domenica 8 marzo 2020

Invece della moschea il sindaco inaugura i giardini Oriana Fallaci

Il cambiamento si fa strada anche anche a piccoli passi. Ha da passà a nuttata!

Un parco in centro dedicato alla scrittrice che ci aprì gli occhi sulla minaccia jihadista
«Giardino Oriana Fallaci». Il messaggio che il sindaco di Sesto San Giovanni vuol mandare è molto chiaro, come la direzione di marcia della sua amministrazione: due anni fa la città alle porte di Milano stava per avere una grande (e controversa) moschea, adesso ha un luogo pubblico intitolato alla grande giornalista e scrittrice, diventata simbolo di una riscossa morale contro la minaccia islamista e fondamentalista.
Di questo ha parlato il sindaco, Roberto Di Stefano, inaugurando il giardino, che si trova in pieno centro, a 500 metri dal Municipio, tra le vie Italia, Guerra e Manzoni, vicino a un edificio storico come villa Puricelli Guerra. Sesto è stata a lungo una città simbolo della sinistra, e una roccaforte elettorale del Pci, e poi del Pd, fino a due anni fa, quando proprio il centrodestra guidato da Di Stefano, con un robusto contributo civico ha vinto le elezioni puntando anche sul «no» al grande centro islamico che doveva sorgere in via Luini, fra incongruità tecniche e ombre mai del tutto chiarite sui finanziamenti.

E proprio la sinistra non deve aver troppo gradito la scelta, visto che alla cerimonia di ieri non si è fatto vedere nessuno dell'opposizione. Nessuna dichiarazione o polemica pubblica, a dire il vero, ma qualcuno deve aver storto la bocca, per una scelta che certo non omaggia i dettami del politicamente corretto. Di Stefano ha parlato di una donna coraggiosa e «scomoda», come Fallaci era, difficilmente catalogabile negli schemi della destra e della sinistra. Una donna libera, simbolo anche di coraggio femminile, da guardare con ammirazione dunque alla vigilia dell'8 marzo. Una figura che ha ancora molto da dire insomma: «Un simbolo anche ideologico - dicono in Comune - per chi come noi ha sempre portato avanti una politica di difesa delle nostre tradizioni (vedi consegna presepi nelle scuole)». «Siamo particolarmente orgogliosi di aver dedicato un luogo della nostra città a una grandissima italiana come Oriana Fallaci - ha commentato il sindaco - Ha onorato il nostro Paese con i suoi libri, i suoi reportage, le sue inchieste giornalistiche e le sue interviste ai grandi della Terra». «Abbiamo voluto fare questa intitolazione nel periodo della Festa della donna, - ha detto anche - proprio per ricordare una donna coraggiosa, nota in tutto il mondo».

Ma ovviamente il nome Fallaci viene associato soprattutto alla «rabbia e all'orgoglio» con cui, dopo il 2001, con un trilogia mise in guardia l'Occidente sull'attacco jihadista. «È stata lungimirante - ha detto Di Stefano - nel descrivere, in contrasto con il buonismo imperante, la minaccia del fondamentalismo islamico e la nostra debolezza nell'approccio verso gli estremisti. Dopo l'11 settembre ha descritto la minaccia del terrorismo islamico, anticipando, purtroppo, la lunga serie di attentati che ha sconvolto l'Europa e non solo. Riecheggiano ancora oggi le sue esortazioni all'Occidente a svegliarsi. Ha difeso, con tutta la forza e passione che aveva, i nostri valori, le nostre tradizioni, la nostra cultura, la nostra identità spesso sacrificati in nome del politicamente corretto». Per Sesto, ora, Oriana Fallaci è «ancora un simbolo e uno dei grandi nomi di cui l'Italia deve essere fiera». Fonte

4 commenti:

Anonimo ha detto...

LA TRANSIZIONE OCCIDENTALE. Scriverò di un tema che non può stare in un post e quindi già iniziamo con una grave contraddizione poiché il post lo scrivo lo stesso. Mi sembra giusto avviare ora pubblica discussione sul tema perché non possiamo sempre limitarci a leggere ciò che accade “dopo”, dopo è tardi. Questo periferico articolo su un giornale che riflette la mentalità dominante, è molto interessante ed a suo modo importante poiché ha il merito di esplicitare un tema di cui si discute da un po’ e che gli ultimi eventi porteranno sempre più in primo piano.

