martedì 12 marzo 2019

Cancellano la memoria per cancellare la nostra civiltà – Antonio de Felip

Il violento attacco in corso contro la nostra civiltà europea, greco-romana e cristiana da parte delle forze liberal, decostruzioniste, sostenute e incarnate dall’alleanza tra alta finanzia e una feroce ideologia della “correttezza politica” procede, con tappe progressive, su diversi fronti tra loro collegati: l’immigrazione/invasione che mira alla Grande Sostituzione dei Popoli; la distruzione sistematica della famiglia e della morale naturale attraverso il denatalismo, l’abortismo, l’omosessualismo e l’ideologia gender; il sovvertimento dottrinario e morale della Chiesa dal concilio in poi; la corruzione del linguaggio e l’introduzione di parole-truffa (come “razzismo”, “antirazzismo”, “omofobia” e molte altre ancora) imposte per impedire il libero pensiero (perché “si pensa con le parole”).

Ma tutto ciò non è sufficiente per l’obiettivo di distruzione finale della nostra civiltà. Per costruire una società-mondo fatta da consumatori-schiavi resi meticci, standardizzati nei pensieri, nei desideri e nelle azioni, dimentichi di ogni valore tradizionale e identitario, per la riuscita del più gigantesco e malvagio progetto di ingegneria sociale mai ideato, occorre distruggere sistematicamente, se necessario anche con la violenza e leggi liberticide, ogni retaggio culturale, storico, civile, obliterando la memoria e l’identità dei popoli.

Tremendamente emblematico è ciò che sta avvenendo nel mondo anglosassone, dove questo processo di cancellazione della memoria, della storia e della cultura occidentale è, forse, più avanzato. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna un variegato fronte autodefinitosi “antifa” e composto da antirazzisti, “paladini dei diritti civili”, nativisti, anticolonialisti, femministe e attivisti omosessualisti, leftist di ogni natura sta conducendo un sistematico kulturkampf, aggressivo e spesso violento, contro la memoria e la storia. Negli Stati ex-Confederati è in atto una sistematica, violenta distruzione di tutte le migliaia di monumenti che nel Sud commemorano i combattenti e gli eroi Confederati, monumenti considerati “retaggio razzista”. Statue che ricordano i caduti sudisti, il generale Lee, il generale Forrest, il generale Jackson e altri eroi della guerra degli Stati (come la chiamano al Sud) vengono distrutte, vandalizzate, rimosse.

Si tratta di atti violenti di attivisti liberal, di aderenti al movimento anti-bianco Black lives matter, dei gruppi di ultrasinistra e dei Social Justice Warriors, movimento marxista che raggruppa estremisti neri, gruppi LGTB, anarco-comunisti. Questi gruppi sono legati alla sinistra liberal del Partito Democratico e spesso finanziati dalla Open Society Foundation di George Soros. Inoltre, le demolizioni dei monumenti sudisti avvengono anche ad opera delle amministrazioni locali dominate da fanatici del politically correct. E quando, come a Charlottesville nel 2017, la popolazione si ribella alle distruzione e manifesta in difesa dei monumenti (in questa città della Virginia si trattava di una statua in onore del generale Lee), viene violentemente aggredita a sprangate dai facinorosi attivisti liberal e impedita di esprimere la sua opinione.

Gruppi di pressione di sinistra censiscono i monumenti storici sudisti da colpire e incitano alla loro distruzione. Questa isteria antirazzista non colpisce solo grandi città, ma anche località minori, cimiteri militari, scuole e università. In numerosi Stati la bandiera Confederata è stata posta fuori legge “su ordine” dei movimenti antirazzisti. È un gigantesco progetto di distruzione culturale dell’identità del Sud e dei suoi simboli, di diffamazione della sua memoria, di diffusione di falsità sulla sua storia, di odio e disprezzo delle sue radici, dei suoi valori, dei suoi eroi, che si accompagna a un continuo processo di “rieducazione culturale” antirazzista al quale i cittadini del Sud sono sottoposti fin dall’infanzia.

Tuttavia, gli attivisti anti-bianchi, spesso appoggiati dalla stampa mainstream, non vogliono fermarsi ai soli monumenti confederati: sono ormai innumerevoli gli attacchi ai monumenti dei “Padri della Patria”, come George Washington e Thomas Jefferson, considerati “schiavisti” e “colonialisti”. L’odio antifa viene addirittura “retrodatato” contro Cristoforo Colombo, considerato anch’egli “colonialista” e “suprematista”. In decine di Stati e di città USA, tra le quali Los Angeles, la festa del Columbus Day è stata abolita e sostituita con una “festa per gli indigeni americani”. Si moltiplicano gli atti vandalici contro le statue del navigatore genovese, come a Baltimora, dove il più antico monumento dedicato a Colombo negli USA, un obelisco del 1782, è stato gravemente danneggiato da attivisti antifa. A New York il sindaco di sinistra Bill De Blasio ha istituito una commissione per decidere la rimozione delle opere che possono “incitare all’odio”, tra cui il monumento a Cristoforo Colombo. Nell’Università di Notre Dame dell’Indiana la figura di Colombo è stata cancellata dagli affreschi che ornano i muri dell’Università.

