La si può mettere e rigirare come si vuole ma la notizia, nella sua essenzialità, è piuttosto semplice: i cattolici hanno dovuto rinunciare a qualsiasi rito religioso finanche nella settimana santa, in Chiesa si può entrare solo se la si trova di strada andando dal tabaccaio, i morti di questo periodo (tutti, non solo di coronavirus) hanno lasciato questo mondo senza il conforto dei propri cari e un degno rito di sepoltura, l’Anpi potrà prendere parte alle celebrazioni del 25 aprile.
Basterebbe questo, eppure qualcosa è il caso di aggiungerla. Già, perché quando si è saputo di una circolare del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, che per evitare assembramenti circoscriveva le presenze consentite alle commemorazioni della resistenza alle sole figure istituzionali, di fatto tagliando fuori l’associazione, quest’ultima ha dato fuoco alle polveri e non ci ha pensato due volte a sollevare una polemica pubblica annunciando che, volente il governo o nolente, loro ci sarebbero stati.
Cosa si pensi da queste parti dell’Anpi e della narrazione a senso unico dei vincitori è noto ai lettori dell’Occidentale, epperò va detto che stavolta hanno fatto bene. Meno bene ha fatto forse la Chiesa italiana a non puntare i piedi quando ci sarebbe stato da spiegare che amministrare i sacramenti in sicurezza è possibile, che distanziarsi fra i banchi non è un’utopia, che morire senza le esequie è disumano, che forse in occasione della Pasqua, culmine e mèta dell’intero anno liturgico, qualche soluzione per non respingere i fedeli dal tempio la si sarebbe potuta trovare o almeno cercare.
Certo, è difficile sperare che una perorazione della Chiesa cattolica avrebbe incontrato da parte delle autorità di governo la pronta sollecitudine dimostrata da Palazzo Chigi nei confronti dell’Anpi. Non appena l’associazione partigiana ha diramato la sua nota di protesta per l’esclusione dalle celebrazioni del 25 aprile, infatti, dal quartier generale dell’esecutivo sono corsi immediatamente ai ripari con una prostrazione degna della lettera di Benigni e Troisi a Savonarola in “Non ci resta che piangere”. In provincia di Cremona, invece, è accaduto che le forze dell’ordine abbiano provato a interrompere una messa in corso di celebrazione con appena quindici fedeli presenti, e che al rifiuto del parroco siano stati multati lui e tutti gli astanti.
Sicché è giusto sollecitare la Chiesa a farsi rispettare e a rivendicare i propri spazi insopprimibili. Più difficile è sperare che il governo spenda per il Corpo di Cristo la stessa deferenza dimostrata per il gonfalone della resistenza rossa. - Fonte
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Cari amici, sono trascorsi 75 anni dal 25 aprile 1945 quando il “Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia” proclamò a Milano l’insurrezione generale contro le forze fasciste e naziste. Questa data viene commemorata come la “Festa della Liberazione”.
In realtà l’Italia era già stata liberata dalle forze anglo-americane, il Regio Esercito combatteva al fianco degli Alleati, il regime fascista era finito dopo l’arresto e la destituzione di Mussolini da Capo del Governo da parte del Re Vittorio Emanuele III il 25 luglio 1943. Anche la “Repubblica Sociale Italiana” era finita proprio il 25 aprile 1945 con lo scioglimento dal giuramento per i militari e i civili. Il 28 aprile Mussolini fu fucilato dai partigiani comunisti a Bonzanigo, frazione del Comune di Tremezzina, in Provincia di Como, e il 29 aprile il suo cadavere fu esposto appeso con la testa all’ingiù a Piazzale Loreto a Milano.
I partigiani comunisti hanno successivamente perpetrato delle stragi tra la popolazione civile, giustiziando sommariamente migliaia di italiani denunciati come “fascisti”.