L’articolo dice in breve che: 1) è in corso da tempo una divergenza tra democrazia e capitalismo “spina dorsale del’Occidente da più di due secoli” (?); 2) il capitalismo ha funzionamenti suoi propri che la democrazia non riesce a governare ed in alcuni casi correggere; 3) la democrazia rappresentativa sta diventando irrilevante e sale il richiamo alla democrazia diretta; 4) ma la democrazia diretta presuppone altissimi livelli di preparazione politica di modo da rendere superflua l’intermediazione; 5) nei fatti questo altissimo livello di preparazione non esiste; 6) il tutto converge verso il rischio di scelte non adatte alla complessità del momento storico il che si traduce nel rischio di un dispotismo invocato dal basso; 7) ci sono in dibattito alcune soluzioni proposte per queste equazioni difficili, ma non convincono; 8) l’Autore (se ho ben capito) propone un innalzamento della scuola dell’obbligo legando il diritto di voto all’ottenimento del certificato di superamento esame finale, ad esempio, della maturità liceale. Ripeto, l’articolo più che in sé, è interessante come esemplare di una sempre più vasta collezione di ragionamenti pubblici (ed immagino che in certi ambienti quelli “privati” saranno anche molti di più) sul futuro della convivenza tra democrazia e sistema economico moderno che i più chiamano “capitalismo”, in Occidente.

Anonimo ha detto...

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Su questa materia ancora fluida in termini di sviluppo teorico, s’innestano i fatti recenti. Qui siamo ancora in corso d’opera ed improprio è trarre conclusioni su fatti in via di sviluppo. Però, sembra avanzarsi un cambio di atteggiamento importante nei confronti del modello cinese. Accentramento della decisione in pochissime mani, gestione delle dinamiche sociali perturbate da eventi catastrofici tramite controllo elettronico, scala delle priorità secca (ovvero stabilire quale bene maggiore subordina ogni altro, ad esempio “uscire dalla crisi coronavirus al più presto possibile, poi anche al meglio possibile ma soprattutto al più presto”) sono un modello. Poiché le nostre società saranno sempre più attraversate da queste perturbazioni catastrofiche, s’incomincia a pensare opportuno un modello di gestione della società che risponda a logiche di “emergenza permanente”. La tentazione del dispotismo epistocratico (il potere di chi sa) aleggia nel discorso pubblico da tempo. Il “potere di chi sa” è ancora tema astratto, cosa debba sapere questo potere non viene detto, l’importante è dire che presuppone competenze (di cosa?) che non sono di comune distribuzione.

Indubbiamente il momento è critico e non mi riferisco alla contingenza dei fatti delle ultime settimane, questo argomento è sul tavolo da tempo e vi rimarrà anche dopo la flessione della curva del fenomeno in atto. E’ un argomento centrale della transizione occidentale e che l’Occidente sia in transizione tra una fase storica ed un’altra, tema da noi sollevato potrei dire da qualche anno, è ormai dato sempre più condiviso. Le percezione pubblica di questi passaggi complessi ha bisogno di catalizzatori e l’epidemia in corso (ormai una pandemia) finirà con lo svolgere questa funzione. Ma i catalizzatori servono al pensiero per concentrare la percezione e l’attenzione, i fatti sottostanti sono ben più ampi e di lunga durata.

Anonimo ha detto...

