venerdì 5 aprile 2019

Su Verona anche la menzogna clericale

Della marea di odio e menzogna che i media laicisti e i vari partiti e organizzazioni progressiste hanno volentieri rovesciato sul Congresso mondiale delle Famiglie di Verona si è già detto: un’operazione violenta e scorretta con pochi precedenti. Ma in questi giorni ciò che ha colpito forse ancor di più è la menzogna clericale: di quei giornali e di quei personaggi che, ritenendosi gli unici titolati a parlare in nome del mondo cattolico, non hanno esitato a sparare ad alzo zero sul Congresso di Verona. Non parliamo qui di legittime critiche o di appunti che si possono tranquillamente fare a questo o a quell’aspetto dell’organizzazione. Parlo proprio della menzogna scientemente diffusa per infangare un’iniziativa autonoma del laicato. Lo avevano già fatto con i Family Day, lo hanno ripetuto in dosi massicce per una iniziativa che non intendeva neanche avere la portata e l’ambizione di quei grandi raduni romani.

Impossibile qui elencare tutti i tweet e i commenti al veleno di tanti personaggi, da padre Spadaro a don Ciotti. Mi limiterò ad evidenziare i due filoni principali di menzogna. Il primo segue il sentiero tracciato già dalle lobby Lgbt e femministe: una narrazione inventata per poter demonizzare e delegittimare l’evento veronese, descritto come un raduno di estremisti provocatori che alla voglia dello scontro hanno sacrificato il vero interesse delle famiglie. È la linea data dalla Conferenza Episcopale Italiana, sostenuta dal quotidiano Avvenire e testimoniata dal Forum delle Associazioni Familiari.

Dopo settimane di silenzio davanti alle incredibili accuse che arrivavano da sinistra, e non solo, sulla battuta del segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, in risposta a un giornalista che gli chiedeva un parere («Siamo d’accordo sulla sostanza, c’è qualche differenza sulle modalità»), si è costruita la strategia. Intanto quella «qualche differenza» è diventata per Avvenire un perentorio «non siamo d’accordo sul metodo», poi ecco la tesi precostituita: a Verona si è radunata una piazza che vuole la guerra, e che quindi ha provocato la risposta di un’altra piazza, un muro contro muro sterile che danneggia le vere famiglie, che sono in mezzo – ovviamente rappresentate da Cei, Avvenire e Forum Famiglie – e cercano invece il dialogo per il bene vero.

Si potrebbe dire quel dialogo grazie al quale hanno ottenuto la legge Cirinnà sulle unioni civili, che si sarebbe probabilmente potuta evitare se la Cei non avesse sponsorizzato il Partito Democratico. Ma non infieriamo. Limitiamoci a constatare che questa lettura di quanto avvenuto a Verona è pregiudiziale, menzognera e politicamente interessata.

Dispiace rilevare che a teorizzare questa linea sia stato il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, con una intervista a Il Giornale lo scorso 22 marzo: la famiglia «non è terreno di scontro, deve vederci uniti», diceva Bassetti. E poi denunciava: «Da una parte chi la usa per legittimare le discriminazioni e le divisioni, dall’altra chi la considera ormai superata e retrograda… Ma in mezzo ci sono le famiglie vere, quelle che chiedono risposte…». Con tutto il rispetto per il cardinale Bassetti, tale definizione dei partecipanti al Congresso di Verona è menzognera e gravemente offensiva.

Quali «discriminazioni e divisioni» si sarebbero volute legittimare? Piuttosto certe irresponsabili dichiarazioni davano ancora più forza a quanti in quei giorni stavano facendo opera di intimidazione per impedire lo svolgimento del Congresso. E il tutto per voler promuovere il Forum delle Famiglie come unico interlocutore delle istituzioni; certo, perché è totalmente controllato dalla Cei e piegato alle politiche di una certa gerarchia ecclesiastica.

Non è neanche bastata quella splendida marcia di domenica a cui hanno partecipato festosamente oltre ventimila persone: non sono «famiglie vere» queste? Evidentemente no, per il cardinale Bassetti, che ieri nel discorso di apertura del Consiglio permanente della Cei ha riproposto la narrazione delle due piazze contrapposte e delle istanze familiari che sarebbero rappresentate soltanto dal Forum delle Famiglie. Del resto chi fa ideologia, quando decide una linea va avanti fino in fondo, e tanto peggio per la realtà. Come fa, fedele alla linea, Avvenire, soprattutto preoccupato della presenza a Verona di certi leader politici, che da mesi vengono descritti quotidianamente come l’incarnazione del demonio.

