sabato 6 novembre 2021

Quando il virus si chiamava spread

Dieci anni fa, di questi tempi, l’Italia contrasse un virus letale e una tremenda pandemia che portò alla morte il governo in carica eletto liberamente e democraticamente dal popolo sovrano. Era un virus sconosciuto e velocissimo nella sua propagazione, mai sentito prima d’allora e mai più sentito dopo di allora, che stava portando il Paese in un baratro da cui non si sarebbe più ripreso, fuori dall’Europa o sotto i suoi stivali. Quel virus si chiamava spread, precursore del covid, e ogni giorno ci spiegavano che era il differenziale di rendimento dei Btp, i Buoni del tesoro, con i bund tedeschi.

Lo spread misurava la febbre debitoria del nostro paese e urgeva di terapia d’urto, ma di quelle drastiche e tempestive. Non c’era bisogno di costringere la popolazione agli arresti domiciliari e poi al vaccino e al green pass, come è stato col covid: quel virus si poteva debellare stroncando il suo veicolo, ossia il governo in carica. Come il pesce puzza dalla testa, così lo spread puzzava dal capo del governo.

Strana era la genesi di questo virus, sfuggito dal laboratorio d’Arcore dove operava il Gran Visir del tempo, Silvio Berlusconi e la sua corte lussuriosa. Pur avendo una natura economico-finanziaria che attaccava le banche, il debito sovrano e i bilanci dello Stato, il virus era stato contratto dal Presidente del Consiglio dell’epoca come una malattia venerea, contagiosa, curiosamente definita bunga-bunga. Si stabilì infatti un nesso magico e inspiegabile tra il virus finanziario e i comportamenti sessuali dissoluti del suddetto, noto al tempo per via del gineceo e della sua corte sfarzosa come Il Sultano, secondo la definizione che ne diede l’illustre politologo Giovanni Sartori. Il Sultano-Visir aveva aperto le porte della sua Alhambra a Zoccolandia, un variegato universo di odalische allegre e procaci, anche marocchine, specializzate nella danza del ventre e secondo gli inquirenti, del basso ventre; alcune furono considerate appartenenti a un ordine di suore laiche, molto laiche, dette olgettine, con la elle, anche se molti traducevano con orgettine. Per la prima volta gli italiani appresero che le escort non erano autovetture ma donne di piacere con rimborso a piè di lista. Berlusconi veniva salutato dal mondo intero come Priapo, re di Troia, e i magistrati, i giornaloni e i giornaletti, i poteri forti, fortissimi ma anche deboli, ne chiedevano l’incriminazione e la messa al bando. Lo spread incalzava, non c’era più tempo di restare in vigile attesa ricoverati nel lettone di Putin, con gaudenti infermiere soccorritrici, fino a che passava il virus.

Fu così che dopo mesi di terapie mediatico-giudiziarie intensive, e dopo un periodo lungo di lockdown per il governo in carica, con episodi clamorosi di pentitismo tra cui quello del convertito Fini, che ripudiò la sua appartenenza all’alleanza sultanesca, il Gran Visir abdicò, gettò la spugna, lasciò la guida del paese col suo governo dimissionario. Fu proprio nel novembre del 2011, giusto dieci anni fa.

Il presidente dell’epoca, Giorgio Napolitano, che aveva molto operato per frenare il combinato disposto di spread e malattie veneree, con l’appoggio del Parlamento e dell’Europa, varò un governo di salute pubblica, che ebbe l’appoggio curioso dello stesso premier uscente, del suo partito e dei suoi alleati pentiti. Il presidente Napolitano annunciò l’arrivo di un vaccino portentoso, approvato dalle cancellerie europee e dai maggiori virologi della finanza. A somministrarlo fu chiamato l’esorcista antispread Mario Monti, che accettò a patto che fosse prima immunizzato da ogni rischio, ottenendo come polizza il Senato a vita. Con lui arrivò una corte di terapeuti prodigiosi, tra cui la fattucchiera Elsa Fornero. Nel giro di poco tempo calò lo spread, e dopo pochi mesi quel virus, di cui nessuno, almeno tra la gente, aveva mai sentito parlare, scomparve, si volatilizzò. Chi parlò più di quel virus, chi lo nominò o lo paventò nei tempi che seguirono?

Molti furono i medici che poi si avvicendarono dopo il taumaturgo Monti per salvare l’Italia; ci fu il serenissimo Letta, poi il fenomenale Renzi, poi il conte Gentiloni, poi il sarchiapone Conte uno e due, infine Draghi felicemente regnante, domatore di virus finanziari e sanitari. Ma lo spread diventò una favola dei fratelli Grimm. E pensare che oggi in Cassazione si parla ancora delle “cene eleganti” di Berlusconi ma dello spread nessuno sa più nulla. Del resto, prima che arrivasse lo spread, l’Italia passò incurante dalla crisi mondiale innescata dalla crisi americana del 2008 perché la nostra priorità assoluta, in quel tempo, era stabilire se Berlusconi usasse o meno una salvifica pompetta per le sue relazioni galanti, se abusasse o no di minorenni, se avesse offerto doni o solo cene alle sue avvenenti ospiti. Della crisi finanziaria chi se ne curava?

Rafforzava quell’immagine di Orco dall’infrenabile orchite, anche la torva diceria dei suoi malaffari, che erano nella media della grande imprenditoria italiana; simili dicerie toccavano gli Agnelli, i de Benedetti, i Benetton ma solo quelle berlusconiane erano considerate scorribande criminali, anzi mafiose.

I suoi governi non furono la svolta e la salvezza dell’Italia ma nemmeno la dittatura e la catastrofe, come furono invece presentati. È però curioso notare che l’ultimo governo uscito davvero dalla urne fu bruciato in quella miscela infame e in quel trappolone chiamato spread. Fu l’ultimo governo di centro-destra. Una lezione per il futuro. Salvini, Meloni e il recidivo Berlusconi sono avvisati.
Marcello Veneziani, Panorama (n.46)

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