I partigiani comunisti responsabili di questi crimini impuniti e che fucilarono Mussolini, violando l’accordo di armistizio firmato a Malta il 29 settembre 1943 dal Capo del Governo, il maresciallo Pietro Badoglio, e il Presidente americano Dwight Einsenhower, che impegnava l’Italia a consegnare Mussolini e i suoi gerarchi alle Nazioni Unite, facevano capo a Palmiro Togliatti, Segretario del Partito Comunista Italiano dal 1927 fino alla sua morte a Jalta nel 1964. Nel 1930 Togliatti rinunciò alla cittadinanza italiana e prese la cittadinanza sovietica, manifestando pubblicamente il proprio disprezzo dell’Italia e degli italiani. Partecipando ai lavori del XVI Congresso del Partito Comunista Russo, svoltosi a Mosca dal 29 giugno al 13 luglio 1930, Togliatti disse: “È motivo di particolare orgoglio per me l'aver abbandonato la cittadinanza italiana per quella sovietica. Io non mi sento legato all’Italia come alla Patria, ma mi considero cittadino del mondo, di quel mondo che noi vogliamo unito a Mosca agli ordini del compagno Stalin. È motivo di particolare orgoglio aver rinunciato alla cittadinanza italiana perché come italiano mi sentivo un miserabile mandolinista e nulla più. Come cittadino sovietico sento di valere diecimila volte di più del migliore cittadino italiano”.
Eppure Togliatti condizionò pesantemente le sorti dell’Italia nel dopoguerra, assumendo dal 1944 al 1945 la carica di vice-Presidente del Consiglio, e dal 1945 al 1946 la carica di Ministro di Grazia e Giustizia. Il Partito Comunista Italiano, forte del maggior numero di militanti in Europa, riuscì a infiltrarsi nei gangli vitali delle istituzioni dello Stato, egemonizzando in particolare la Magistratura, l’Istruzione e la Cultura, e attraverso il controllo del più forte sindacato dei lavoratori impose una sostanziale spartizione del potere economico e amministrativo con la Democrazia Cristiana, un consociativismo che ha affermato lo strapotere della partitocrazia.
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La “Festa della Liberazione” è appannaggio dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), eredi della “Resistenza italiana o partigiana”, i cui aderenti facevano riferimento ai partiti che diedero vita al “Comitato di Liberazione Nazionale”, che poi formarono la “Assemblea Costituente” che ha elaborato la Costituzione su cui si fonda l’Italia dal primo gennaio 1948.
Erigendo l’antifascismo a propria missione eterna, l’Anpi è diventato esplicitamente un soggetto politico di sinistra, europeista, globalista, immigrazionista, multiculturalista.
È chiaro che l’Anpi è gestito non dai partigiani che avrebbero liberato l’Italia e che se sono ancora in vita non hanno meno di 90 anni, ma dai loro discepoli.
Ebbene se i discepoli dei partigiani che promuovono la “Festa della Liberazione”, avessero veramente a cuore la liberazione dell’Italia, oggi dovrebbero insorgere contro il Governo di Giuseppe Conte, perché ha imposto una “dittatura sanitaria” violando la Costituzione, praticando un terrorismo psicologico tra i cittadini diffondendo la paura della morte, devastando l’economia nazionale, riducendo alla fame milioni di italiani.
Così come dovrebbero insorgere contro la “dittatura finanziaria”, formalizzata dal Governo di Mario Monti nel 2011, che sta sottomettendo sempre più l’Italia allo strapotere della grande finanza speculativa globalizzata.
Così come dovrebbero insorgere contro la “dittatura europeista”, che spogliandoci della sovranità monetaria e legislativa, ha accelerato l’impoverimento degli italiani e ci ha privato della sovranità nazionale.
Così come dovrebbero insorgere contro il “Nuovo Ordine Mondiale”, che sta abbattendo gli Stati nazionali e le identità localistiche, che sta omologando l’umanità per ridurci a semplici strumenti di produzione e di consumo della materialità al più basso costo possibile.
I discepoli dei partigiani che avrebbero liberato l’Italia e che hanno eretto l’antifascismo come missione a propria missione eterna, sappiano che oggi dobbiamo mobilitarci per liberare l’Italia e che oggi il nemico vero dell’Italia è la “dittatura sanitaria”, la “dittatura finanziaria”, la “dittatura europeista” e il “Nuovo Ordine Mondiale”.
Magdi Cristiano Allam
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