Esemplificativo l’editoriale di domenica del direttore Marco Tarquinio, sul copione già scritto: si è concesso solo un tocco di creatività parlando di «tenaglia» che avrebbe preso in mezzo la «povera, povera famiglia», ma il tema è lo stesso: il Congresso ha «alla fine trasmesso un messaggio polemicamente inutile», le idee sono state secretate nei gruppi di lavoro, all’esterno sono stati comunicati «solo comizi di partito e gadget». Se davvero ha visto solo comizi di partito, Tarquinio ne chieda conto al suo inviato a Verona Luciano Moia; c’è stato molto altro e bastava volerlo vedere. Sicuramente non c’erano quei gadget di cui parla Tarquinio, su cui tanto hanno polemizzato – e inventato - altri giornali. Ridicolo anche il tentativo di minimizzare la marcia di domenica per non dover ammettere che le famiglie vere erano lì, in numero comunque superiore ai lettori veri di Avvenire.

C’è stato poi un secondo filone di menzogne, quello secondo cui il Congresso di Verona aveva in effetti soltanto un obiettivo da colpire: papa Francesco. Ci spiegava Vatican Insider il 30 marzo che si tratta di una “crociata” dell’ala conservatrice che «utilizza i temi “famiglia” e “vita” per indebolire Bergoglio». In questo senso sarebbe stata importata in Italia «una tensione politico-culturale-religiosa che nasce e si è amplificata negli Stati Uniti». Insomma una storiella che gira da un po’ di tempo secondo cui ci sarebbe un complotto conservator-tradizionalista anti-Francesco che unisce ricchi cattolici americani alle frange estreme del cattolicesimo in Europa e soprattutto in Italia. Dunque, se capiamo bene, il Congresso mondiale delle famiglie è stato fondato nel 1997 e si è svolto già in dodici paesi, per colpire papa Francesco che è stato eletto nel 2013. Complimenti agli organizzatori per la straordinaria preveggenza.

La lettura del complotto è molto gettonata nel circolo dei collaboratori più stretti del Papa, secondo i quali è evidentemente Francesco e non Cristo il criterio di giudizio del mondo. E infatti ieri non poteva mancare la parola definitiva di Alberto Melloni su Repubblica, che ribadisce: «Il bersaglio non era questa o quella legge. Era papa Francesco come espressione della fede cristiana». Ma poi entra nel dettaglio, ed ecco un esempio della sua inconfutabile ricostruzione del complotto: «Il mondo reazionario che occupa e cannibalizza i conservatori europei deve infatti espugnare il papato per poter consolidare l’Amalgama Nera che per questo obiettivo salda la componente clerico-fascista del tradizionalismo cattolico, l’evangelicalismo suprematista antisemita e le correnti dell’ortodossia contaminate dall’autoritarismo. Una Amalgama Nera trans-confessionale il cui odio investe tutte le ossessioni dell’integrismo: donne ed ebrei, istituzioni democratiche e antropologie, libertà». Giuro che ha scritto proprio così. E non c’è altro da aggiungere.(Riccardo Cascioli - Fonte)

5 commenti:

Anonimo ha detto...

"La famiglia è attaccata per far sì che l’uomo sia più solo, e non abbia tradizioni in modo che non veicoli responsabilmente qualcosa che possa esser scomodo per il potere o che non nasca dal potere.“
(Don Luigi Giussani)

Anonimo ha detto...

Luca Ricolfi per Il Messaggero, sulla questione di Torre Maura

"Semplicistico prendersela con l’ira popolare senza comprenderne le ragioni.

Prima ragione. La gente non capisce perché si continui a parlare di periferie degradate, della necessità di riqualificarle, dell’urgenza di un ritorno della politica nei quartieri, e poi non riesce né a tener pulite le strade (che è il minimo sindacale per un’amministrazione), né a garantire la sicurezza (che è il minimo sindacale per uno Stato), e come se questa assenza non fosse già abbastanza colpevole scarica su un territorio già stremato i problemi di specifici gruppi sociali (migranti e rom), peraltro noti per un tasso di criminalità superiore alla media.

