Tralasciamo le questioni giuridiche, sulle quali pure ci sarebbe tanto da dire – la procura tra latro aveva ritenuto non vi fosse alcun reato nel comportamento del Ministro – e vediamo la querelle politica. La maggioranza giallorossa ha fatto di tutto per rinviare il voto della giunta a dopo le elezioni regionali in Emilia-Romagna e Calabria del 26 gennaio, ma una decina di giorni fa la giunta ha bocciato il rinvio anche grazie ad una presa di posizione della presidente del Senato Casellati. L’obiettivo della maggioranza era quello di evitare di fornire l’immagine del “martirio politico” di Salvini prima del voto regionale, per poi mandarlo ugualmente a processo dopo le elezioni. Processare il leader dell’opposizione per aver difeso i confini dello Stato equivale a regalargli consenso, quindi meglio mandarlo a processo dopo il voto. Questa la trappola delle quattro sinistre al governo, che però non ha funzionato.
Nei giorni scorsi Pd, M5s, ItaliaViva e LeU hanno cincischiato sul da farsi, ma domenica pomeriggio Salvini ha sparigliato le carte chiedendo ai senatori della Lega facenti parte della giunta di votare a favore dell’autorizzazione a procedere. Una mossa tatticamente intelligente perché anticipa quello che la maggioranza di governo avrebbe comunque fatto una settimana più tardi, a urne chiuse.
Ieri la giunta si è quindi riunita per esprimere il suo voto. I quattro partiti della maggioranza hanno disertato l’appuntamento adducendo la scusa di protestare contro la presidente Casellati, mentre la Lega – come richiesto dal suo leader – ha votato per il processo. Alla fine il risultato è stato quello del voto favorevole all’autorizzazione a procedere, anche se la decisione definitiva verrà assunta dall’aula di Palazzo Madama il 17 febbraio.
Certo che mandarsi a processo da soli non è una cosa conveniente, anche perché – in caso di condanna – in giunta sono quelli della Lega ad aver votato a favore del processo, ma è anche vero che i partiti di maggioranza voteranno comunque a favore dell’autorizzazione a procedere il 17 febbraio in aula, quindi il processo è in ogni caso inevitabile. Forse da parte della Lega sarebbe stata meglio un’astensione, anche per evitare che un domani si dica che Salvini s’è mandato a processo da solo. Il voto di ieri riguardava la relazione preparata da Gasparri, che proponeva di respingere l’autorizzazione, quindi un’astensione avrebbe sortito lo stesso effetto del voto a favore del processo, cioè contro la relazione Gasparri. Come che sia, il dato di fatto saliente di tutta questa vicenda è la vigliaccheria di centrosinistra e 5Stelle, terrorizzati dal rendere Salvini martire in vista del voto di domenica, ma pronti a pugnalarlo ugualmente tra qualche settimana. Incapaci di battere gli avversari politici nelle urne ma pronti ad utilizzare contro di loro la leva della magistratura. Niente di nuovo. È toccato a Berlusconi, oggi tocca a Salvini. Ma qui le motivazioni sono molto diverse: il processo a Salvini è solo politico.
C’è chi ha scritto che Salvini utilizza il linguaggio dell’odio, ma noi crediamo che chi parla ad esempio di “tribalismo xenofobo” per indicare la posizione della Lega stia lui propagandando odio. C’è chi dice che Salvini vuole essere assolto dal popolo contro i Tribunali, noi diciamo invece che in uno Stato moderato – nel senso di Montesquieu – il governo fa politica e i magistrati applicano le leggi. Questa è la democrazia. Negli ultimi decenni ce lo siamo dimenticati. E ora siamo arrivati al punto estremo: un processo politico in assenza di reati.
Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero, 21/01/2020
2 commenti:
In Emilia Romagna, sia che la spunti Stefano Bonaccini sia che – con una vittoria storica – si imponga Lucia Borgonzoni, il dato politico è uno ed già assai evidente: la sconfitta del Pd. Una forza che il segretario Nicola Zingaretti ha annunciato di voler riformare – «non un nuovo partito, ma un partito nuovo», ha dichiarato sulla scia di una vecchia pubblicità di pennelli – e che, soprattutto, è stata assente due volte in campagna elettorale. Infatti, Bonaccini ha impostato la sua corsa alla rielezione tutta su sé stesso, lasciando ben da parte il simbolo di partito.
Non solo. Pure i big democratici – verosimilmente su richiesta di Bonaccini stesso – si sono tenuti al largo dall’Emilia Romagna, che pure si contende con la Toscana lo scettro di roccaforte rossa. Ancora, che cos’è stato – e che cos’è – il fenomeno delle Sardine, se non un lifting mediatico per il Pd, tornato in piazza sotto falso nome? La sensazione è insomma che non solo il partito progressista italiano sia per molti aspetti quasi impresentabile – specie dopo il matrimonio contro natura coi 5 Stelle -, ma che i suoi stessi militanti ed esponenti di punta sian ormai giunti a detta conclusione.
Naturalmente, in caso oggi la spuntasse Bonaccini tutto ciò verrà minimizzato; anzi, conoscendo la faccia tosta di certo establishment giornalistico, si arriverà perfino a dipingere l’Emilia Romagna rimasta rossa come uno spettacolare trionfo. Tuttavia, non le congetture ma l’evidenza – poc’anzi riassunta per sommi capi – dice altro. E segnala che il partito gradito alle élite (chiedersi come mai Soros si sia fatto ricevere a Palazzo Chigi proprio quando il premier era il piddino Gentiloni) è sempre meno gradito ad un elettorato che, per quanto spaesato e privo di certezze, pare aver quanto meno capito una cosa: quello che non vuole.
Giuliano Guzzo
Luigi Patronaggio, procuratore capo di Agrigento che sostiene di non dover considerare “nemici” i migranti, sarà denunciato per “attentato contro i diritti politici del cittadino”.
“Come Segretario del Movimento Nazionale per la Sovranità – ha spiegato Gianni Alemanno – ho anche dato mandato al nostro ufficio legale di verificare la possibilità di denunciare il pm Luigi Patronaggio ai sensi dell’Art. 294 del Codice Penale che sanziona gli ‘Attentati contro i diritti politici del cittadino'”. Perché una simile mossa? “Questo articolo – ha spiegato nella nota l’ex sindaco di Roma – recita: ‘Chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l’esercizio di un diritto politico (…) è punito con la reclusione da uno a cinque anni’ in applicazione degli articoli 48 e 49 della Costituzione“.
Secondo Alemanno “l’avviso di garanzia inviato a Salvini potrebbe infatti essere visto come un tentativo di impedire a un Ministro di svolgere la sua attività d’indirizzo politico direttamente conseguente dal voto espresso dalla maggioranza degli italiani sulla base di ben precisi impegni elettorali“.
Lo scontro tra magistratura e Lega sembra ormai aperto. E forse è solo all’inizio. “Nessuno vuole aprire nuove guerre tra PM e politica – ha detto l’ex sindaco di Roma -, ma di fronte ad un atto così grave come la denuncia di un Ministro in carica per un’azione di carattere strettamente politico, ogni strumento deve essere utilizzato per difendere il nostro interesse nazionale“.
E l’interesse nazionale è quello di non subire “l’invasione dei clandestini nella completa indifferenza dell’Europa”. Per questo “le scelte coraggiose e difficili di Salvini”, che risultano “connesse con questi obiettivi” sono la conseguenza di un “esplicito mandato dato dagli elettori nell’esercizio dei propri diritti politici”. Dunque secondo l’ex sindaco della Capitale non deve essere processato.
Claudio Cartaldo – www.ilgiornale.it
Posta un commento