mercoledì 5 febbraio 2020

Sanremo. Parallelo calzante: Da Caravaggio alla merda d’artista inscatolata

Il festival della canzone di Sanremo è, da sempre, lo specchio della società che cambia e della quale è, per così dire, un infallibile sismografo. E di mutamenti nella società ve ne sono stati molti e decisivi, che hanno scandito il transito da un capitalismo ancora borghese, con il senso dell’autorità e del limite, al nuovo capitalismo assoluto di libero consumo e di libero costume. 
Il passaggio si evince limpidamente, se si osservano i mutamenti nelle canzoni e nei costumi degli artisti che si sono succeduti sul palco dell’Ariston. Fino ai giorni nostri, fino al tempo della “compiuta peccaminosità” e del “regno animale dello Spirito”. 
Il passaggio epocale si coglie, dicevo, nel mutare delle forme dell’arte e della canzone. Nel passaggio, se vogliamo dire così, da Caravaggio alla merda d’artista inscatolata. E, insieme, dagli artisti che si esibivano a Sanremo negli anni Sessanta a quelli che hanno solcato ieri sera il palco dell’Ariston.
In sintesi, è stato un osceno spettacolo di postmodernizzazione avanzata. Dove in primo piano è emersa l’usuale catechesi globalista, tesa a rieducare le plebi al politicamente corretto e all’eticamente corrotto. Non si dimentichi, a tal riguardo, che tutto era principiato con la rampognata inflitta al conduttore Amadeus, reo di aver violato il tabù genderisticamente corretto. 
Più volte, sul palco, Amadeus si è cosparso il capo di cenere, pagando il suo pegno al verbo unico politicamente corretto. Il non plus ultra della catechesi e del nuovo ordine mentale è stato raggiunto, ça va sans dire, con Rula Jebreal, la vestale del cosmopolitismo liberista, l’irriducibile nemica del populismo e del sovranismo, cioè del possibile ritorno di quelle sovranità popolari che altro non sono se non le democrazie tanto aborrite dai padroni no border e dai loro armigeri senz’anima.
La più squallida ortopedizzazione globalista delle masse. Quando avrà fine questo orrore, questo liquame arcobalenico, che serve solo a occultare la sacrosanta lotta di classe degli sfruttati contro gli sfruttatori?
L’oropedizzazione televisiva delle coscienze ha avuto un tema decisivo: l’aggressione al sacro. A partire dall’incipit – volgare quanto blasfemo – di Fiorello. Che, nei panni di un prete, ha penosamente simulato una messa in diretta. 
L’offensiva ai danni del sacro è seguitata con un artista dalle movenze e dallo sguardo stralunati, tale Achille Lauro: il quale addirittura ha emulato il San Francesco di Giotto, che si spoglia dei suoi averi. E si è esibito mezzo ignudo, senza ritegno. 
Offendere il sacro e i costumi non viola il codice politicamente corretto. Ne è anzi parte integrante. In sostanza, vedere Sanremo è utilissimo, per comprendere l’abisso di nichilismo e omologazione, di alienazione e instupidimento in cui l’Occidente è precipitato. (Diego Fusaro)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Diego Fusaro: ”Dopo aver passato la giornata sui classici come a Platone, ieri sera mi sono dilettato con l’orrore postmoderno del festival della canzone italiana di Sanremo, (…) spettacolo di omologazione ed istupidimento, di imbarbarimento dello spirito e del corpo (…) mette in evidenza la bruttura dei rapporti sociali della notte del mondo. Se è vero che nell’arte si esprimono le qualità di un’epoca, non è un caso che nel Rinascimento fiorissero le grandi arti umanistiche, è altresì non casuale che il nostro sia il tempo della merda di artisti inscatolata, degli orinatoi e dello spettacolo cui abbiamo assistito attoniti ieri (quello del festival di Sanremo)…..ma una cosa che mi ha colpito è stata la dissacrazione e la profanazione del sacro…(…) l’attacco alla trascendenza…..”

Un video da ascoltare con interesse ed attenzione. (Avessero detto i vescovi quello che ha detto Fusaro!!!)

https://www.youtube.com/watch?v=P-lNsjAtyRM