giovedì 30 ottobre 2025

L'unità impossibile: l'Europa come contraddizione giuridica del moderno

L'unità impossibile: l'Europa come contraddizione giuridica del moderno

L’Unione Europea rappresenta il tentativo più audace, e al tempo stesso più fragile, di fondare un ordine politico sull’assenza di fondamento. Essa pretende di costituire una "unitas" senza "unum", una comunione giuridica priva di principio unificante, un corpo politico che esclude deliberatamente la propria anima.
L’unità, nella sua dimensione autentica, non è il risultato di un accordo, né la somma di volontà convergenti, ma la manifestazione di una misura intrinseca dell’essere.
L’Europa istituzionale, invece, nasce dal postulato contrario: che la verità sia divisiva, che il bene comune sia un concetto obsoleto, che l’ordine possa derivare dalla sola procedura. Così l’Unione si proclama "comunità di diritto", ma è, in realtà, comunità del formalismo, dove il diritto non esprime la giustizia, bensì la sua eclissi razionalmente codificata.
Nel pensiero classico, l’ordine politico è ordinamento dell’essere: "ordo ad bonum commune". L’unità è il riflesso di una realtà superiore che informa la molteplicità e la dispone secondo un fine condiviso. In assenza del fine, l’ordine si dissolve nella mera coordinazione di forze e la molteplicità si fa frammento. L’Unione Europea incarna precisamente questa deriva: è il tentativo di ottenere la concordia senza l’idea di bene, di stabilire l’eguaglianza senza il riconoscimento della giustizia.
I Trattati istitutivi parlano di pace, prosperità, diritti (categoria moderna), ma tali termini, svuotati di ogni contenuto ontologico, si riducono a significanti convenzionali, intercambiabili a seconda delle stagioni politiche. La struttura giuridica dell’Unione vive di un linguaggio performativo che sostituisce la verità con la coerenza procedurale. Ciò che si decide legittimamente diventa "ipso facto" giusto, in una trasposizione giuridica del volontarismo moderno.
Tale concezione, tuttavia, contraddice la natura stessa dell’unità. Dove non esiste un principio trascendente, l’unità diventa impossibile. L’Europa istituzionale non è la realizzazione di una forma, ma la continua negoziazione dell’informe. La pretesa di superare la sovranità nazionale attraverso un diritto autonomo non ha generato un ordine superiore, quanto un regime di competenze sovrapposte, dove la gerarchia è sostituita dall’ibridazione.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sede a Lussemburgo, proclamando la primazia del diritto europeo, non ha realizzato l’unità giuridica, bensì l’ha disarticolata, poiché ha imposto un potere senza fondamento politico, una normatività senza legittimazione ontologica.
L’Unione, nella sua essenza, è un dispositivo funzionale: regola la circolazione di merci, capitali, persone e decisioni, ma non genera un "ordo mentis". La sua unità è strumentale, mai sostanziale e la coesione si mantiene attraverso il calcolo, non attraverso la comunanza.
Tale struttura è destinata alla dissoluzione non per mancanza di efficienza, ma per mancanza di verità: nulla che viva di sola tecnica può durare. L’efficienza è l’ordine della materia, non dell’essere. L’Europa giuridica attuale, allora, è l’ultima forma del razionalismo politico moderno, che sostituisce la causa finale con la causa efficiente, la verità con il consenso. Da ciò discende la sua intrinseca aporia: essa pretende di unificare ciò che, per principio, si nega di poter ordinare.
L’unità, ridotta a equilibrio di interessi, si trasforma in continua contesa amministrata. Il potere comunitario non unisce, coordina il disaccordo. Non assume la pluralità in un ordine superiore, bensì la congela nella neutralità. La neutralità, tuttavia, non è virtù politica, bensì forma raffinata dell’indifferenza. Dove non vi è criterio di bene, ogni differenza diventa assoluta e ogni compromesso provvisorio. La conseguenza teoretica è lampante: l’Unione Europea non è un ordine, bensì un "ordo simulatus", una finzione ordinativa che cela la disgregazione dietro l’apparato normativo.
Laddove il diritto naturale riconosce la priorità dell’essere sul fare, dell’essenza sulla funzione, l’Unione rovescia tale gerarchia. Il diritto, quale prodotto della modernità, non indica più la misura della giustizia, ma la quantità della conformità. La legittimità cede il posto alla legalità, l’autorità alla governance.
In questa trasformazione, l’idea stessa di Europa si smarrisce: da comunità di destino diviene società di procedure, da civiltà spirituale a ingranaggio regolatorio. Ciò che un tempo era unità nella diversità dei popoli europei, oggi è uniformità nella diversità dei dispositivi. La pluralità, infatti, non è più intesa come articolazione dell’essere, ma come frammentazione gestita. Non vi è sintesi, ma compatibilità. Non vi è armonia, ma equilibrio instabile. L’Unione sopravvive, in questo modo, nell’inerzia della propria forma, priva della forza che la giustifica.
Il suo destino è quello di ogni costruzione che nega il fondamento: sussistere sino a quando il vuoto che la sostiene non diviene insopportabile. Così, l’Europa contemporanea non è un’unità imperfetta, bensì l’impossibilità stessa dell’unità. Essa esprime la volontà di costruire una totalità senza principio, un ordine senza ordine. In questa contraddizione vive la sua crisi più profonda: non economica, non politica, ma ontologica.
L’Unione Europea è il simbolo di un continente che ha smarrito la coscienza di sé, che ha sostituito l’essere con il funzionare e la verità con l’efficienza. Finché non riconoscerà che l’unità non nasce dal contratto ma dalla verità, essa potrà soltanto amministrare la propria disgregazione, confondendo la sopravvivenza con la vita, l’equilibrio con la giustizia, la forma con l’essere.
Daniele Trabucco

1 commento:

Anonimo ha detto...

Erano contro l'Autostrada del Sole, contro la televisione a colori, contro l'Alta Velocità. Oggi sono contro il Ponte.
Sono sempre gli stessi, i nemici dello sviluppo della Nazione.