La cattività prolungata genera cattivi pensieri. Di chi la subisce, di chi la decreta. Malus mala cogitat, chi vive male pensa male, potremmo tradurre. Così in dormiveglia, tra la notte e l’alba, ho avuto un incubo. Ho visto, ho pensato, ho sognato – non so dire bene – dove avrebbe portato la lunga detenzione per ragioni sanitarie: a un regime totalitario mai visto che arrivava a privare i cittadini delle libertà più elementari e non ammetteva alcun dissenso nel nome della suprema emergenza sanitaria. Negati i diritti principali, che precedono perfino quelli democratici: uscire di casa, passeggiare, incontrare familiari ed amici, abbracciarsi, vivere all’aperto, andare a messa. Veniva poi spenta ogni attività produttiva, distrutta ogni possibile forma di lavoro, di ricreazione, dalla lettura al caffè; solo distrazioni centralizzate e controllate, perché somministrate dalla rete e dal web direttamente ai domiciliari.
Nell’incubo l’obbligo di mascherine era diventato permanente, allo scopo di mettere la museruola ai cittadini, impedire loro di parlare liberamente e farsi capire, con la scusa di salvaguardarli la salute. Sotto la minaccia della malattia, l’ospedalizzazione e la morte, il popolo impaurito diventava docile, non opponeva resistenza. Era severamente proibita ogni riunione da tre persone in su e vietata ogni manifestazione che richiamasse un’assemblea. Sradicata ogni fede, ridotta solo al segreto della propria intimità (chiusi in bagno a pregare), la politica costretta al privato, concessi invece il fumo e il cane da passeggio.
A un certo punto, il divieto assoluto di uscire fu rimosso ma con quattro pesanti condizioni. La prima fu che persino respirare all’aria aperta, uscire di casa, passeggiare, fu considerata come una concessione, una grazia del potere clemente, e dunque la gente doveva esser grata ai suoi carcerieri che finalmente poteva fare quello che nessuno nell’umanità aveva proibito a un popolo intero. La libera circolazione, però limitata. Anche sulle opinioni e i dissensi restava divieto di circolazione, c’era una commissione apposita per reprimerle.
La seconda condizione fu il prezzo richiesto per quella grazia; considerando che un virus può evolversi e rigenerarsi in altre forme, allora la profilassi, i controlli, il distanziamento sociale, i viaggi vigilati e tutte le limitazioni vigenti furono solo temperate e regolate ma non sparirono. Si potevano fare due passi, senza esagerare, rispettare i turni per prendere l’auto e andare al supermercato, regolare la propria vita al ritmo del Campanone di Stato che scandiva orari, permessi e divieti. In cambio di questa libertà limitata i sudditi dovevano essere controllati da braccialetti elettronici e collari-guinzaglio, telefonini di sorveglianza, retromascherine alla nuca che segnalavano la presenza, lo spostamento e il tempo scaduto di uscita. Fu vietato il mare, sinonimo di libertà.
Ma il regime totalitario-sanitario diventò davvero efferato quando affrontò la poderosa crisi economica e sociale che il contagio aveva creato, il fallimento di milioni di attività, la perdita del lavoro per milioni di lavoratori, la miseria e la fame. Dopo aver promesso interventi statali a protezione, a sostegno, dei tanti rimasti per terra, dopo aver promesso redditi e finanziamenti per ripartire, le casse si vuotarono, e allora si decise dopo un prelievo forzoso in forma di patrimoniale, di adottare un rimedio più radicale. Azzerare ogni stipendio, tutti ricevono lo stesso reddito universale di cittadinanza. Ovvero a ciascuno secondo i suoi bisogni. Negato ogni riconoscimento ai meriti e alle capacità, agli studi e ai curricula, all’inventiva e all’intraprendenza. Si avverava così l’utopia del comunismo, ma veniva chiamata in altro nome per rassicurare la gente; e veniva promossa da gente che non veniva dal comunismo ma dal nulla o dal circo. A’ livella diventò l’inno universale, acclamato dai nuovi proletari affamati. Nessun regime, neanche il più sanguinario, era riuscito a estendere in modo così radicale il controllo totalitario e il reddito egualitario. Ci riuscì la paura del contagio e la crisi che ne seguì. Si affacciò allora il sospetto che il virus fosse stato indotto o almeno veicolato, manipolato, cavalcato. E che gli stessi paesi da cui era partito prendessero il sopravvento estendendo il regime comunista all’occidente.
Infine, la miseria economica e sociale, i sussidi di stato e il controllo a scopo sanitario, produssero di fatto l’estinzione delle sovranità politiche, popolari e nazionali e il trasferimento del potere a un protettorato medico-economico-tecnocratico che garantiva i flussi finanziari, i divieti e il bilancio. Fu così che il comunismo cooptò gli oligarchi della finanza. Col dispotismo maocapitalista furono insediati i cavalli di Troika, terne di comando costituite da un banchiere, un manipolatore mediatico e un militare. Sbaragliati i paesi sviluppati e smantellate le loro produzioni, ridotti alla fame i paesi che vivevano del petrolio, livellata la società e revocata la democrazia, il comunismo implicito era dominato da un clan di falsi scienziati e di veri satrapi.
Un raggio di sole filtrato nella stanza mi liberò dall’incubo ma restò negli occhi, nella mente, nei polmoni, in gola. Certo, sono cattivi pensieri; anche Paul Valéry scrisse i suoi Cattivi pensieri in tempo di cattività sotto la guerra mondiale e durante l’occupazione tedesca.
La dolcezza proibita di aprile, che era il mese più bello e più promettente – bello per la primavera che effonde, promettente per l’estate che annuncia – è diventato con la prigione domestica “il più crudele dei mesi”, come scrisse T.S. Eliot.
E il divieto di Resurrezione per motivi igienici, imposto nella Settimana Santa, ha reso ancora più atroce la detenzione. Se neghi a un uomo la Pasqua, nel nome della salute gli neghi la possibilità di salvezza.
Marcello Veneziani, La Verità 7 aprile 2020
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