martedì 10 agosto 2021

Sinae proxima finis

Mentre l‘Europa s’ accanisce contro le cattolicità ungherese e polacca, bela soltanto – assieme agli Stati Uniti di Joe Biden e al corteggio dei grandi trust dell’informazione globale; questo tra i primi – all’indirizzo della Cina. A cui va benissimo un fumoso dibattito sulle origini del Covid; a cui va benissimo la proclamata impossibilità di accedere alla verità sulla faccenda. Giacché - dolose o colpose che siano le sue responsabilità – quel paese le ha per sempre insabbiate con la complicità dell’OMS e nel silenzio della comunità internazionale, appena infranto – qui e là – da tronfi proclami a uso propagandistico.

Niente: non ci sarà mai alcuna indagine seria sulla vicenda di Wuhan. Non c’è la volontà politica di procedere e, comunque, sarebbe troppo tardi. La scena del crimine eventuale è stata ben ripulita. Quindi dunque nessuno pagherà dinanzi, anche dinanzi a responsabilità accertate al di là di ogni dubbio. 
Del resto, pur se condannata a parole dagli Stati Uniti e dalla UE per aver praticato il genocidio contro gli Uiguri, la Cina non ha subito alcuna conseguenza. Ancora: la Cina, nazisticamente stracciando gli accordi del 1999, ha di fatto annesso Hong Kong. Reazioni? Puramente retoriche. La libertà di quella città è perduta. E perduta – son facile profeta - è ormai Taiwan. Perché i nuovi appeasers, come a Monaco nel 1938, ingoieranno il boccone dopo un trattato di facciata. Che la Cina straccerà qualche anno dopo. Anche qui senza conseguenze. No: nessuno combatterà per difendere la libertà di 25 milioni di taiwanesi. La comunità internazionale è solo una tigre di carta. E il governo cinese lo sa. 

E dunque? Dunque non c’è da aspettare il collasso del gigante asiatico in ragione di un’azione decisa dell’Occidente. La Cina crollerà – come ogni dittatura – per difetto di statica interna. Per lotte di fazione al vertice, per una qualche rottura tra sfera politica e militare, per una rivolta diffusa e ingestibile. Come avvenne per l’URSS all’inizio degli anni ’90. Quel gigante cadde e ancora rammento i volti stupefatti di tanti analisti politici dei miei stivali. Perché c’era chi aveva capito che quell’impero del male era alla fine: Giovanni Paolo II, Margareth Thatcher, Ronald Reagan, Lech Walesa, Alessandro Solgenitsin. Ma la stampa gauchiste li trattava o da fanatici o da guerrafondai. E invece vedevano chiarissimo. Per intelligenza, cultura, intuizione e, soprattutto, Fede. 

Ultimissimo della fila e minuscolo c’ero anche io, che nel 1978, a tredici anni, chiedevo ai miei amichetti che a Napoli, un pomeriggio, andarono - trascinati da un povero agit prop che faceva il sindacalista per incapacità di insegnare - a sentir Berlinguer alla festa dell’Unità, perché fossero attratti da un’idea brutta e destinata al fallimento. 

Mi risero in faccia, quei ragazzetti. Lasciandomi solo nel parco del mio palazzo. Ma fu una splendida solitudine. La mia prima splendida solitudine. Che grazie al cielo continua, riempita solo dalla donna che amo. E me ne avanza. (Biagio Buonomo)

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