martedì 4 maggio 2021

Ma neanche ora gli italiani non sono tutti brava gente

Amo Veneziani, il suo stile schietto e graffiante insieme alla sottile ironia che scaturisce dal suo uso sapiente e disinvolto del linguaggio e di metafore geniali.
Egregio Presidente Draghi,
francamente non mi aspettavo che uscisse dal suo Recovery plan per inseguire Mattarella, il mainstream e il palco delle autorità in tema di Resistenza e “nazifascismo”. La vedevo troppo concentrato sul piano economico, dove gioca più suo agio, per avventurarsi sulla breccia in temi storici e civili, a forte valenza ideologica e a forte impatto divisivo nel paese; mi aspettavo che, come per la sanità, lasciasse dire e fare agli altri, naturalmente acconsentendo e garantendo le linee di confine. Ma rispetto i ruoli, le convinzioni, gli obblighi rituali e vaccinali del regime, e non entrerò nel merito dei suoi giudizi storici e del suo anti-revisionismo.
Vorrei solo dedicare una postilla alla sua affermazione che è diventata titolo dei giornali e dei telegiornali: “noi italiani non fummo tutti brava gente”. Di quella frase si può condividere tutto meno il verbo declinato al passato, che mi pare piuttosto ipocrita, se non menzognero.

Certo, gli italiani non furono in quel frangente tragico tutti brava gente: troppi morti scannati per guerra civile, anche innocenti, tanti massacratori e aguzzini, delatori e servi, fanatici di ogni versante e vigliacchi di mezzo. E i voltagabbana, i profittatori, i traditori furono davvero tanti. Per indole, per necessità, per l’antica legge bestiale “mors tua vita mea”, per fragilità o perché “tenevano famiglia”. Non solo non furono tutti brava gente, ma molti, troppi furono canaglie e bisce in quei frangenti. Siamo paese di “bravi” anche in senso manzoniano, e di bravate non solo scurrili.

Le catastrofi e le guerre di solito scatenano il bene e il male latenti o poco accentuati in condizioni normali: la guerra porta allo scoperto e alla massima tensione eroismi e viltà, carogne e sciacalli ma anche leoni e colombe. Del resto, è sempre stupido generalizzare parlando di popoli interi: e quegli italiani brava gente, che fu il titolo di un film di guerra divenuto proverbiale – o un proverbio divenuto titolo di un film – rientrava nella retorica nazionale, nelle narrazioni confortanti che così spesso ci raccontiamo per sentirci migliori. Esattamente come è retorica la divisione manichea che spacca da secoli il nostro paese in brava gente o brutta gente a seconda della parte in cui si è collocati, a favore o contro la corrente, e che domina in modo particolare da decenni sui temi della resistenza e dintorni.

Quando mai i popoli interi sono costituiti da brava gente? E con tutta questa caterva di mafiosi, di criminali, di ladri, di guappi, di ipocriti, di sfruttatori, di disonesti che ci ritroviamo oggi, sarebbe davvero fuori luogo sostenere che quel titolo “edificante” risponda o rispondesse a verità. Semmai quel che si può dire è che brava gente c’era, e c’è, in più versanti e non solo da una parte; col sottinteso che mala gente ci fu, e c’è, in più versanti e non solo da una parte. Sono verità elementari, ovvie, ma a volte si perde il senso della realtà, accecati da forme di egemonia e suprematismo.

Qualche residuo senso veritiero, l’affermazione generica e generale degli “italiani brava gente” lo conserva o forse lo conservava, riferendosi all’indole laboriosa degli italiani, allo slancio affettivo dei nostri legami famigliari e comunitari, alla socievolezza a sfondo umanitario delle nostre relazioni, a un innato e cristiano senso della pietà, della premura, a volte della carità e del soccorso. Quegli italiani “buoni cristiani”. Si è sempre usata a rovescio la nostra proverbiale ma presunta inattitudine alla guerra e alle sue crudeltà, rispetto ad altri popoli più bellicosi o feroci, come un segno della nostra natura di brava gente, refrattaria alle armi. Dimenticando peraltro la vocazione nostrana alla guerra civile, al fratricidio, alla litigiosità, alla guerra di fazione e di campanile ed altre forme incruente ma incivili di odio e di violenza.

Comunque, egregio Presidente, ha avuto facile ragione a dire che non tutti fummo brava gente. A parte, ripeto, l’ipocrisia di usare quel “fummo”, che nasconde le miserie del presente e i limiti di un’indole che non appartiene solo al passato o a una sua fase specifica. Va aggiunto a tale proposito un’osservazione: il popolo che poi si votò, anche in senso elettorale, alla libertà e alla democrazia, alla pace e all’antifascismo, era lo stesso popolo che pochi anni prima si era votato al fascismo, tributandovi grande consenso, fino ad acclamare una guerra sciagurata. Era la stessa “brava gente”.

Ma qui non vogliamo parlare di fascismo e antifascismo. Stiamo parlando del popolo italiano e della sua indole. Chi rappresenta l’unità della nazione, e in un eccezionale momento storico l’unità delle forze politiche come quello presente, ha il dovere di ritrovare più i motivi di concordia e di incoraggiamento che rituffarsi nel passato a pescare motivi di divisione e di disprezzo. Un motivo in più per uno come lei che ha fama di eurocrate esterofilo (“quello dello Yacht Britannia”), espressione di oligarchie transnazionali. Deve farlo non solo per carità di patria ma per motivare un popolo a rialzarsi, a riprendere a camminare, a riaprirsi alla vita. Prima che tanti si stanchino di questa situazione e reagiscano in modo brusco. Anche la brava gente.
Marcello Veneziani, La Verità 27 aprile 2021

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