domenica 26 maggio 2019

I Mostri di oggi, i Draghi di domani

In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi.

Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.

La chiamata alle armi contro il nazismo tornante produrrà effetti elettorali minimi, se non ridicoli, a vantaggio delle forze che si oppongono al Mostro. Nella realtà presente non c’è nessuno che possa sfidare seriamente il governo in carica con qualche possibilità di sostituirvisi. E tantomeno in caso di elezioni politiche anticipate: non si può governare senza affiancarsi, e in posizione di minoranza, a uno dei due mostri in questione. O governi con la Lega o governi coi grillini. Non c’è altra soluzione.

Nella sua formidabile performance in cui sembra restaurato come la pellicola di un vecchio film, Berlusconi Settebellezze finge di essere ancora lui il leader del centro-destra con un’incrollabile fede in se stesso – un caso di sconfinata auto-ammirazione. Immagina che la Lega possa rientrare nell’ovile e farsi dirigere da lui, che a suo dire è la Mente, mentre loro sono le braccia o i piedi, personale di servizio o di locomozione.

La sinistra fa ancora peggio: attacca il Mostro per antonomasia, Salvini, ma assicura che non si fidanzerà col Mostricciattolo, cioè l’alleato Di Maio. Dopo il voto magari ci sarà il distinguo: nessuna alleanza con Di Maio ma con un Figo, per esempio, si. Ma intanto la loro fattura di morte sul governo, in che cosa concretamente si traduce?

In un sogno proibito, che Berlusconi ha appena accennato, che Mattarella non ha mai pronunciato, e che la sinistra finge di non conoscere. Il sogno è Draghi. Mario Draghi, Sir Marius Drake per la letteratura globish.

Al governatore della BCE scade il suo mandato a ottobre, e potrebbe diventare la carta da giocare da parte dell’Europa e delle forze d’opposizione anti-sovraniste d’Italia. Nessuno è così fesso e suicida da augurarsi di tornare alle urne con la probabilità di veder confermato a furor di popolo Salvini e la Lega come il primo leader e il primo partito d’Italia.

Allora cosa si spera? Che grillini e leghisti non riescano a superare i malumori accumulati nella campagna elettorale e le palesi divergenze su quasi tutto, unite a una plateale insofferenza reciproca. E che si separino. Dall’altra parte l’Europa agiterà lo spettro del crollo italiano, e allora implorerà Draghi – o un suo succedaneo – di caricarsi del compito. Draghi è stato, va detto, un efficace presidente della Bce, a volte ha tolto le castagne dal fuoco e si è inventato qualche piano marshall finanziario per sostenere gli stati e sorreggere le banche. Ma è omogeneo all’Establishment euro-globale da una vita. Continuiamo a ricordare il suo ruolo chiave ai tempi dello Yacht Britannia, quando l’Italia privatizzo e svendette i suoi gioielli su ordine dei superiori, sulla nave di Sua Maestà che batteva bandiera inglese.

Ma quel che più spaventa è il film già visto. Un paese espropriato della sua sovranità, tramortito e spaventato a colpi di spread e di agenzie di rating, che si affida al grand commis delle istituzioni europee. Ieri Monti domani Draghi. Mario I e Mario II, euroconcessionari di zona. E buonanotte ai populisti, ai sovranisti, agli elettori.

Ipotesi probabile, possibile oppure no? Non ci azzardiamo a fare pronostici ma la furia distruttiva delle opposizioni, della sinistra in particolare, conduce a questa soluzione, con la benedizione di Mattarella. Noi lo abbiamo accennato giorni fa, poi abbiamo sentito e letto conferme in giro, abbiamo visto Berlusconi entusiasmarsi all’ipotesi Draghi e cercare di metterci su il cappello, ricordando che lo aveva mandato lui, non il suo governo, ma proprio lui, alla Banca Centrale Europea. Magari Draghi preferisce pensare al Quirinale o ad altro, vista la brutta fine del suo predecessore e omonimo, il bocconiano funesto Mario I, dei Monti di pietà. E dopo aver visto l’aborto di Cottarelli.

A dir la verità, la ricetta grillina in economia, così velleitaria e così fallimentare, ci porta diritti a un governo tecnico tipo Draghi. A chi piace l’ipotesi Draghi nulla da dire. Ma a chi questa ipotesi non piace o addirittura inquieta, a chi crede che sia un bene non negoziabile la sovranità popolare, nazionale e politica, rispetto al protettorato eurocratico, l’alternativa è chiara: o voti i sovranisti o voti tutti gli altri, della cooperativa Draghi. La scelta sovranista si traduce in primis in Salvini, il Nemico Assoluto e il Bersaglio Concentrico di questa folta truppa di poteri forti e alleati finti. O la Meloni, per chi crede utile votare sovranista ma favorire la caduta del governo coi grillini.