Seconda ragione. La gente non capisce perché un cittadino italiano ordinario, per vivere, debba sbattersi in cerca di un lavoro e di una casa, mentre alcuni gruppi sociali “speciali” paiono godere di una sorta di diritto a reddito e alloggio. E ancor meno capiscono che altre minoranze sventurate, questa volta costituite da cittadini italiani, non godano di altrettanti diritti e attenzioni (“andate via, fate venire i terremotati che stanno sotto la neve!” è una delle frasi che si sono ascoltate durante le proteste a Torre Maura).

Terza ragione. La gente non capisce la “terza via” (inflessibili con i delinquenti, accoglienti con le persone fragili) perché sa perfettamente come andrà a finire: il lato buonista premierà le persone fragili (o presunte tali), il lato cattivista resterà lettera morta. Perché è facilissimo spendere soldi dei contribuenti o dell’Europa per gestire l’accoglienza, è praticamente impossibile arginare i comportamenti illegali (le periferie non sono sufficientemente presidiate dalle forze dell’ordine, intere porzioni del territorio sono in mano alla criminalità, chi infrange le leggi può tranquillamente essere arrestato e liberato decine di volte).

C’è però anche un altro modo di mettere le cose. A giudicare dai resoconti della protesta, dalle frasi e dagli slogan che si sono sentiti, il sentimento centrale che pare animare la protesta non è l’odio ma, forse più semplicemente e umanamente, un forte, fortissimo, disperato senso di ingiustizia. Chi fatica a sbarcare il lunario in un quartiere degradato, non riesce a capire perché i migranti non siano inviati in altri quartieri delle città (già: perché?), soprattutto in quelli del politicamente corretto i cui abitanti manifestano orgogliosamente in favore dell’accoglienza. Ma soprattutto non capisce un’altra cosa: perché, nella distribuzione delle risorse pubbliche, la maggior parte dei cittadini siano lasciati soli, a giocare la loro difficilissima battaglia individuale per la sopravvivenza, mentre ad alcuni gruppi e minoranze (rom e migranti innanzitutto) è accordata una speciale precedenza e attenzione, il tutto senza che alcun merito, o fragilità estrema, giustifichi una tale differenza di trattamento."

Anonimo ha detto...

http://www.occhidellaguerra.it/la-rivolta-dei-partiti-populisti-che-fa-tremare-lunione-europea/

Anonimo ha detto...

“È il segno che io sono di Gesù...Non posso lasciare la mia veste: è il segno che io appartengo al Signore”...così Rolando Rivi, seminarista quattordicenne ucciso dai partigiani rossi nel modenese, nel triste "triangolo della morte" emiliano, il 13 aprile del 1945 (mancavano ancora dodici giorni al famoso 25), si riferiva alla sua talare, che non volle lasciare neanche per aver salva la vita; a quanto pare un seminarista quattordicenne, che non si era mai occupato di politica nella sua breve vita, era un pericoloso "nemico del popolo".
"Domani un prete di meno"; "Non cercatelo. Viene un attimo con noi partigiani". La prima cosa la dissero tra di loro, la sera prima di rapire Rolando, i suoi carnefici, e la seconda la scrissero in un biglietto che lasciarono ai genitori; l'"un attimo" diventò un "per sempre", in un bosco, dopo tre giorni di sevizie.
Il nome di Rolando Rivi resistette, pur nel silenzio dovuto alla censura e alla violenza, per quasi settant'anni, mentre del nome dei suoi assassini non c'è quasi più memoria e il mondo che hanno costruito sta andando in frantumi; Rolando è, suo malgrado, un eroe e una vittima, i suoi carnefici sono invece dei semplici assassini e nulla più. Un anno fa la figlia di uno di loro ha chiesto perdono per il gesto del padre; anche in ciò Rolando ha vinto, mentre dei suoi assassini si è ribadita la sconfitta...

Anonimo ha detto...

http://www.affaritaliani.it/politica/il-consiglio-d-europa-ha-schedato-i-politici-sovranisti-ecco-i-dossier-599337.html