L’isteria antirazzista e anticolonialista è arrivata al punto di ottenere che la municipalità di San Francisco rimuova un gruppo marmoreo che mostra un frate che si china su un indiano semisdraiato per benedirlo, simbolo della conversione al Cristianesimo delle tribù native. La scultura è stata dichiarata “razzista e irrispettosa” e addirittura “promotrice di genocidio”. La stessa follia antirazzista che a Pittsburgh, in Pennsylvania, ha determinato la rimozione della statua del musicista americano Stephen Foster, autore della famosissima canzone “Oh! Susanna”.  La colpa della povera statua? Rappresentare un negro che suona il banjo seduto ai piedi del musicista. 
Così come in USA vogliono distruggere i monumenti confederati storici, la stessa coalizione leftist di antifa, antirazzisti, femministi, nativisti vuole distruggere i monumenti “culturali” e identitari “dell’uomo bianco” nella storia, in letteratura, in linguistica, persino in geografia e nelle materie scientifiche. È quella che Renato Cristin definisce “de-identificazione” e Eric Emmour “de-culturazione”. Sempre Cristin ci ricorda che agli Europei e agli americani bianchi oggi viene imposto “di prostrarsi all’altro […]. E questa prostrazione deve essere a priori e va inculcata a tutti, in primo luogo ai giovani e persino ai bambini. Qualsiasi reazione a questa logica autodistruttiva va perseguita e se possibile punita.”.

Questo attacco sta avendo un picco di virulenza nel mondo delle Università anglosassoni, anche le più prestigiose: l’obiettivo, chiarissimo, è di obliterare, spesso anche con la violenza e l’intimidazione, la memoria culturale classica e la storia del mondo e forgiare una classe dirigente priva di radici, storia e identità, imponendo “sensi di colpa” a tutti gli studenti e docenti bianchi.

L’obiettivo del decostruzionismo leftist, antirazzista, femminista è di epurare tutti i corsi di studio dai nomi e dalle opere di quelli che, spregiativamente, chiamano DWEM (Dead White European Males, Uomini bianchi europei morti), per fare spazio a sconosciute autrici (e anche autori) purché di colore, lontani e avversari della cultura occidentale. Denuncia Giulio Meotti ne Il suicidio della cultura occidentale: “I multiculturalisti nell’accademia e nelle altre istituzioni culturali – musei, fondazioni, intrattenimento, giornalismo – denunciano l’Occidente come razzista, imperialista ed etnocentrico. Postulano un’infinita idealizzazione dell’altro, il clandestino, il rifugiato, la donna, l’omosessuale, il malato di mente, il bambino, l’animale”.

A Cambridge, femministe hanno ordinato che testi di Shakespeare vengano preceduti da una nota minacciosa: “contiene scene di violenza sessuale che potrebbero turbare”. A Oxford, studenti leftist vogliono imporre, in nome dell’anticolonialismo, l’eliminazione di una statua di Cecil Rhodes.

L’Istituto di Psichiatria e Neuroscienze del King’s College di Londra ha annunciato di voler rimuovere dall’atrio i ritratti dei suoi padri fondatori (ovviamente tutti bianchi), perché renderebbero l’ambiente “intimidatorio” per i non bianchi. Alla Soas, università di orientalistica sempre a Londra, collettivi studenteschi hanno manifestato perché filosofi come Platone, Cartesio e Kant vengano rimossi o drasticamente ridimensionati per sostituirli con “filosofi” africani o asiatici.

Il Dipartimento di Inglese dell’università di Yale ha ceduto alle imposizioni degli studenti di sinistra e antirazzisti e ha reso facoltativi lo studio di classici come Shakespeare, Chaucer o Milton. Così gli studenti potranno ora laurearsi in letteratura inglese senza aver mai letto questi giganti della letteratura anglosassone. In alternativa, possono però studiare autori extra-europei come il notissimo keniota Ngũgĩ wa Thiong’o.
Emblematico quanto accaduto all’Evergreen State College (USA). Studenti e docenti di sinistra avevano imposto al college di bandire dall’ateneo, per un giorno, tutti i bianchi. Un biologo, tra l’altro con credenziali di sinistra, Bret Weinstein, si permise di esprimere il suo dissenso. Nel campus scoppiò una rivolta che impose alcuni giorni di chiusura dell’ateneo. Per le violente minacce degli attivisti antirazzisti Weinstein e sua moglie (anche lei docente nel college), non difesi dall’ateneo, furono costretti alle dimissioni. In altre università anglosassoni gruppi di studenti hanno chiesto di censurare testi come Le Metamorfosi di Ovidio (per violenza sessuale) o Il Grande Gatsby (per antifemminismo)

