lunedì 23 marzo 2020

Le conseguenze del futuro. Sette conclusioni dalla crisi del coronavirus

Improvvisamente tonano di moda gli stati nazionali e gli esperti: il coronavirus metterà in dubbio alcuni dei fondamenti dell'UE. Cos'altro possiamo imparare dalla crisi?
Ivan Krastev è uno scienziato politico di chiara fama e competenza. Su Die Ziet, fa una prima analisi previsionale sulle conseguenze politiche e geopolitiche dell’epidemia. In breve, segnala quanto si scriveva qualche giorno fa, l’8 marzo, ovvero il declino dell’ordinatore economico, in favore di quello politico. I punti sintetici sono:
  1. Il grande ritorno dello Stato. Lo Stato è l’unico sistema che ha intenzionalità ed i processi caotici chiamano interventi intenzionali. La mano invisibile è un sistema auto-organizzato che non ha intenzionalità centrale, quindi tutti si renderanno conto che se nella storia abbiamo fatto stati per cinquemila anni ovvero dalla nascita delle società complesse, un motivo ci sarà. È dunque la fine dell’utopia-distopia liberale; 
  2. il ritorno del nazionalismo. Stiamo vedendo come ogni nazione si richiuda fisicamente e mentalmente in se stessa, questo richiamerà il senso di solidarietà interna che rinforza l’identità. Non è necessariamente un nazionalismo “contro”, come giocherà nelle future relazioni internazionali dipenderà dai quadri di stato della situazione che si verranno a formare;
  3. la conoscenza esperta torna al vertice dei sistemi sociali. Quando la realtà si fa dura, le chiacchiere vanno a zero. Aggiungo una postilla. Scopriremo anche come i fenomeni complessi hanno cause complesse che poi altro non sono che i “complessi di causa”, cause plurali, non “una causa” ma reti di cause che si sovrappongono e reciprocamente interferiscono. Per capire cosa succede nel triangolo della morte padano, ci va conoscenza demografica, statistica, biologica, sociologica, sistemica, politica, economica, sanitaria non una e poi l’altra, ma tutte assieme;
  4. il day after geopolitico sancirà una accelerazione della transizione da baricentro americano al baricentro cinese. Qui, calcolare le traiettorie non è facile al momento. Segnalo come già detto nel post del 8 marzo che la faglia già al lavoro tra area anglosassone ed area continentale del sistema occidentale si acuirà. Se, come detto al punto 1) le perturbazioni caotiche chiamano l’intervento intenzionale, i soggetti di grande massa (le potenze) non solo hanno intenzionalità ma hanno anche la forza per mettere in pratica le intenzioni. Ma è il concetto stesso di forza che qui si va probabilmente a riformulare. Di fronte al big bang di complessità che si sta manifestando la forza militare ad esempio, serve a poco. Forse potrà avere una funzione di ordine interno, ma non certo esterno. E’ un discorso complicato a cui dovremo dedicare riflessioni specifiche;
  5. il panico diventa alleato della centralizzazione politica, ne parlammo nel post dell’11 marzo. Se dopo gli attacchi terroristici in Occidente il mantra era “continuiamo a fare la nostra vita”, qui il mantra sarà “cambiate radicalmente il vostro modo di vivere”. In mano a chi andrà questo ordine da panico, per farne cosa, è un aspetto successivo su cui bisognerà riflettere velocemente ma profondamente. Il conflitto tra libertà e c.d. “democrazia” individualistica da una parte e le necessità di allineamento sociale e comportamentale comunitario e relativo controllo dall’alto dall’altra, già producono frizioni avvertibili;
  6. la faglia conflittuale tra giovani ed anziani già in formazione per via della recente scoperta dei problemi ambientali (che mondo ci avete lasciato, genitori?), rischi di acuirsi producendo rotture nella solidarietà inter-generazionale che spaccherà gli stessi nuclei famigliari. Un bel problema …:
  7. a ritorno del primo punto, la domanda “salvare le persone o l’economia?”, ha già prodotto la differenza tra occidentali continentali e fino a poco fa anglosassoni. Ma la domanda vale anche per gli anglosassoni ed i repentini ripensamenti di Trump, molto più agile e sveglio di Johnson, dicono che la risposta è scontata poiché ontologicamente non c’è economia se non ci sono le persone, fisicamente ma anche come stato d’animo. In questi giorni assistiamo a conversioni copernicane dei paradigmi vigenti, ora siamo tutti anti-globali, industriali, keynesiani, elicopter-money, controllo sovietico dell’anarchia finanziaria, più pubblico meno privato, più stato meno mercato, dovere fiscale come dovere di cittadinanza e via così. Improvvisamente, la Gran Bretagna si trova dalla parte sbagliata della storia e non vorrei stare al posto di Boris. Siccome s’è capito che la faccenda non dura tre mesi, ma forse diciotto, improbabile che dopo una così lunga e dolorosa esperienza tutto torni come prima. Molti improbabile.
Krastev, ne consegue una necessaria rivoluzione copernicana nel progetto UE. Da rigore di bilancio e open society a cosa? è tutto da vedere.
Questo quanto all’analisi politica. Oltre ad approfondire i singoli punti, ci sarebbe poi l’analisi sociale e quella culturale da approfondire come già annunciato nei post del 1 marzo ed il primo della serie che è del 23 febbraio, ma lo faremo in seguito tanto s’è capito, che le lunghe prospettive di isolamento a cui siamo condannati, ci dà la materia prima per sviluppare conoscenza e pensiero: il tempo. Chi a lungo ha sognato la rivoluzione del mondo intero, mai si sarebbe immaginato che un affarino così microscopico, potesse rivolgere così radicalmente e sincronicamente, il macroscopico planetario. Eppure è questa la prima morale della favola che purtroppo o forse per fortuna, non è solo una favola … (Pierluigi Fagan)
[L'articolo si può facilmente tradurre con Google translator. I punti riportati sono quelli di Krastev misti a mie considerazioni]

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