martedì 16 marzo 2021

Storici, vil razza dannata

Ma è possibile che nessuno storico italiano, nessun cattedratico di Storia moderna e contemporanea abbia il coraggio di dire, con parole chiare e forti, che l’onda lunga di leggi e condanne sugli avvenimenti storici del passato è un’infamia che uccide la verità storica e pure la ricerca? Possibile che nel Paese di grandi storici, fino ai più recenti Renzo De Felice e Rosario Romeo, non si sia levata una voce, non sia sorta un’associazione o un’iniziativa per deprecare l’uso politico e giudiziario della storia, la condanna retroattiva del passato, l’obbligo di rinnegare la memoria storica?

Come definire questo linciaggio permanente e questo massacro retroattivo degli avvenimenti e dei protagonisti del passato? Lo definirei storicidio. Una società che uccide e rinnega la sua storia ha smesso di essere una civiltà; si è dimessa dalle sue radici, dalla sua identità, dalla sua dignità, dalla sua tradizione, dalle sue memorie, divise e condivise, unitarie e controverse.

In Francia sorse anni fa un’associazione di storici, Liberté pour l’histoire, per denunciare questo bavaglio ideologico-penale alla storia che in Francia è cominciato ancor prima che da noi. Traccia di quella denuncia sono due testi, uno di Pierre Nora e l’altro di Francoise Chandernagor, ora pubblicati in Italia da Medusa (con un’introduzione di Franco Cardini) col titolo Libertà per la storia. Vi si denuncia “la vigliaccheria politica e la demagogia elettorale”, la criminalizzazione del passato e la sua riduzione a una collezione di orrori; “la retroattività senza limiti e la vittimizzazione generalizzata del passato”. Un impianto accusatorio e moralistico che di fatto distrugge la ricerca storica, ne impedisce gli scavi e le revisioni, impone pregiudizi e scomuniche… La storia risulta davvero, come nota Nora, “un lungo susseguirsi di crimini contro l’umanità”.

Ma il problema si aggrava se si considerano almeno quattro ulteriori complicazioni e aberrazioni che ne discendono.

La prima è che la pretesa di giudicare il passato con gli occhi, i pregiudizi, le ideologie del presente, ci porta inevitabilmente a condannare ogni evento o personaggio che si discosti dal nostro modo di vivere e di giudicare le cose. Si restringe il nostro universo a quello vivente. Una visione corta, misera, conformista.

La seconda è che condannando personaggi ormai defunti, alla fine l’interdizione ricade sui viventi, ovvero serve per colpire da una parte i politici e la gente comune che ha opinioni differenti sulla storia e dall’altra colpisce e inibisce gli stessi storici, la loro ricerca, i loro giudizi e le loro interpretazioni.

La terza è che le storie negate riguardano solo alcuni tratti del passato e ne risparmiano invece altri: ci sono processi postumi contro la Chiesa e la fede cristiana, contro la storia nazionale, i suoi eroi e condottieri, sono condannati i nazionalismi, i veri e presunti razzisti, i fascismi; ma non c’è la stessa condanna per ciò che accadde ad esempio nella Rivoluzione francese, la ghigliottina e il genocidio della Vandea, nelle Rivoluzioni comuniste, nei gulag e nei regimi comunisti, nei bombardamenti e nei massacri compiuti nel nome della libertà e della democrazia dalle potenze occidentali (condannate invece per quel che concerne il colonialismo).

E infine, la quarta conseguenza di quest’abuso giudiziario e politico della storia è legittimare quell’ondata di demenza militante che è la cancel culture, la furia distruttrice che soprattutto in America, ma non solo, colpisce Cristoforo Colombo e Napoleone, i grandi del passato e i monumenti storici. In un susseguirsi di assalti, dall’Impero romano ai cartoons…

Di fronte a questa legislazione abnorme sorta in Europa, in Francia e in Italia – con le Boldrini, i Fiano e tutte le leggi che da vent’anni si abbattono sulla storia – non si avverte la voce e il dissenso degli storici, soprattutto quelli di grande autorevolezza o di grande visibilità. Nessuno di loro che, non foss’altro per difendere la materia prima del loro mestiere, dica chiaro e forte il proprio sdegno, la propria divergenza.

Conosciamo bene le difficoltà che incontrerebbero: metterebbero a rischio l’accesso a ruoli di prestigio o perfino le loro cattedre, la loro visibilità in tv e nei giornaloni, le loro collaborazioni e i loro incarichi, se sollevassero il velo di ipocrisia e gli anatemi dell’historically correct. Subirebbero ostracismi e linciaggi. E dunque per quieto vivere, per salvaguardare il proprio particolare, sono disposti a veder massacrata la storia, prima che la verità e la ricerca.

Ma la storia così perde interesse e valore, diventa solo un tunnel oscuro di infamie e di orrori, da rimuovere e condannare. Accettando quell’impianto giudiziario e moralistico si firma la capitolazione della storia al presente, la sottomissione della ricerca storica alle leggi speciali e ai loro vigilanti inquisitori, la perdita della memoria storica nel nome di una “pulizia etica” subordinata alle verità dominanti, somministrate dall’egemonia culturale, ideologica e politica vigente.

Credo che a questo punto si possa parlare con cognizione di causa e a rigore di termini di tradimento degli storici. Anzi usiamo senza mezzi termini l’espressione diretta e appropriata: si tratta di storici vigliacchi. Ormai abbiamo ben compreso che ogni delitto commesso nel nostro paese, ogni tradimento della verità e della realtà, dei meriti e delle capacità, del buon governo e del saggio giudizio, si avvale della complicità o quantomeno del silenzio-assenso di quanti dovrebbero obiettare, denunciare, dissociarsi e non lo fanno. Per ogni disonesto che usa e abusa del suo ruolo, per ogni demente che mortifica la comprensione del reale, c’è un vigliacco che non sente, non vede, non dice e dunque diventa il loro miglior alleato. Gli storici appartengono in gran parte a questa vil razza dannata, anzi d’annata, considerando il loro mestiere.
Marcello Veneziani, Il Borghese (marzo 2021)

1 commento:

Anonimo ha detto...

http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/la-religione-pandemista-nel-nome-della-scienza-travolti-diritti-e-garanzie-della-democrazia-liberale/