomas Woods, Comela Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale, Cantagalli 2007, p. 14, p. 75 e ssgg e p. 161
8) Idem, pp. 36-37
9) Rodney Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, pp. 51-62.
10) Woods, op. cit. p. 41
11) Idem, p. 39
12) Idem, p. 40
13) Franco Rodano, Lettere dalla Valnerina. Questa intuizione è ripresa e valorizzata dal filosofo marxista Mario Tronti nel saggio su “Rivista Trimestrale” n. 3-4/87.
14) Jean Leclercq, Cultura umanistica e desiderio di Dio, Sansoni 1983, p. 77
15) Come ha spiegato René Girard anticamente si conosceva la solidarietà familiare, di tribù, di etnia, di connazionalità, ma che dovesse essere soccorso il sofferente in quanto “uomo”, anche se straniero e sconosciuto, è una rivoluzione morale e culturale portata dal cristianesimo. Scrive lo storico della medicina Adalberto Pazzini: “Frattanto una nuova forse morale e spirituale andava conquistando gli animi e, attraverso le persecuzioni ed il martirio, dilagava nel mondo: il Cristianesimo. A prescindere dal suo valore di Rivelazione e da quanto concerne il lato puramente religioso, a noi interessa qui puntualizzare il concetto di carità e di amor del prossimo che emerse dalla Predicazione evangelica, riservandoci di tornare sull’argomento più diffusamente, allorché inizieremo lo studio del medioevo. Qui… cade l’opportunità di ricordare che, ancora nelle ambasce create dalle persecuzioni, il Cristianesimo mise in atto quel che può essere definito il maggior comandamento ‘sociale’ della nuova religione, e cioè la carità e l’amor del prossimo, concetti assai vaghi (se pur esistevano) per l’innanzi. Questo amor di prossimo, giusta la parabola evangelica detta del ‘Buon Samaritano’, si esplicò in una organizzazione che la primitiva Ecclesia istituì in favore dei sofferenti e, principalmente, degli ammalati. Ad essa conseguente è il concetto di ‘ospedale’ come luogo in cui, per solo e unico spirito di carità, si ospitavano e si curavano i malati cui mancasse ogni possibilità di risorsa. Xenodochi furono chiamati questi ospizi, parola la cui etimologia significa ‘ricovero per stranieri’ (pellegrini), ma che assunse, poi, significato vero e proprio di ospedale. Pie persone e Santi si resero esecutori del comandamento evangelico, quando ancora infierivano le persecuzioni. Secondo la tradizione, il Papa s. Cleto, nell’anno 80, trasformò la propria casa in ospizio, e ugualmente avrebbe fatto s. Agnese al principio del IV secolo, nella sua casa sulla Nomentana”, Adalberto Pazzini, Storia dell’arte sanitaria dalle origini a oggi, Edizioni Minerva Medica, Torino 1973, pp. 370-372. Woods aggiunge: “Già nel IV secolola Chiesa iniziò a promuovere la creazine di ospedali su larga scala, al punto che quasi ogni città principale si trovò ad averne uno” (op. cit. p. 184).
16) Tutto nasce in modo spontaneo, non da progetti sociali o politici, ma solo dalla carità, dal comandamento di Gesù di amare il prossimo come se stessi e di amare perfino i nemici. Fin dagli inizi questa novità fu – anche da l punto di vista sociale – un ciclone imprevisto. Rodney Stark, nel volume “The Rise of Christianity” (HarperCollins 1997) dimostra che uno dei fattori decisivi della diffusione del cristianesimo nei primi anni fu quell’inedito prendersi cura di poveri, senzatetto, vecchi, malati, abbandonati, vedove, orfani. Da sempre costoro avevano dovuto affrontare da soli la crudeltà del mondo e le prove dell’esistenza, ma “quando irruppe il cristianesimo la sua superiore capacità di affrontare questi problemi cronici diventò presto evidente e giocò un grande ruolo nel suo definitivo trionfo” (p. 162).
17) Nota Gimpel che “il Medioevo introdusse in Europa le macchine in una misura fino ad allora sconosciuta anche ad altre civiltà”. E furono i monaci, come spiega un altro storico, “gli esperti e non pagati consiglieri tecnici del terzo mondo del loro tempo, vale a dire l’Europa, dopo l’invasione dei barbari (…). In effetti, che fosse la macinatura del sale, del piombo del ferro, dell’allume o del gesso, o la metallurgia, l’escavazione del marmo, il tener bottega di coltellinaio o una fabbrica di vetro, o il forgiare piastre di metallo, note anche come ‘piastre del focolare’, non vi era alcuna attività in cui i monaci non dessero prova di creatività e di uno spirito di ricerca fecondo. I benedettini sapevano incanalare il proprio lavoro verso la perfezione. La perizia coltivata nei monasteri si sarebbe diffusa per tutta l’Europa” (Woods, cit., p. 43).
18) Seneca affermava che “è male amare la propria moglie come se fosse un’amante”. Quindi, nel migliore dei casi, a Roma fra i coniugi c’era, oltre al contratto matrimoniale, una rapporto di reciproca solidarietà (Vedi Eva Cantarella, Passato prossimo, Feltrinelli 1996, p. 103).
19) Denis De Rougement, L’amore e l’occidente, Bur 1977, p. 110
20) Idem, pp. 111-112
21) Quello che Emilio Cecchi dice di Chesterton è illuminante per capire il cristianesimo. Dunque il grande convertito inglese ha voluto dimostrare, secondo Cecchi, “che non i fumi dell’oppio, non le voluttà acide e complicate, non gli eccessi dell’individualismo sono poetici e vitali, ma gli affetti semplici della realtà pratica. Ha fatto vedere che c’è più romanzo che in qualunque romanzo nella famiglia dove non succede nessun romanzo; mentre tutti erano disposti a riconoscere un’avventura in un amore clandestino, e non già nella fedeltà del matrimonio”.