A chi piace Drago Draghi e il suo codazzo, non resta che sperare in una vittoria mutilata dei sovranisti e in uno sfascio imminente del governo e del paese, per consentire l’arrivo del Soccorso Globale, voluto dall’Europa, dalla Sinistra, e a fasi alterne da Berlusconi. Chi detesta i grillini al governo ma non vuole arrendersi al Banco dei Pegni, non può che puntare sui sovranisti. Questa è la posta in gioco, Mostri contro Draghi.

Marcello Veneziani, La Verità 26 maggio 2019

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Ogni singola azione che mira alla cessione di Sovranità da parte di uno Stato, è una maglia che si va ad aggiungere ad una "catena" che serve a imprigionare se stessi. Bergoglio, da buon falso profeta questo lo sa benissimo, come lo sanno bene tutti i fautori di un europeismo anticristiano che ha come unico scopo l'annullamento dell'identità dei popoli, e con essa, le profonde radici cristiane che li hanno contraddistinti per secoli (minate continuamente da tali personaggi). Se non si difendono le proprie radici tutto crollerà (compreso il cristianesimo).

Japhet ha detto...

Comunque vada, una certa Europa è già finita

A seggi aperti e polemiche speriamo concluse, non possiamo non constatare come le elezioni europee un verdetto lo abbiano già emesso: una certa Europa è finita. Quale? Ma quella dell’austerità e del rigore, degli eurofili e degli euroinomani, del «che bello stare uniti» e del «ce lo chiede l’Europa». Comunque vada a finire oggi, quel modello è sul viale del tramonto. E questo, si badi, per un motivo molto semplice, ammesso dagli stessi sostenitori dell’Unione così com’è: il sogno europeo non esiste più. E’ scomparso, anzi evaporato in un dibattito politico da tempo dominato solamente da un tema: lo spauracchio dei sovranisti e il disastro che potrebbe succedere se i Salvini, le Le Pen e gli Orbán dovessero prevalere.
Ma in politica come nella vita, nel consenso elettorale come nelle relazioni, la paura di quel che potrebbe capitare giammai può divenire ragion d’essere. Il continuo richiamo al pericolo sovranista – all’occorrenza chiamato addirittura «nazionalista» – è dunque la prova di un’agonia del progetto europeo molto più grave rispetto alla stessa diagnosi della narrativa sovranista. In altre parole, i primi a non credere all’Europa sono proprio quanti da un lato non fanno che occuparsi della minaccia euroscettica e, dall’altro, ricorrono a richiami agli «Stati Uniti d’Europa» troppo privi di entusiasmo per apparire credibili. Se siamo arrivati a questo, è quindi tempo di chiedersi come mai. Perché ora l’Europa non ha che due strade davanti: quella di una rapida autocritica o quella di un lungo addio.
Giuliano Guzzo

Anonimo ha detto...

Insomma, dove va l’UE? La nuova maggioranza è peggio della precedente poiché i “liberali” sposteranno ulteriormente l’asse politico verso il meno Stato e più mercato. Per commentare il suicidio non assistito della socialdemocrazia ormai non ci sono più parole e la convivenza tra loro e liberali, farà perdere loro ulteriore consenso. La nuova maggioranza a tre, vale un 58% mentre la precedente a due, valeva il 64%. Gente sensata, notata questa frana continua di consensi che per altro va avanti da molti anni, si darebbe una regolata ma tanto il parlamento conta poco o niente e gente sensata, in Europa, pare soggetta al principio di scarsità crescente.

In ordine sparso si nota in vero e proprio crollo della Sinistra che quasi dimezza i suoi consensi (Syriza, Podemos) con crollo relativo anche in Francia (Mélenchon) dove era arrivata al 20% al primo turno delle presidenziali, ripiegando oggi ad un misero 6%.

Ovviamente la novità apparente sono i Verdi, una sorta di partito rifugio per tutti i progressisti che non si sentivano di votare socialdemocratico o sinistra. Ho molto rispetto per le questioni ambientali, ma votare così tanto i Verdi in una UE stretta tra neo-ordo-liberismo e imbarazzo geopolitico, appare più effetto di uno smarrimento che di un convincimento. E’ un po’ come mettersi a parlare del tempo che fa in una discussione imbarazzante.

Considerevole invece l’affermazione dei liberali anche se lo scarto rispetto al 2014 è in buona parte dato da En Marche che nel 2014 non esisteva. Ciononostante, i soli liberali sommano più o meno quanto i due gruppi euro-scettici-sovranisti messi insieme, tanto per dire quali sono i rapporti di forza nell’opinione pubblica europea.

Il piccante di questa pietanza europoide sbiadita, lo danno i sempre significativi britannici con i conservatori quinti a livello percentuale di Forza Italia o giù di lì.