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Questo solo per presentare il tema che lascio alla pubblica discussione. Volendo aggiungere una opinione direi che: 1) il sistema politico sviluppato in Occidente e chiamato “democrazia” abusa del valore di un termine sovraimposto ad un sistema che non vi corrisponde neanche volessimo concedergli una ampia tolleranza all’imprecisione dei sistemi concettuali sfumati; 2) nei fatti, in senso assoluto e non relativo, “democrazia” è l’esatto opposto di “capitalismo” non foss’altro per il semplice fatto che il primo è principio nel Politico ed il secondo nell’Economico, il primo si riduce al potere dei Molti, il secondo dei Pochi che gli è simmetrico inverso logico. Nelle società occidentali, l’ordinatore è l’Economico, non il Politico, non lo è mai stato contrariamente a quanto affermato in generale e qui ripetuto dall’Autore dell’articolo; 3) qualche brandello di “democrazia” s’è estorto a partire dai primi del Novecento, concesso a fatica, ritirato nel trentennio bellico per totalitarismi e cause di forza maggiore, ripristinato quando il capitalismo occidentale ha vissuto la sua fase di massimo splendore (1945-1975), progressivamente sabotato da allora fino alle penose condizioni attuali; 4) l’era complessa pone all’Occidente un serissimo problema di ordinatore poiché pare chiaro che l’ordinatore inventato dagli inglesi nel 1689 (una società ordinata dal fare economico che esprime delle élite che fanno le leggi della società tramite un parlamento), non può replicarsi in un mondo completamente trasformato dagli ultimi più di tre secoli; 5) il tema della transizione è quindi il problema dell’adattamento, come adattare le forme sociali occidentali al mondo nuovo; 6) élite e forme sociali dell’ordinatore resisteranno fino allo stremo e con tutta la forza di cui sono capaci, prima di ammettere che non c’è altra via di transizione possibile, che cambiare ordinatore.

Anonimo ha detto...

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temi sollevati da questo articolo vanno meditati, è un fatto inequivocabile che la democrazia nel suo senso più proprio presupporrebbe la conoscenza profonda di ciò di cui si dovrebbe decidere ed è un fatto inequivocabile che lo stato della conoscenza, la generale non più della specialistica, sia del tutto fuori registro rispetto a queste richieste di parametro. Altresì, è un fatto che la democrazia, la sua cura e sviluppo, non ha una sua teoria sviluppata, non ha forze sociali e politiche che ne facciano loro prioritaria missione. Nessuno si occupa della domanda “chi decide?”, si occupano tutti della domanda “cosa si decide?”. Socialisti, sovranisti, comunisti, liberisti, social-democratici, conservatori, nazionalisti, globalisti, neo-fascisti e tutti gli altri, hanno tutti modelli di società e spesso di forme economiche, sistemi di valori ed interpretazioni del bene comune e della forma sociale complessiva, nessuno però ci fa sapere chiaramente con quale sistema vorrebbe arrivare a decidere e mettere in pratica la sua ipotesi di società. Cosa decidere, logicamente parlando, viene dopo l’aver stabilito di chi decide. Il primo capitolo del contratto sociale è appunto decidere chi decide, solo dopo ci riuniremo a discutere le varie visioni del mondo. La battaglia politica dei prossimi trenta anni in Occidente, si svolgerà in questo perimetro, come s’è sempre svolta in tutti i cinquemila anni di sviluppo delle società complesse. Prima di allora, quando i gruppi umani erano piccoli, mobili, elastici ed adattivi, alla domanda “chi decide?” rispondevano “tutti” perché tutti sapevano del tutto. Dall’inizio della civiltà, alla domanda fatta a gruppi sociali ampi, anelastici e frazionati in visione di spicchi del tutto, hanno risposto solo alcuni, i Pochi. Di una certa etnia dominante le altre, di una certa anagrafe dominante le altre, di un certo genere dominante l’altro, di certe famiglie dominanti le altre, di certe funzioni (clero, militari, mercanti) più importanti delle altre, di certe classi sociali dominanti le altre, di certe nazioni dominanti le altre, di certe civiltà dominanti le altre. Quello che viene chiamato capitalismo è solo declinazione di una categoria maggiore, il governo sociale dei Pochi su i Molti.

Questa è la sfida politica centrale: rimanere ad osservare l’ennesima trasformazione adattiva del potere dei Pochi che troverà come al solito, ottime ragioni e giustificazioni per riaffermare il suo primato o opporgli l’opposto principio. Ma sul come e chi dovrebbe farlo, siamo molto, ma molto lontani dal chiarircelo. (Pierluigi Fagan)
https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2019/01/19/democrazia-rischio-deriva-autoritaria/