All’Università di Manchester, un murale con la poesia If di Rudyard Kipling, una delle più belle mai scritte e che Montanelli definì un breviario dello stoicismo moderno, è stato cancellato da attivisti radical e coperta da una poesia di una sconosciutissima “poetessa” militante in gruppo antirazzista afro-americano. L’accusa a Kipling? Ancora una volta, quella di essere razzista e colonialista, per i suoi racconti e l’opera in cui parlava del “fardello dell’uomo bianco”.   

D’altronde questo attacco all’identità e alla storia non trova come unico ambito la sola università. Nel marzo del 2012 un’organizzazione non governativa per i diritti umani, Gherush92, ha chiesto, assieme ad alcuni membri del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite di bandire la Divina Commedia dai programmi scolastici perché “offensiva” nei confronti dell’islam.

È un continuo attacco all’Arte, alla Bellezza, alla Classicità. La direzione del Manchester Art Gallery ha deciso di ritirare un quadro di scuola preraffaellita, di John W. Waterhouse, che rappresenta un episodio mitologico, Ila e le Ninfe, queste ultime ritratte a seno scoperto. Persino le relative cartoline sono state ritirate dal bookshop. Ecco motivo ufficiale, in nome del femminismo: il ritratto “rappresenta giovani donne nude, presumibilmente minorenni, che attirano un ragazzo”. L’ipocrisia della curatrice del museo, Clare Ganneway, è giunta al punto di negare che si sia trattato di una censura. Il museo, ha dichiarato con sprezzo del ridicolo, voleva “suscitare un dibattito”.

 In effetti lo spazio del quadro è stato sostituito da un pannello sul quale i visitatori possono lasciare i loro commenti sulla decisione del museo, spazio che è stato prontamente riempito con proteste e contumelie per i responsabili. La stessa curatrice ha poi commentato come “infelice” la sala (titolata In Pursuit of Beauty, in cerca della Bellezza) dove era esposto il quadro: “perché rappresenta solo opere di artisti maschi che usano il corpo femminile come elemento decorativo passivo”.
Il mondo letterario, di Hollywood e dello spettacolo in genere è ormai preda della più rigida e censoria politically correctness: negli USA, la Association for library service to children, ha deciso di cambiare il nome di un suo premio letterario rimuovendo dallo stesso il nome di Laura Ingalls Wilder, brillante scrittrice nata nel 1867 e autrice del capolavoro per l’infanzia Little house on the prairie, da cui venne tratta la fortunatissima serie televisiva (continuamente riproposta anche oggi)  La casa nella prateria. Il motivo? La Ingall è stata accusata di avere avuto sentimenti razzistici. Nella solita, ipocrita “lingua di legno” l’associazione dei librai americani così ha giustificato la delirante decisione: “Le opere di Laura Ingalls spesso mettono in risalto sentimenti anti indiani e anti neri. L’Alsc riconosce che il lavoro della Signora Wilder non è universalmente accettato”. 

Questo attacco alla memoria e alla storia non ha solo il barbarico scopo di distruggere la nostra civiltà, ma anche quello, nichilistico e infero, di sostituirla con il nulla e con il caos, con il brutto e l’informe; perché senza memoria non ci può essere alcuna civiltà. Senza passato non c’è futuro, senza memoria non c’è progetto. Ce lo ricorda uno dei più illustri archeologici italiani, Andrea Carandini: “Recenti studi hanno dimostrato che pensare il futuro diventa impossibile senza la memoria del passato, perché i circuiti della mente che permettono di veleggiare tra i ricordi sono gli stessi che dipingono gli scenari del domani”.

5 commenti:

Japhet ha detto...

Per avere i fondi europei la Grecia deve lasciar sfrattare i poveri..


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Anonimo ha detto...

Era chiaro da tempo che, il vero obiettivo di questi “signori” fosse il patrimonio privato dei cittadini. Un disegno infame che doveva già essere stato fermato con decisione.

Anonimo ha detto...

Per salvare le banche tedesche e francesi. Banditi!!!

Anonimo ha detto...

Giorgia Meloni:
Giù le mani dalle case dei popoli europei! Per ottenere lo sblocco dei fondi europei la Grecia deve abolire lo stop ai pignoramenti sulle abitazioni delle famiglie insolventi. Le nostre proprietà sono il vero obbiettivo degli euroburocrati e degli speculatori, al prossimo Parlamento europeo faremo dichiarare la prima casa un bene sacro e impignorabile

Maria Guarini ha detto...

Ma intanto a favore della Grecia non interviene nessuno?