Ma un risultato merita il posto al centro della scena: la Francia. Qui il botto non è da poco, almeno simbolicamente. La giovane speranza europoide arriva secondo dopo i nazionalisti e questo non è fatto di poco conto. Macron però è tipo da fregarsene alla grande, l’hanno eletto per cinque anni con maggioranza bulgara e quindi andrà avanti. A livello di legittimità politica se Merkel in patria perde ulteriore 1,5% rispetto alle politiche e Macron perde a sua volta 1,6% rispetto al primo turno delle sue politiche, sembra che l’asse di Aquisgrana non abbia infiammato gli elettori. Di contro, oltre al fatto simbolico, non è che a puri numeri sia poi questa grande tragedia per i due piloni eurocratici, quindi avanti con giudizio cooptando i liberali nei giochi che contano, si spartiranno le cariche che contano, assediando sempre più strettamente i pavidi socialdemocratici in una sorta di cannibalismo delle élite per cui i giovani arrivati si nutrono della carogna dell’anziano che ha fatto il suo tempo.

In breve, l’UE che ne esce è più insipida della precedente, più di destra ed al contempo più liberale, con una spruzzata di ecologismo superficiale. A questo punto la palla passa al novembre del prossimo anno quando si terranno le elezioni americane. Se vincerà Biden, l’eurocrazia avrà un supplemento di ossigeno, se vince Trump, forse questa lunga agonia avrà la sua fine, forse.

Anonimo ha detto...

Emblematico: a Lampedusa boom della Lega che sfiora il 45 per cento dei voti

Il Cammino dei Tre Sentieri ha detto...

Ha vinto sicuramente il cosiddetto “sovranismo“: la Lega soprattutto, ma anche Fratelli d’Italia hanno avuto un risultato considerevole. Insieme vanno oltre il 40%; il che vuol dire che con l’attuale sistema delle Politiche potrebbero anche da soli (cioè senza Forza Italia) avere la possibilità di vincere e governare.

Il Movinento 5 Stelle ha perso. D’altronde non ci voleva molto per immaginarselo. Gli ultimi giorni di campagna elettorale hanno visto Di Maio parlare come un comune esponente del PD, evocando finanche lo spettro dello spread. Il risultato è che non solo non è riuscito a recuperare consensi a Sinistra, ma ha perso anche una buona fetta di voti di “destra” che in precedenza aveva deciso di votare il Movimento. Infatti, numeri alla mano il M5S non ha perso solo in favore del PD, ma ha perso soprattutto in favore della Lega. Poi vedremo tra qualche ora le caratteristiche dei flussi elettorali.

Il Partito Democratico si è ripreso. Ma attenzione: fino ad un certo punto. Ha recuperato sì, ma cosa? Ha recuperato qualche voto dal M5S, ma non ha recuperato (anzi!) coloro i quali avevano già votato Lega è che hanno continuato a farlo. Inoltre, il sorpasso sul M5S è dovuto più che al suo merito al demerito del “sorpassato” che di fatto ha forato tutte e quattro le ruote e si è piantato a terra. Altra considerazione: quando si cambia segretario un recupero elettorale tende sempre ad esserci.

Passiamo a Forza Italia. Si conferma la parabola discendente che ormai si avvia alla sua fine. Non solo è un partito troppo schiacciato sul suo leader, che, ormai per oggettivi limiti di età, non può impegnarsi più di tanto, ma non ha leader alternativi di riferimento. I vari Gelmini, Bernini, Gasparri …per non parlare di Tajani, non hanno reale consistenza. Inoltre, la politica espressa da FI è quella tipica della vecchia politica: due forni per l’Italia e due forni per l’Europa. Per l’Italia, strizzando gli occhi anche al PD; per l’Europa aspirando ad una sorta di continuazione dell’alleanza Popolari-Socialisti. 

Un’altra breve e soddisfacente considerazione: +Europa non supera la soglia del 4%. Più Europa per tutti, ma non per loro. Anzi, per loro nessuna Europa. E’ come se in un’associazione di bocciofili i tesserati siano destinati a vedere con il cannocchiale una pista di bocce. Come ironia della sorte…non male!

Tirando le somme, il quadro è chiaro. L’Italia svolta in chiave identitaria. E su questo -ancora una volta- ne esce con le ossa rotta la “politica” della CEI. Lo scollamento non solo con il “Paese reale”, ma anche con i “cattolici reali” è fortissimo. Stando ai dati ancora incompleti di queste ore, il maggiore successo della Lega si riscontra nelle regioni dove ancora tiene la pratica religiosa (vedi il Veneto), il che vuol dire che i cattolici praticanti hanno votato non tenendo alcuna considerazione le indirette (ma in alcuni casi molto dirette) indicazioni clericali.